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CONDIVIDERE LA SORTE CON I POVERI DELLA TERRA

Tratto da: Adista Documenti n° 97 del 03/10/2009

I Congressi di Teologia, coscienza critica della Chiesa e della società

Il primo punto che intendo evidenziare è quello della continuità ininterrotta del Congresso per 29 anni, un segno di vitalità non solo di questo evento, ma del cristianesimo liberatore che rappresenta.

Si tratta, oggettivamente, di uno dei pochi avvenimenti teologici ed ecclesiali che si mantengono attivi, vivi e dinamici per così tanto tempo e con una partecipazione che, per quanto si sia ridotta negli ultimi anni per la sua stessa logica, continua ad essere importante numericamente e significativa socialmente e religiosamente.

I Congressi sono luoghi di incontro e di riflessione di cristiani e cristiane che si identificano con lo spirito rinnovatore del Concilio Vaticano II e con una teologia liberatrice, all’interno di un ampio pluralismo. Sono spazi di animazione per gruppi, comunità e movimenti impegnati nel mondo della solidarietà. Intendono essere coscienza critica della società e della Chiesa in tempi di pensiero unico e di neoconservatorismo ecclesiale.

Rivedendo i temi trattati, è facile considerare come questi non derivino dai manuali di teologia ma dalla vita e dall’esperienza delle stesse comunità, a partire da cui si affrontano le questioni fondamentali del cristianesimo, che non vengono studiate in maniera atemporale, ma in relazione alla realtà storica, ai nuovi climi culturali, ai problemi e alle sfide più importanti dell’umanità.

(...) Non partiamo da dati rivelati, né da dogmi né da verità teologiche, ma dalle situazioni, dalle sfide, dai problemi, dalle inquietudini e dalle tendenze della società: immigrazione, emarginazione, ecologia, femminismo, pluralismo religioso, neoliberismo, globalizzazione, ecc., che vengono illuminati a partire dalla fede cristiana interpretata e vissuta in chiave liberatrice. Radica qui la rivoluzione metodologica legata al nuovo modo di fare teologia, che incontra una forte resistenza in alcuni settori della Chiesa cattolica istituzionale.

Si inizia con un’analisi della realtà, per la quale contiamo sulla partecipazione di economisti, analisti politici, antropologi, storici, filosofi, ecc., invitati in ragione non delle loro convinzioni religiose ma della loro competenza.

Non mancano osservatori esterni che si chiedono, tra  sorpresa e disapprovazione: “Che ci fa un agnostico o un ateo in un Congresso di Teologia?”. Tale domanda venne rivolta nell’ottavo Congresso del 1988 a Ignacio Sotelo, il quale rispose: “Perché in luoghi come questo si continuano a porre domande sul senso e perché nei gruppi cristiani critici c’è un di più di solidarietà”. Nel Congresso di Teologia del 2002 fu Manuel Vázquez Montalbán a domandarsi all’inizio del suo intervento cosa ci facesse un ateo come lui in un congresso di teologia come questo, rispondendo che era necessario unire le forze nell’attuale lotta tra globalizzatori e globalizzati.

(...). Il secondo momento dei Congressi di Teologia è la riflessione in chiave etica, sotto la guida di persone che si muovono nel campo della filosofia morale.

Il terzo è la riflessione teologica in chiave liberatrice, condotta a partire dal luogo sociale degli esclusi, dalla presenza nei movimenti sociali e dall’ubicazione nella Chiesa dei poveri. Riflessione che apre cammini nuovi e propone piste per la prassi.

I Congressi di Teologia non sono eurocentrici, ma culturalmente e religiosamente policentrici. Sono ponti di comunicazione tra il Primo e il Terzo Mondo. In essi intervengono teologhe e teologi di tutti i continenti. Vogliamo ricordare la partecipazione di Ignacio Ellacuría, del cui assassinio commemoriamo quest’anno il ventesimo anniversario.

Il clima è ecumenico e interreligioso. Per questo invitiamo persone delle diverse confessioni cristiane: cattolici, protestanti, ortodossi e credenti di altre religioni, come buddismo, induismo, ebraismo e islam, che portano il contributo delle loro esperienze e riflessioni in un dialogo alla ricerca della verità, a partire dal rispetto per la differenza.

(...) La prospettiva di genere è fortemente presente nel trattamento dei temi.

I Congressi hanno mantenuto fin dal principio una scrupolosa indipendenza da qualunque istanza religiosa o politica, tanto dal punto di vista economico quanto da quello ideologico. Ciò ha preservato la loro libertà e il loro senso critico. Ma ha provocato reiterate accuse da parte della gerarchia ecclesiastica e, quel che è più grave, il divieto di celebrarli in locali dipendenti direttamente o indirettamente da essa. Tuttavia, il Congresso ha sempre perseguito il dialogo, mantenendo la mano tesa e continuando ad invitare i vescovi. Atteggiamento di dialogo, di disponibilità e di apertura che conserviamo anno dopo anno.

