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POLITICA, REGNO DI DIO E PROCESSO RIVOLUZIONARIO BOLIVARIANO

Tratto da: Adista Documenti n° 127 del 12/12/2009

“Regno di Dio” e “Politica”

La visione degli ebrei relativamente al Regno di Dio era totalmente focalizzata sulla loro identità di popolo eletto: le Scritture ebraiche fanno allusione al Regno con regolarità. (...). Si nota come l’idea del Regno di Dio sia vincolata a una forma di governo terreno, compreso l’aspetto organizzativo proprio una nazione.

Secondo i vangeli e le scritture apostoliche, quando Gesù fa la sua apparizione, si presenta come il Messia di Dio e parla espressamente del Regno di Dio. Ma lo fa in termini diversi rispetto alla visione localista e limitata dei suoi interlocutori. Nel discorso di Gesù il Regno di Dio è universale, senza scartare elementi presenti nella visione ebraica. (...). Negli orientamenti di Gesù sul Regno di Dio, egli si situa ben lungi dall’immagine di un capo guerriero che combatterà contro l’impero romano per instaurare il Regno. Non è presente un programma politico di liberazione nazionale. Non si disegna un piano strutturato di azione sociale o comunitaria. Ma, paradossalmente, i contenuti che Gesù attribuisce al Regno sono ricchi di valori teologici e umanistici che interessano tutti gli aspetti della vita: la relazione con Dio, la relazione con il prossimo, i rapporti di famiglia, l’uso del potere, il ruolo delle ricchezze e altri spazi vitali. (...). È assai importante ribadire che il Regno di Dio enunciato da Gesù, ben al di là di un manuale etico, è offerto come una proposta esistenziale, uno stile di vita. (...).

Quanto detto finora ha qualcosa a che vedere con una prospettiva politica a partire dalla fede? La domanda sorge dal fatto che il termine "politica" non viene associato all’i-dea del Regno di Dio o a un’idea vincolata alla fede. (...). In generale, il cittadino dei nostri Paesi e delle nostre città associa la politica alla dinamica di partito, all’aspirazione ad un incarico di governo; raramente, per non dire mai, a una forma di convivenza comunitaria pacifica e amorevole che sia il prodotto di una società di giustizia e di fraternità. Per poter superare questa errata dicotomia tra mondo politico -profano e mondano - e mondo di fede - spirituale e celeste - dobbiamo, in primo luogo, considerare l’idea della polis greca, da cui deriva il termine "politica".

Aristotele ci spiega: "La comunità perfetta è la polis..., sorta per soddisfare le necessità vitali dell’uomo, e la cui finalità è permettergli di vivere bene... L’uomo che, naturalmente e non per caso, non vive nella polis è infraumano o sovrumano" (La Politica). Ovviamente, Aristotele e i greci in generale si riferivano alla vita nella città, intesa come spazio per una vita piena in comunità. Sono stati i filosofi greci dell’antichità, cioè, a lasciarci come eredità la convinzione che l’essere umano sia chiamato ad essere un animale politico. (...).

La concezione ebraica di Regno di Dio è, per così dire, un equivalente teologico della polis greca. In questo caso, l’ebreo concepiva la comunità perfetta sotto l’egida di una teocrazia: "Il Signore è Re". Il Regno di Dio, cioè, è una comunità politica che ha Dio stesso come governante supremo. (...). Tanto nel caso dei greci come in quello degli ebrei, la vita in comunità mirava a creare lo spazio necessario alla piena realizzazione umana. Eirene o shalom: la pace e la felicità non semplicemente come assenza di conflitti ma come vita vissuta in abbondanza, gioia, armonia, fraternità e ordine.

