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A Copenhagen tutti contro tutti. E la terra continua a morire

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 131 del 26/12/2009

“L’acqua mi ha trascinato via, ho visto i miei genitori svanire” così una bambina al vertice di Copenaghen sul clima. 15mila delegati, altri 15mila partecipanti, 110 capi di Stato e governo: un vertice dai grandi numeri e dalle grandi aspettative. La ministra dell’ambiente danese Connie Herdegard ricorda: “Questa è la nostra chance, non ce ne sarà un’altra”. Intanto il gruppo dei 77 (detto anche il G77), che rappresenta 130 Paesi del Sud del mondo, sostiene: “Gli impegni di Europa e Stati Uniti sono ancora insufficienti. Pensate al mondo, non solo alle vostre economie”. L’obiettivo è ridurre a 44 miliardi di tonnellate l’anidride carbonica immessa nell’aria entro il 2020 (senza un accordo sarebbero 47 miliardi). Dal 1850 a oggi il decennio in corso è il più caldo mai registrato. Per la prima volta l’agenzia per l’ambiente Usa riconosce che i gas serra sono un pericolo e vanno regolati, ma pochi si fanno illusioni. Barroso commenta: “È quasi impossibile un trattato, resta solo un accordo”. Cresce la tensione fra i Paesi del Nord ricco e del Sud povero. La presidenza danese propone impegni forti per i Paesi ricchi e limitazioni per i Paesi poveri. L’Africa si infuria, l’Ue si divide. L’economia cinese dipende per il 70% dal carbone ma vuole avviare una riconversione verde, chiede agli Usa di fare la stessa scelta. Poi Cina e India si oppongono a un accordo forte e vincolante che contenga un aiuto ai Paesi poveri che partecipano allo sforzo. Il problema è sempre più grande e si manifesta nella distanza fra l’Ue e gli altri sulle cifre: l’Ue punta a una riduzione del 20% di emissioni entro il 2020 (rispetto al 1990), gli Usa si impegnano a una riduzione del 17% entro il 2020 (rispetto al 2005). Gruppi di indigeni della Bolivia e delle isole del Pacifico chiedono il coraggio di scelte forti. Arriva la proposta dei grandi del Sud (Cina, India, Brasile, Sudafrica e Sudan in rappresentanza di 130 Paesi in via di sviluppo): si prolunghi Kyoto e gli obblighi dei Paesi ricchi oltre il 2012, e si abolisca il commercio delle quote carbonio. Iniziano gli arresti preventivi, i pestaggi dei poliziotti nei confronti dei manifestanti. È il giorno della società civile propositiva, colorata, allegra e nonviolenta. Con loro il premio nobel Desmond Tutu. Poi, come da copione, arrivano i black bloc, centinaia di arresti e soliti scenari di violenza imbecille. Dentro divisioni ed egoismi che rischiano di far saltare il vertice, fuori la veglia guidata da Desmond Tutu che chiede un accordo forte e vincolante. Continua il forum alternativo: Naomi Klein, Josè Bové, un monaco tibetano, e tanti volti, storie e progetti per un mondo possibile. I Paesi ricchi trovano i modi più diversi per non pagare il prezzo dell’inquinamento fatto e per scaricarlo ancora sui Paesi poveri. Gli africani vogliono andarsene, restiamo se si mantiene Kyoto cui si aggiunga un nuovo accordo. La polizia continua a caricare violentemente i manifestanti dentro e fuori il summit; manganelli, spray     urticanti, blindati che dicono di una situazione fuori controllo.

L’obiettivo era ambizioso: “Salvare la terra” con un accordo vincolante per fermare i cambiamenti climatici che sconvolgono il pianeta. Ora il vertice rischia di non salvare nemmeno se stesso. Le bozze di accordo sono cosparse di spazi bianchi da riempire con numeri, cifre, date, impegni concreti e sistemi di controllo. I Paesi poveri accusano quelli ricchi di voler far pagare loro il prezzo di secoli di inquinamento e sfruttamento subito. I Paesi ricchi restano divisi da interessi economici e geopolitici. È in crisi il modello dei mega-vertici, capaci di pompose dichiarazioni di intento, di grandi liti e di pochi impegni: basterebbe pensare all’ultimo summit della Fao. La collaborazione globale è ancora un miracolo.

E, intanto, Benedetto XVI ha pubblicato il Messaggio per la Giornata mondiale della Pace 2010: “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”. Vedremo!

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