UN MOMENTO DI VERITÀ
Tratto da: Adista Documenti n° 6 del 23/01/2010
Introduzione
Noi, un gruppo di cristiani palestinesi, dopo aver pregato, riflettuto e avviato un confronto davanti a Dio sulla prova che stiamo vivendo nella nostra terra sotto occupazione israeliana, alziamo oggi un grido di speranza in assenza di ogni speranza, unito alla nostra preghiera e alla nostra fede in un Dio che veglia, nella sua Divina Provvidenza, su tutti gli abitanti di questa terra. (...).
Perché ora? Perché oggi siamo giunti a un punto morto nella tragedia del popolo palestinese. I potenti si accontentano di gestire la crisi piuttosto che impegnarsi a trovare un modo per risolverla. I cuori dei credenti sono pieni di amarezza e di sconcerto: cosa fa la comunità internazionale? Cosa fanno i leader politici della Palestina, di Israele e del mondo arabo? Cosa fa la Chiesa? (...).
1. La realtà
1.1. (...) Ultimamente tutti parlano di pace e di processi di pace in Medio Oriente. Ad oggi, tuttavia, queste sono solo parole: la realtà è quella dell’occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele, della negazione della nostra libertà e di tutto ciò che ne consegue.
1.1.1. Il muro di separazione eretto in territorio palestinese ha trasformato in prigioni le nostre città e i nostri villaggi, separandoli gli uni dagli altri, come tanti cantoni dispersi e divisi. Gaza, dopo la guerra cruenta scatenata da Israele nel dicembre 2008 e nel gennaio 2009, continua a vivere in condizioni disumane, subendo un assedio permanente e la separazione dagli altri territori palestinesi.
1.1.2. Gli insediamenti israeliani devastano la nostra terra in nome di Dio e in nome della forza, esercitando il controllo sulle nostre risorse naturali, comprese l’acqua e le risorse agricole, e rappresentando un ostacolo ad una soluzione politica.
1.1.3. Siamo sottoposti ad un’umiliazione quotidiana ai checkpoint militari, recandoci a lavoro, a scuola o in ospedale.
1.1.4. Assistiamo alla separazione dei membri di una stessa famiglia, con la conseguente impossibilità per migliaia di palestinesi di vivere una vita familiare, specialmente quando uno dei coniugi non possiede la carta di identità israeliana.
1.1.5. La libertà religiosa viene duramente repressa; la libertà di accesso ai luoghi di culto è negata con il pretesto della sicurezza. (...).
1.1.6. Anche i rifugiati appartengono alla nostra realtà. La maggior parte di questi vive ancora nei campi profughi in condizioni inaccettabili e aspetta di poter ritornare generazione dopo generazione. Quale sarà il loro destino?
1.1.7. Fanno parte della nostra realtà le migliaia di prigionieri nelle carceri israeliane. Gli israeliani muovono cielo e terra per la liberazione di un solo prigioniero. E le migliaia di detenuti palestinesi quando riavranno la loro libertà?
1.1.8. Gerusalemme è il cuore della nostra realtà. È, allo stesso tempo, simbolo di pace e segno di conflitto. Mentre il muro di separazione divide i loro quartieri, Gerusalemme viene svuotata dei cittadini palestinesi, cristiani e musulmani. Le loro carte di identità vengono confiscate, e con esse il diritto a risiedere a Gerusalemme. Le loro case vengono demolite o espropriate. Gerusalemme, simbolo di riconciliazione, è diventata una città di discriminazione ed esclusione, una sorgente di lotta anziché di pace.
1.2. Israele si fa beffe del diritto e delle risoluzioni internazionali, nell’immobilità del mondo arabo e della comunità internazionale. (...).
1.2.1. Pur essendo cittadini e avendo quindi i corrispondenti diritti e obblighi, i palestinesi all’interno dello Stato di Israele hanno vissuto ingiustizie storiche e continuano a subire trattamenti discriminatori. (...).