Con il vangelo cristiano, la nozione di Regno di Dio acquista un nuovo carattere. Il Regno di Dio si presenta come vita in pienezza che non si esaurisce nel contesto della comunità, ma si estende al trascendente nel tempo e nello spazio. Ne consegue, nell’ottica cristiana, che il Regno di Dio non può identificarsi in forma compiuta in nessun sistema sociale, politico, economico, cioè in nessun progetto umano realizzato o realizzabile, ma passa ad essere - nel linguaggio del nostro tempo - un’utopia realizzabile di vita in comunità, che serve come riferimento, come orizzonte verso cui camminare sempre. Malgrado ciò, per quanto il Regno di Dio non possa essere rivendicato da alcuna creazione umana, lo stesso vangelo richiede che le esigenze del Regno permeino qualunque attività venga esercitata nel mondo. (...).

Per concludere, il Regno del Dio cristiano (la vita politica secondo Gesù) non può essere ridotto ad un progetto u-mano particolare, ma si rende esplicito, ed è persino obbligatorio renderlo tale, nel qui e ora. Possiamo affermare allora che il Regno di Dio non è la Santa Sede a Roma, non è la Chiesa ortodossa né la protestante, né alcun altro corpo ec-clesiastico. Il Regno di Dio non è Cuba, né gli Stati Uniti, né lo è stato l’Unione Sovietica. Il Regno di Dio non è il Partito Socialista Unito del Venezuela, né Ecuvives. Ma, alla luce di quanto si è detto, e seguendo il senso della concezione cristiana del Regno di Dio, i “segni” di questo Regno si rendono presenti e tangibili nel complesso divenire umano. Un segno è un indicatore, una pista. Ogni manifestazione nell’ambito sociale, politico, economico, culturale, ecc. che miri alla felicità dell’essere umano - come persona e come popolo - è un segno a favore della realizzazione del Regno di Dio. Al contrario, ogni avvenimento che contribuisca al-l’infelicità dell’umano è un segnale dell’anti-Regno. (...).

 Gesù - con la sua vita, con la sua parola, con i suoi gesti - ci invita a creare la nuova società, la nuova umanità, a rendere visibile e reale il Regno di Dio come progetto esistenziale di vita. In quest’ottica, un’istituzione ecclesiastica potrebbe benissimo essere un segno del Regno di Dio. Vale a dire, un segno politico. (...). Un partito politico potrebbe essere un segno del Regno di Dio, sempre che la sua ragion d’essere sia il dare dignità all’essere umano in comunità. (...). Ma l’essere segno non significa essere la pienezza.

 

Ecuvives, il Regno di Dio e il socialismo bolivariano

Perché Ecuvives offre il suo sostegno al progetto socialista dell’attuale governo venezuelano e non considera, per esempio, la possibilità di appoggiare un "capitalismo con sensibilità sociale", o un socialismo "democratico" nello stile dell’Europa Occidentale? La risposta si incontra negli obiettivi che persegue il socialismo bolivariano (...): la creazione di migliori condizioni di vita per la popolazione; la realizzazione dell’integrazione latinoamericana in vista della vera indipendenza delle nazioni; la conquista della sovranità dei popoli sulle loro risorse; lo sviluppo di un mondo multipolare, che ponga fine alla pretesa egemonica di una qualunque potenza economica e militare. Il governo presieduto da Hugo Chávez Frías in Venezuela, cioè, porta avanti un progetto politico che è segno del Regno di Dio, in quanto ha posto la dignità e la felicità del popolo (dell’essere umano) come priorità della propria azione e come ragione d’essere dello Stato.

Non tutti i progetti politici pongono l’essere umano come propria ragione d’essere. Il progetto capitalista, per esempio, ha come meta il capitale stesso. (...). Il capitale pretende di porre Dio al proprio servizio, giacché riduce l’immagine di Dio (che è l’essere umano) in condizioni di schiavitù, sfruttamento e impoverimento. (...). L’apostolo Paolo ha affermato che l’avidità, l’amore per il denaro, è idolatria. Essendo il capitalismo un progetto essenzialmente idolatrico, esso va contro il Regno di Dio, che possiamo identificare come la nuova società umana che sa vivere in comunità. (...).

