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ROSARNO, LA CHIESA DI BASE DENUNCIA: “SMARRITO IL SENSO DELLA FRATERNITÀ UNIVERSALE”

Tratto da: Adista Notizie n° 5 del 23/01/2010

35385. ROMA-ADISTA. Unanime la condanna della Chiesa locale e dei missionari italiani, che da anni denunciano, inascoltati, le condizioni di sfruttamento degli immigrati e i legami tra il malaffare e l’economia agricola nella Piana di Gioia Tauro.


Chiesa locale contro criminalità e cecità politica

“Il ministro Maroni? Brava persona, ma non sa quel che dice, non conosce la realtà e allora tanto vale un buon tacere” (Radio Vaticana, 11/1): questa la reazione di mons. Luciano Bux, vescovo di Oppido Mamertina-Palmi (diocesi che comprende anche il comune di Rosarno), alle parole del ministro sugli scontri del 7 gennaio. La situazione nella Piana, ha detto il vescovo, è ben più complessa di come la racconta il ministro. I migranti sono “sfruttati e sottopagati nelle campagne a raccogliere le arance al servizio dei proprietari terrieri locali”; a reclutarli poi ci pensa “la ‘ndrangheta, che fa da ufficio di collocamento. Tutti lo sanno, ma nessuno interviene”. Le parole del vescovo hanno poi investito anche i media, colpevoli di aver spettacolarizzato la vicenda, “ignorando, o fingendo di farlo”, il vero problema: “La continua omissione dello Stato che ha lasciato campo libero alle organizzazioni malavitose nell’agricoltura, nella sanità e in altri ambiti. Una situazione che fa comodo. Dunque il ministro Maroni prima di parlare di tolleranza, si informi, lui che cosa ne sa di questa terra?”. E ha concluso amaro: “Le leggi oggi, almeno da queste parti belle, sfortunate e disgraziate, non le fa lo Stato, ma altri”.

Una lettera che esprime “vicinanza e solidarietà” alla diocesi di mons. Bux è giunta, l’11 gennaio scorso, dall’arcivescovo di Rossano-Cariati, mons. Santo Marcianò: “La Chiesa in questa nostra terra è ‘voce che grida nel deserto’; è il deserto di un mondo che chiude gli occhi e il cuore di fronte al dramma della povertà e dell'ingiustizia in una specie di stordimento delle coscienze”.

Quelle di Maroni sono “parole che possono avere effetti molto pericolosi, indicando obiettivi sbagliati”, ha denunciato il vicario episcopale della diocesi di Oppido-Palmi, parroco a Polistena e referente di Libera nella Piana di Gioia Tauro, don Pino Demasi: “Il problema dell'immigrazione in Calabria va inquadrato nel grande problema della liberazione dall’oppressione mafiosa. Da una parte c'è infatti la ‘ndrangheta, che cerca di sopraffare questi cittadini, sfruttandoli al massimo, costringendoli ad abitare in quei luoghi, sottopagandoli e sottoponendoli a minacce”, il tutto nella “assenza totale del Governo centrale, della Regione e delle amministrazioni locali”. Ne è certo, don Pino: “Dietro gli scontri ci sono le cosche che controllano il racket del lavoro nero”. Lo dimostrerebbero anche alcuni fatti poco chiari: “Il ferimento con fucilate a pallini dei due immigrati che ha scatenato gli scontri”; le voci fatte girare “tra i migranti che erano stati uccisi quattro loro ‘fratelli’”; la protesta dei cittadini di Rosarno, organizzata in brevissimo tempo; “le minacce subite dai volontari della Caritas e delle associazioni che li hanno sempre aiutati”.

Anche il responsabile della Caritas diocesana in Calabria, don Ennio Stamile, si è unito al coro delle condanne: “Il disagio che gli immigrati soffrono in Calabria è causa dello sfruttamento a cui vengono costretti che li porta a vivere una vita invivibile. Spesso quello che guadagnano non basta per far vivere loro una vita dignitosa. Pensiamo che molti di loro hanno lasciato nei loro Paesi familiari che hanno bisogno dei soldi che arrivano da questi cittadini. E non dare la giusta mercede a chi lavora grida vendetta al cospetto di Dio”.

Anche il parroco di S. Giovanni Battista a Rosarno, don Pino Varrà, ha dedicato l’omelia di domenica 10 gennaio ai fatti di violenza dei giorni precedenti. È lungo l’elenco dei parrocchiani africani che non parteciperanno più alle celebrazioni a S. Giovanni, perché costretti alla fuga dalla furia xenofoba di altri parrocchiani bianchi. A questi ultimi il parroco ha chiesto: “Non vi fate trascinare verso ragionamenti e reazioni che non sono da cristiani. Tutti abbiamo diritto alla vita, una vita dignitosa, che non ci umili. Anche quelli di un altro colore, anche quelli che sbagliano sempre. Se vogliamo essere cristiani noi non possiamo avere sentimenti di odio e di disprezzo”.