1.3. L’emigrazione è un altro elemento della nostra realtà. L’assenza di qualunque speranza di pace e libertà spinge i giovani, sia musulmani che cristiani, ad emigrare, con la conseguente perdita per il Paese della sua più importante ricchezza: i giovani istruiti. (...).
1.4. Di fronte a tale realtà, gli israeliani pretendono di giustificare l’occupazione, le punizioni collettive e le rappresaglie di ogni tipo come atti di legittima difesa. Si tratta, secondo noi, di uno stravolgimento della realtà. Esiste, certo, la resistenza palestinese all’occupazione. Ma, se non ci fosse l’occupazione, non ci sarebbe la resistenza, non ci sarebbe il timore, non ci sarebbe l’insicurezza. Chiediamo quindi agli israeliani di porre fine all’occupazione. Vedrebbero allora un mondo senza paura e minaccia, un mondo di sicurezza, giustizia e pace.
1.5. Le reazioni palestinesi a tale realtà sono state molteplici. Alcuni hanno risposto con il negoziato: è la posizione ufficiale delle autorità palestinesi, ma non ha fatto avanzare il processo di pace. Alcuni partiti hanno seguito la strada della resistenza armata. Israele l’ha usata come pretesto per accusare i palestinesi di terrorismo e distorcere la reale natura del conflitto (...).
1.5.1. La tragedia è aggravata dal conflitto interno palestinese e dalla separazione di Gaza dal resto della Palestina. Vale la pena sottolineare, di fronte a tali divisioni, che la comunità internazionale ha la grande responsabilità di non aver accolto positivamente la volontà espressa dal popolo palestinese nelle elezioni democratiche del 2006. (...).
2. Una parola di fede: crediamo in Dio, un Dio buono e giusto
2.1. Crediamo in Dio, un solo Dio, Creatore dell’univer-so e dell’umanità. Crediamo in un Dio buono e giusto, che ama ciascuna delle sue creature. Crediamo che ogni essere umano sia stato creato ad immagine e somiglianza di Dio e che la dignità di ognuno derivi dalla stessa dignità dell’Onni-potente. Crediamo che questa dignità sia una sola, la stessa in ciascuno di noi. (...).
2.3. Noi crediamo che la nostra terra abbia una missione universale. In essa, il senso della terra promessa e del popolo eletto si apre ed include tutta l’umanità, a cominciare dai popoli di questa terra. Alla luce delle Sacre Scritture, la promessa della terra non è mai stata un programma politico, ma il preludio al compimento della salvezza universale. L’inizio del Regno di Dio sulla terra.
2.3.1. Dio ha inviato i patriarchi, i profeti e gli apostoli in questa terra come portatori di un messaggio universale. Oggi sono presenti qui tre religioni: Ebraismo, Cristianesimo e Islam. La nostra terra è terra di Dio, come tutti i luoghi del mondo. È santa nella misura in cui Dio vi è presente, poiché Dio solo è santo e santificante. È dovere di quelli che la abitano rispettare il volere di Dio per questa terra. È nostro dovere liberarla dal male dell’ingiustizia e della guerra. È la terra di Dio e quindi deve essere una terra di riconciliazione, di pace e di amore. Se Dio ha posto qui i nostri due popoli, deve averci anche dato la capacità, se vogliamo, di vivere insieme e di stabilirvi giustizia e pace, facendone veramente una terra di Dio (...).
2.3.2. (...) L’Occidente ha tentato di fare ammenda per ciò che gli ebrei hanno subito in Europa, ma lo ha fatto a nostre spese e sulla nostra terra. Ha tentato di correggere un’ingiu-stizia creandone un’altra. (...).
2.4. Dichiariamo che qualunque uso della Bibbia per legittimare o sostenere opzioni politiche che si basino sull’ingiustizia trasforma la religione in ideologia e spoglia la Parola di Dio della sua santità, universalità e verità.