A causa o, meglio, grazie all’espulsione dai locali religiosi, da più di dieci anni celebriamo il Congresso nella sede di Comisiones Obreras della regione di Madrid, che ringraziamo per la generosa ospitalità. La celebrazione dei Congressi in un sindacato laico e di classe non è un fatto puramente di colore o casuale, ma possiede uno speciale significato. Aprendoci le sue porte anno dopo anno, Comisiones Obreras sta riconoscendo il significato sociale liberatore di questo evento. Riunendosi nella sede di questo sindacato, i cristiani e le cristiane stanno riconoscendo che il tratto di cammino da percorrere insieme è più lungo di quanto possano farci credere le possibili differenze.

 

La crisi economica come crisi etica

Il Congresso di Teologia non poteva essere insensibile alla crisi economica. Per questo l’ha accolta come tema centrale, in risposta alle richieste della maggior parte dei partecipanti al Congresso dell’anno passato. Seguiremo la metodologia abituale attraverso quattro momenti: analisi della realtà, giudizio etico, riflessione teologica e atterraggio nella prassi.

La “crisi dei mercati finanziari” non è originariamente economico-tecnica, ma è un problema etico, economico e politico. Alla sua origine si trova l’attuale sistema sociale ed economico neoliberista, “la grande blasfemia del nostro tempo” (Casaldáliga), che legittima e generalizza la corruzione nelle sue diverse modalità, come è apparso chiaramente e in maniera speciale negli ultimi due anni: malversazione, frodi, truffe, estorsioni, sprechi, abusi nel mercato finanziario, avidità, mancanza di controlli, abusi di potere, informazioni false e ingannevoli ai danni della cittadinanza, ecc. Pratiche, tutte queste, appoggiate dalla maggior parte degli Stati e dei loro governi attraverso politiche di liberalizzazione dell’eco-nomia, che generano impoverimento nella maggioranza della popolazione mondiale e costituiscono un regresso nella difesa del bene comune e dei diritti umani, i quali vengono ridotti al diritto di proprietà.

Il neoliberismo è intrinsecamente immorale in quanto genera discriminazioni economiche, culturali, etniche e sessiste, ingiustizie strutturali e violenza istituzionale.

Le risposte alla crisi non si orientano alla promozione di politiche pubbliche, di pratiche emancipatorie e di programmi di lotta all’emarginazione, ma mirano a salvare il capitalismo attraverso la concessione di ingenti somme di denaro provenienti dall’erario pubblico, affinché i potenti continuino ad arricchirsi e a estorcere denaro ai poveri. Alcune delle proposte per il superamento della crisi - tagli ai salari, flessibiliazzazione e licenziamenti, limitazione dei diritti sociali, riduzione delle imposte sulle imprese, espulsione degli immigrati - ci sembrano immorali, ingiuste e non solidali e tendono a trarre ancora altri vantaggi dalla crisi. In definitiva, quanti tornano a pagare le conseguenze della crisi sono i poveri: regioni, Paesi, popoli, settori, continenti interi che non hanno mai tratto vantaggio dai periodi di benessere economico.

Il sistema capitalista è il responsabile dell’arricchimento di pochi e dell’impoverimento delle maggioranze popolari. E per questo denunciamo ora i responsabili della crisi per la loro immoralità pubblica, la loro disumanità ed avidità ed esigiamo l’accertamento delle responsabilità politiche, economiche e anche penali, per evitare che i delitti di lesa umanità contro la vita dei poveri restino impuni.

E la gerarchia ecclesiastica, come ha affrontato la crisi economica? Che importanza le ha concesso? Che atteggiamenti ha adottato di fronte ad essa? È possibile che in casi particolari e a livello testimoniale sia stata sensibile al tema. Per esempio, in alcune diocesi, attraverso la destinazione di una percentuale dello stipendio dei preti alla solidarietà con i settori più vulnerabili della popolazione, o attraverso alcuni pronunciamenti molto lodevoli.

Ma a livello istituzionale credo non ci sia stata la sensibilità necessaria. Mi sembra che l’atteggiamento sia più simile a quello del sacerdote e del levita della parabola evangelica - più preoccupato di provvedere al culto che di occuparsi della persona ferita - che a quello del Buon Samaritano, sensibile e solidale nei confronti del fratello sofferente. La gerarchia avrebbe dovuto mobilitarsi come istituzione e promuovere una campagna di coscientizzazione tra i cristiani e le cristiane, e anche tra la cittadinanza, trattandosi di un problema che va al di là delle convinzioni e delle pratiche religiose.