Il socialismo bolivariano, invece, ponendo la felicità del popolo al centro delle sue lotte e dei suoi sforzi, diventa segno di speranza del Regno di Dio, per quanto non ne sia neanche lontanamente la materializzazione. È il caso di dire che questo socialismo bolivariano del Venezuela e di altre parti della Nostra America si trovi appena nella fase del parto: da qui le profonde ambiguità, le contraddizioni, le spinte e le controspinte. E questo non perché non esista un programma o una buona pianificazione, ma perché, se il socialismo va assunto come un progetto esistenziale di vita (l’es-senza o la forza del socialismo non è nella sua struttura programmatica ma nella sua muscolatura spirituale, cioè umanistica e umanizzante), la società globale è contaminata fino al midollo dalla cultura dell’anti-Regno, ossia dell’idolatria del capitale e di tutto ciò che comporta. (...).

Il Venezuela potrebbe ben avanzare a passo spedito (e speriamo che avvenga) nell’applicazione di politiche di Stato di chiaro carattere socialista; sul terreno di una legislazione che favorisca significativamente la giustizia sociale; nella realizzazione di programmi educativi, abitativi e lavorativi che riducano la disuguaglianza nell’accesso a migliori condizioni di vita. Nonostante ciò, la cultura socialista, lo spirito socialista, l’assimilazione della vita in una comunità socialista di sicuro impiegheranno molto a entrare nell’anima delle venezuelane e dei venezuelani e della nuova umanità nascente. Le trasformazioni sociali sono lente e ancora più lo sono i cambiamenti spirituali (ethos) di una società.

C’è la garanzia che il socialismo bolivariano in costruzione arrivi ad essere segno del Regno e mantenga questa direzione? Di fatto, già lo è. Nei più o meno difettosi o efficienti programmi sociali (missioni). Nell’elaborazione e approvazione di leggi che accrescono il potenziale di una vita degna per molti venezuelani. Nella solidarietà continentale e mondiale espressa attraverso la condivisione del petrolio e dei suoi derivati. E potremmo citare altri aspetti del cammino del cosiddetto "processo rivoluzionario" del Venezuela. Naturalmente, ci prenderebbe molto spazio anche l’enumerazione dei vizi e dei tradimenti alla causa rivoluzionaria. Ma già si è detto che questo dipende dall’ambiguità della natura umana e dei suoi processi. Nella misura in cui lo sviluppo di una società socialista continuerà a prendere piede, una nuova morale o spiritualità collettiva, di ispirazione ugualmente "socialista" (solidarietà, disinteresse, rispetto dell’alterità, umanesimo, amore), verrà guadagnando peso. Finora, in Venezuela, si stanno ponendo le basi su cui si erigerà il socialismo del XXI secolo. Quanto si è visto risulta promettente, o perlomeno è motivo di speranza. Il leader che è alla guida di tale processo non sembra voler cambiare strada rispetto a questo nuovo socialismo endogeno; al contrario, si orienta con più impegno in questa direzione. Il contributo e la critica costruttivi a partire dalla spiritualità liberatrice potrebbero essere di grande aiuto per nuovi contenuti e i necessari correttivi, in maniera che il "segno" non si perda.

Spetta al processo venezuelano bolivariano l’arduo e lungo compito di neutralizzare la grande contraddizione che presuppone il costruire una società socialista sulla base di valori collettivi cementati nella cultura capitalista: l’etica dell’indivi-dualismo, lo spirito della competizione e della rivalità, in cui i meriti più grandi consistono nell’accumulazione e nella mercantilizzazione delle risorse, nel prestigio materiale e nella scalata sociale, anche a costo di calpestare il prossimo. Questa "morale" ha affondato le sue radici in tutta la società, particolarmente in coloro che in qualche modo hanno goduto di privilegi economici. A tal punto che persino noi che abbiamo assunto in maniera militante la fede in Gesù molte volte non siamo capaci di tradurre coerentemente questa vocazione nei fatti concreti della vita e continuiamo a riprodurre il modello liberale borghese. (...). Finora, gli enunciati e le azioni del governo bolivariano rivelano come il processo di restituzione della dignità alle nostre donne e ai nostri uomini non sia concepito come un esercizio di carità, ma come l’opportunità per ogni persona di partecipare al disegno e allo sviluppo di una vera vita comunitaria (...).