2.5. Dichiariamo anche che l’occupazione della terra palestinese da parte di Israele è un peccato contro Dio e contro l’umanità poiché nega ai palestinesi diritti umani fondamentali, conferiti da Dio. (...).
3. Speranza
3.1. Nonostante l’assenza di aspettative positive, la nostra speranza rimane forte. L’attuale situazione non lascia intravedere una soluzione rapida o la fine dell’occupazione. È vero, le iniziative di pace, le conferenze, le visite, i colloqui sono numerosi, ma non hanno avuto impatto sulla nostra situazione di sofferenza. Neppure l’annuncio da parte del presidente Obama di un nuovo atteggiamento degli Stati Uniti per porre fine alla tragedia ha prodotto cambiamenti. Il rifiuto di Israele verso qualsiasi soluzione non lascia spazio ad aspettative positive. Nonostante ciò, la nostra speranza resta forte, perché viene da Dio. (...).
3.2. Qual è il significato della speranza? La speranza per noi è soprattutto fede in Dio e, secondariamente, aspettativa di un futuro migliore, a dispetto di tutto. In terzo luogo, significa non inseguire illusioni: sappiamo che la soluzione non è vicina. La speranza è la capacità di vedere Dio in mezzo al dolore. Da questa visione deriva la forza per restare saldi e continuare a lavorare per trasformare la nostra realtà. Speranza significa non arrendersi al male ma continuare a resistergli. Non c’è nel presente o nel futuro nient’altro che distruzione. (...). Se, a dispetto di tutto questo, resistiamo a tale realtà e lavoriamo sodo, forse la distruzione che incombe all’oriz-zonte non ci travolgerà.
3.3. Segni di speranza. La Chiesa della nostra terra, con i suoi leader e i suoi fedeli, e nonostante i limiti e le divisioni, mostra tanti segni di speranza. Le nostre comunità parrocchiali sono vivaci e i giovani sono in maggioranza apostoli di giustizia e di pace. (...).
3.3.1. Tra i segni di speranza vi sono i tanti centri locali di teologia, con il loro carattere religioso e sociale. Lo spirito ecumenico, anche se esitante, si palesa sempre più negli incontri delle nostre varie comunità ecclesiali.
3.3.2. Possiamo aggiungere i numerosi incontri relativi al dialogo interreligioso, al dialogo cristiano-islamico, che coinvolge i leader religiosi e una parte del popolo. Bisogna riconoscere che il dialogo è un processo lungo che si perfeziona attraverso lo sforzo quotidiano di coloro che vivono le stesse sofferenze e le stesse aspettative. Esiste dialogo anche fra le tre religioni, giudaismo, cristianesimo e islam, così come non mancano incontri a livello accademico e sociale. (...).
3.3.3. Uno dei segni di speranza più importanti viene dalla fede permanente nella giustizia della causa e dalla difesa della memoria della “Nakba” (catastrofe) e del suo significato. (...).
3.3.4. (...). La consapevolezza mondiale del bisogno di restaurare i diritti politici dei palestinesi è in aumento, grazie anche alle voci ebree e israeliane che invocano pace e giustizia. Queste forze a favore della giustizia e della riconciliazione non sono ancora in grado di trasformare la situazione di ingiustizia, ma possono abbreviare il tempo della sofferenza e affrettare quello della riconciliazione.
3.4. La missione della Chiesa. La nostra è una Chiesa di persone che pregano e servono. Questa preghiera e questo servizio sono una profezia che custodisce la voce di Dio nel presente e nel futuro. (...).
3.4.1. La missione della Chiesa è quella di annunciare la Parola di Dio con coraggio, dolcezza e amore per tutti nel contesto locale e nel cuore degli eventi quotidiani. Se la Chiesa si schiera con qualcuno, è dalla parte degli oppressi, proprio come Cristo nostro Signore si è posto dalla parte di ogni povero e di ogni peccatore, invitandolo a pentirsi, a vivere, a ritrovare la dignità riconosciutagli da Dio e che nessuno ha il diritto di portargli via.