La trovo invece più preoccupata per questioni di potere e per la difesa di situazioni di privilegio sul terreno economico, reclamando più fondi, ma non per una loro distribuzione tra i settori più colpiti dalla crisi, bensì per la sua stessa riproduzione e retroalimentazione ideologica e per il consolidamento delle sue istituzioni. È in conflitto con il governo, è vero, ma non per esigere politiche sociali redistributive e politiche economiche a favore dei settori più vulnerabili, bensì per mantenere i privilegi di prima e persino per aumentarli.

Ogni anno promuove le campagne più aggressive tra la cittadinanza affinché i cittadini segnino la casella della Chiesa cattolica nella Dichiarazione dei redditi o affinché gli alunni si iscrivano alla lezione di religione cattolica. E organizza manifestazioni contro il matrimonio tra omosessuali. È suo diritto. Ma risultano più prioritarie e più conformi al Vangelo le campagne e le manifestazioni di sensibilizzazione rispetto alla crisi e alla solidarietà con i settori più vulnerabili. E, tuttavia, non le fa.

Vorrei ricordare che il conflitto di Gesù con le autorità politiche e religiose del suo tempo non fu per rivendicare spazi di influenza nella sfera del potere, né per conseguire benefici sul terreno economico, e nemmeno per avere un posto nel Sinedrio, bensì per denunciare i potenti, l’accu-mulazione dei beni e l’idolatria del denaro, incompatibile con l’adorazione a Dio.

 

Impegni

A livello internazionale: è necessaria la costruzione di un nuovo ordine mondiale - politico, economico, giuridico - alternativo al neoliberismo, che sia basato sulla cooperazione e la solidarietà e sia in grado di realizzare controlli effettivi sull’attuale sistema finanziario per evitare gli abusi che si producono sistematicamente

A livello nazionale, è prioritario il cambiamento di direzione della politica economica, che beneficia i potenti, e l’avvio di politiche fiscali e sociali a favore dei settori più sfavoriti; il riconoscimento di tutti i diritti umani e delle libertà degli immigrati: di associazione, di riunione, di religione, di educazione, di lavoro, di abitazione, di salute, di voto, in uguaglianza di condizioni con il resto dei cittadini.

A livello interreligioso, devono attivarsi le migliori tradizioni di giustizia, uguaglianza e solidarietà di tutte le religioni e i movimenti spirituali attraverso iniziative comuni.

A livello ecclesiale-istituzionale, crediamo che i dirigenti ecclesiastici debbano rinunciare a ogni segno di ostentazione, fare gesti pubblici di austerità e mostrare un impegno autentico nei confronti degli esclusi. Atteggiamenti che non appaiono tra le inquietudini e le preoccupazioni fondamentali della gerarchia ecclesiastica.

Come credenti e cittadini dobbiamo lasciarci interpellare dall’attuale crisi e assumere impegni concreti nei diversi livelli in cui muoviamo:

- A livello politico, partecipando ai forum, ai movimenti sociali, alle organizzazioni sindacali e politiche che lavorano nella costruzione di alternative al neoliberismo.

- A livello ecclesiale-comunitario, con gesti concreti di condivisione del lavoro e dei beni, impegnandoci in progetti di promozione relativi a Paesi, popoli e settori impoveriti a causa della globalizzazione neoliberista, sostenendo l’inte-grazione degli immigrati e prestando loro accoglienza nelle nostre comunità come fratelli e sorelle.

- A livello personale, rinunciando al consumo irrazionale e non solidale; liberandoci di stili di vita che contribuiscono al deterioramento dell’ambiente; vivendo con austerità; solidarizzandoci in maniera efficace con le vittime della crisi; lavorando per la giustizia e l’uguaglianza nei nostri ambienti di lavoro, familiari e civili (...).

Con José Martí, condivideremo la nostra sorte con i poveri della terra.

Con Eduardo Galeano, seguiremo la stella dell’utopia per camminare.

Con Martin Luther King, sogniamo, con i piedi per terra, la libertà, la giustizia, la pace nel mondo, nel mio Paese, in me stesso.

Con Pedro Casaldáliga, ci impegniamo a lottare a favore della politica liberatrice del Regno e contro la politica oppressiva dell’Impero.

Con i profeti di Israele, invitiamo gli assetati e gli affamati a bere e mangiare gratis, e a prendere latte e vino senza pagare.

Animati dal messaggio e dalla prassi di Gesù, che assunse l’impegno di “annunziare ai poveri un lieto messaggio, proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista;  rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore” (Lc 4,18-19), iniziamo questo Congresso con il desiderio di offrire chiavi di analisi della crisi, fino alle sue radici, proposte di soluzione da parte degli specialisti e comportamenti solidali con i settori più vulnerabili.

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