Allora, dobbiamo aver chiaro che nessun processo umano è libero da ambiguità. Solo un’ingenuità ideologica o un candore mentale potrebbero indurci a credere in processi umani lineari e moralmente puri. Qualsiasi progetto umano è esposto a errori e a contraddizioni. Ma ciò che differenzia il progetto che è segno del Regno di Dio da quello che non lo è sta nel suo potenziale e nella sua capacità di autocritica e di revisione, tenendo ben chiaro l’obiettivo: la felicità del popolo.

 

Una necessaria radiografia della cultura del capitale

Facciamo un’analisi della cultura del capitale. Ricorreremo alla pericope evangelica di Matteo 4,1-11, nota come "la tentazione di Gesù nel deserto". Ci viene mostrato il giovane falegname di Nazareth mentre affronta le trappole dei valori idolatrici: l’abuso del potere, la gloria egocentrica e l’avidità di ricchezza. Fama, potere e fortuna, i tre peccati capitali del capitalismo.

Secondo l’evangelista, la prima lotta di Gesù è contro l’uso indebito del potere. Egli era andato nel deserto, a mo’ di ritiro, prima di dare inizio alla sua missione di servizio e di redenzione. Matteo riferisce come, dopo vari giorni, a-vesse avuto fame e come, nella sua qualità di Figlio di Dio, avrebbe potuto risolvere la situazione facendo uso del suo potere. Nel racconto è implicito il fatto che non fosse il momento per usare questo potere. Era il momento di apprendere la lezione di dipendenza che gli aveva assegnato la missione. Era il momento della disciplina e dell’autonega-zione. Ma, di fronte alla necessità di soddisfare l’istinto di sopravvivenza, egli era spinto a far uso del suo potere straordinario, cioè a rompere con la disciplina, con l’autone-gazione, con la dipendenza dal suo Dio. (...). L’analogia a cui ricorrere è allora quella dell’uso del potere per il potere. Il capitalismo incarna l’ansia del potere economico per godere di questo potere. La cultura del capitale esacerba l’uso del potere in chi è cosciente del proprio potere superiore e per questo è spinto a volere di più. (...). Di conseguenza, il capitalismo è la scomparsa di qualunque sentimento di equità e di altruismo; il cimitero degli stili di vita comunitari delle nostre società indigene; la rappresentazione migliore dello “sfruttamento dell’uomo sull’uomo”. Altri esperimenti di organizzazione sociale come quelli dell’apparato statale sovietico, che si faceva chiamare comunista, ci hanno mostrato come il potere possa essere usato male anche da quanti teorizzano una società senza classi. Da qui l’importanza di sottolineare il carattere profondamente spirituale e volitivo dell’essere socialisti. Ma, riguardo al capitalismo, il primo comandamento della cultura del capitale è: ama il potere.

In secondo luogo, il demonio suggerisce a Gesù che il suo ministero di servizio e dedizione non sarebbe stato il cammino più veloce per ottenere che la gente lo seguisse. Per questo lo incoraggia a ricorrere alla spettacolarizzazione, all’esibizionismo. Come si trattasse di una scena di circo, incita il Maestro a lanciarsi da una torre del tempio, in maniera che la gente vedesse accorrere gli angeli a proteggerlo dalla caduta. Sicuramente tutto sarebbe finito in strepitose acclamazioni da parte di un pubblico ormai conquistato. La cultura del capitale promuove fino alla stanchezza la convinzione che la felicità si ottenga attraverso l’esalta-zione della personalità. Il successo personale si riduce ad autocompiacimento ed egolatria. (...). Il secondo comandamento della cultura del capitale è: ama la vanagloria.