Per Enzo Mazzi (il manifesto, 15/1), animatore della Comunità dell’Isolotto, “la società del benessere è ridotta a una fortezza assediata. Ma è una illusione alzar mura, installare body scanner, e rovesciar barconi. Il nemico che ci assedia non è l'immigrazione. Siamo noi nemici a noi stessi. La crisi è dentro la struttura stessa della città”. In questo senso, “un nuovo umanesimo s'impone”, per realizzare il quale bisogna rifuggire dalla “strada scivolosa” dell’assistenzialismo, comunque rivestito, che “non crea parità di diritti”. “E direi - prosegue Mazzi - che l'associazionismo più che tappar buchi e metter toppe, dovrebbe imboccare più decisamente proprio la strada della trasformazione culturale. Tendere a smontare i paradigmi culturali, ideologici e anche religiosi, che sono all'origine della discriminazione”. Con “coerenza e fermezza”. “Senza vendere mai tutto sul mercato dell'emergenza e senza sacrificare mai tutto sull'altare della mediazione politica”.

 

Missionari: un “peccato che urla contro il cielo”

A differenza della Chiesa locale, i missionari italiani concentrano la denuncia sugli effetti delle politiche migratorie del governo. Secondo p. Claudio Crimi (8/10), comboniano, animatore dell’Acse (Associazione comboniana Servizio Emigranti e Profughi di Roma), i braccianti “erano già stufi di subire soprusi quotidiani, furti sistematici nelle loro già misere paghe giornaliere. Molti erano clandestini e quindi, secondo la santa legge Bossi-Fini e secondo il Pacchetto Sicurezza, autentici criminali da mandare in Siberia o nei lager”. I braccianti, “merce” di cosche e caporali, sono ricattabili e sfruttati, e ora “alcuni pazzi pensano di poter sparare impunemente a loro che se ne stanno tranquilli seduti su una panca, come se fossero dei piccioni”. La violenza, dunque, era del tutto prevedibile: “Ma scusate, cari amici – ribadisce p. Claudio Crimi – se gli immigrati avessero sparato a degli italiani, cosa sarebbe successo? È possibile essere così ciechi da lasciar correre per anni una situazione di ingiustizia permanente e così orribile, senza mai porre rimedio o concedere speranze o soluzioni, e poi pretendere che tutto continui tranquillo? Senza giustizia non potrà mai esserci pace, togliamoci ogni illusione”.

Anche secondo p. Enrico Gonzales, comboniano che opera a Lecce sulle problematiche dell’immigrazione, “è molto importante evidenziare la violenza perpetrata ai danni degli immigrati dai caporali delle cosche presenti sul territorio”. In un messaggio consegnato al blog Rivista Acse On Line, ha ribadito “l’inconciliabilità del discorso securitario, fatto di restrizioni, respingimenti, clandestinità, con una vera integrazione”. “È evidente – ha aggiunto – il grave ritardo culturale del nostro Paese in termini di declinazione dei diritti di cittadinanza”. Infine ha lanciato un messaggio a tutta la Chiesa: “Non bastano più le dichiarazioni pur necessarie di singoli vescovi, preti, intellettuali e così via. L’indignazione deve diventare massa critica, altrimenti è solo sfogo. Fino a quando la Chiesa italiana rimarrà silenziosamente a guardare mentre alcuni vescovi, come parafulmini, s’attirano gli strali dei soliti noti?”.

Un comunicato stampa (10/1) della Commissione Giustizia, Pace e Integrità del Creato della Cimi (Conferenza degli Istituti missionari in Italia) ha voluto esprimere piena “solidarietà alla sofferenza dei migranti africani, che da anni vengono impiegati nei campi della Piana di Gioia Tauro, in stato di schiavitù, per la raccolta delle arance”. La posizione di Maroni, si legge nel comunicato dei missionari, “ci indigna. Riteniamo, infatti, che la situazione di sfruttamento e di degrado civile e umano dei migranti a Rosarno, sia la prima causa di tale violenza. La violenza è di chi li costringe a vivere nei ghetti, di chi li sfrutta nei campi, di chi li tratta come animali”. L’esplosione di violenza dei migranti, secondo la Cimi, testimonia che “la loro oppressione è un peccato che urla contro il cielo”. “La logica del profitto ancora una volta ha vinto”, conclude il comunicato: “Ciò che noi missionari non possiamo accettare è di considerare merce da sfruttare gli immigrati clandestini. Riconoscerli come persone, rispettate nella loro dignità”.

 

L’associazionismo: una barbarie che umilia l’Italia

Il 13 gennaio, in una lettera aperta del Coordinamento Nazionale Comunità d’Accoglienza, don Armando Zappolini, vicepresidente e coordinatore del Gruppo internazionale del Cnca, si è rivolto direttamente al “caro fratello nero”, affermando: “La ricerca di dignità e di libertà vi ha costretti a lasciare la vostra terra e a mettervi nelle mani della parte peggiore del nostro Paese, quella dello sfruttamento e del razzismo, della schiavitù e delle mafie. Ci sentiamo tanto in imbarazzo e non so con quale faccia torneremo da ora in poi nei vostri Paesi. Per la verità, stiamo tentando da anni di arginare questa deriva di barbarie che sta umiliando l’Italia, ma forse finora non abbiamo fatto abbastanza. Ci vuole di più! Ve lo promettiamo, mentre vi chiediamo scusa. Aiutateci, con il vostro coraggio, a non perdere la speranza”.

Nella Nota della presidenza nazionale del Meic (Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale), diramata lo scorso 14 gennaio, si implorano i credenti a “non smarrire il senso della fraternità universale, che è parte integrante del patrimonio civile italiano, fecondato dal messaggio cristiano” e invita gli amministratori della cosa pubblica ad “una politica di lungo periodo, nutrita da una cultura dell’accoglienza”, “rifuggendo dalla tentazione di scatenare micidiali spirali di paura e risposte soltanto securitarie”. (giampaolo petrucci)

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