Da ultimo, l’assalto è accompagnato da un’affermazione ingannevole da parte del diavolo: “Il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: ‘Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai’”. Un’espressione che coniuga potere, possesso e ricchezza. Il sommo bene del capitalismo: accumulare ricchezze. L’inganno è nel fatto che l’offerente si presenta come proprietario di qualcosa che non gli appartiene. Esattamente come fa il capitalismo (...). Per il capitalismo, l’unico modo di assicurare la vita è l’accumula-zione, per quanto ciò significhi depredare gli altri. D’altro lato, l’appropriazione e l’accumulazione di ricchezze garantiscono il godimento del potere e della fama. Il capitalismo esige che lo si "adori": è il dio "Mammona" di cui parla Gesù nel Vangelo. O il "Vitello d’Oro" per il quale gli ebrei abbandonarono il Dio dell’Alleanza. E, come ogni falsa divinità primitiva, esige sacrifici umani. (...). Il terzo comandamento della cultura del capitale è: ama l’accumulazione di ricchezze.

 

Ecuvives, il Regno di Dio e l’ecumenismo

La prima cosa che va detta è che l’ecumenismo non è sincretismo. Il vero ecumenismo non è un collage di religioni, ma un avvicinamento e persino una convergenza di spiritualità. (...). Tutti sappiamo che esiste una religiosità superficiale, culturale, di costume, che fa parte dell’establishment e delle buone abitudini. (...). Ovvio: la religione del capitale necessariamente riflette la cultura del capitale.

Si fa presente anche una spiritualità pensata, concepita e partorita nei più profondi processi esistenziali. È la spiritualità che si è nutrita di un’autentica esperienza vitale, del pellegrinaggio con sorelle e fratelli, della lotta e della sofferenza, del confronto di idee e della scoperta casuale, dell’ozio creatore e dei momenti di gioia, della lettura, dell’ascolto e della conversazione, della disciplina severa e del momento ludico, di tutto ciò, insomma, che chiamiamo vita. Un incontro onesto di spiritualità presuppone l’apertura franca e sincera alla revisione dei valori, dei codici e dei simboli, delle formule, dei principi, dei dogmi... fino a mettere in discussione verità fissate e storie raccontate. Ma per arrivare a un tale livello di apertura sicuramente bisognerà camminare a lungo. (...). C’è un sano ecumenismo, di tipo pragmatico, che non si sofferma su aspetti complessi, ma si dedica al lavoro congiunto per nobili cause necessarie al mondo. In questo tipo di ecumenismo ogni parte resta intatta. L’importante qui è il lavoro e la causa. Questo ecumenismo è, nella maggior parte dei casi, il germe di un ecumenismo più fecondo, più impegnativo.

L’ecumenismo di Ecuvives si muove per il momento su quest’ultimo cammino. Tuttavia, la dimensione politica della fede espone permanentemente Ecuvives a confrontarsi con aspetti più densi dell’ecumenismo. È logico: Ecuvives punta sull’ecumenismo del politico (il Regno di Dio e la sua giustizia) e non sull’ecumenismo del religioso (le istituzioni ecclesiastiche gli spiritualismi).

La coscienza ecumenica è la conseguenza logica della comprensione del Regno di Dio in profondità. La polis, il Regno di Dio, è la convivenza umana in comunità di giustizia, fraterna, pacifica, armoniosa e feconda. Tutta l’umanità è convocata a questa realizzazione utopica. La prassi ecumenica è lo strumento spirituale che si aggiunge agli strumenti sociali per disegnare e rendere visibili e tangibili le forme socialiste del relazionarsi umano.

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