3.4.2. La missione della Chiesa è quella di proclamare il Regno di Dio, un regno di giustizia, di pace e di dignità. La nostra vocazione, come Chiesa vivente, è quella di testimoniare la bontà di Dio e la dignità di ogni essere umano. (...).
3.4.3. La Chiesa annuncia il Regno, che non può legarsi ad alcun regno terreno. (...). Quindi, la religione non può favorire o supportare alcun regime politico ingiusto, ma deve promuovere la giustizia, la verità e la dignità umana. E deve tentare in ogni modo di purificare i regimi in cui gli esseri umani subiscano ingiustizie o in cui la dignità umana venga violata. Il Regno di Dio sulla terra non dipende da alcun sistema politico, poiché è più grande e più inclusivo di qualunque sistema politico particolare. (...).
3.4.5. Le circostanze dolorose in cui la Chiesa palestinese ha vissuto e continua a vivere l’hanno spinta a purificare la sua fede e a scoprire la sua vocazione. Abbiamo riflettuto sulla nostra vocazione e siamo arrivati a conoscerla meglio in mezzo alle sofferenze e al dolore: oggi, possiamo contare sulla forza dell’amore piuttosto che della vendetta, su una cultura di vita piuttosto che di morte. Questa è una fonte di speranza per noi, per la Chiesa e per il mondo.
3.5. La risurrezione è la fonte della nostra speranza. Proprio come Gesù ha vinto la morte e il male, anche noi abbiamo la capacità, come ogni abitante di questa terra, di vincere il male della guerra. (...).
4. Amore
4.1. Il comandamento dell’amore. Cristo ha detto: “Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). (...). “Avete inteso che fu detto ‘amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico’. Ma io vi dico ‘Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti’”. (...).
4.2. Resistenza. Le parole di Gesù sono chiare. Amare, ecco il suo comandamento. Amare gli amici e i nemici. È questo il principio da seguire quando ci troviamo in circostanze in cui dobbiamo rispondere al male, quale esso sia.
4.2.1. Amare è vedere il volto di Dio in ogni essere umano. Ogni persona è mio fratello o mia sorella. Tuttavia, vedere il volto di Dio in ogni persona non significa accettare il male o l’aggressione da parte di questa. Piuttosto, questo amore cerca di correggere il male e di fermare l’aggressione. L’ingiustizia contro il popolo palestinese, cioè l’occupazione israeliana, è un male a cui bisogna resistere e che bisogna rimuovere. La principale responsabilità è degli stessi palestinesi che subiscono l’occupazione. L’amore cristiano ci invita a resistere all’occupazione. Tuttavia, l’amore mette fine al male camminando sulle vie della giustizia. La responsabilità è inoltre della comunità internazionale, poiché oggi sono le leggi internazionali a regolare i rapporti tra i popoli. Infine la responsabilità è di coloro che perpetuano l’ingiustizia: essi devono liberarsi dal male che è in loro e dall’ingiustizia che hanno imposto agli altri. (...).
4.2.3. La nostra scelta come cristiani di fronte all’occupa-zione è la resistenza: un diritto e un dovere per i cristiani. Una resistenza che deve seguire la logica dell’amore. E quindi una resistenza creativa, perché deve trovare strade umane che impegnino l’umanità del nemico. (...).
4.2.4. Cristo ci ha lasciato un esempio da imitare. Dobbiamo resistere al male, ma non possiamo combattere il male con il male. È un comandamento difficile, soprattutto quando il nemico si ostina nella sua tirannia e continua a negare il nostro diritto a esistere qui, nella nostra terra. È un comandamento difficile, ma è il solo che può contrastare le dichiarazioni delle autorità occupanti che calpestano il nostro diritto ad esistere e le tante scuse che esse accampano per continuare ad imporci l’occupazione.
4.2.5. Resistere al male dell’occupazione è quindi espressione dell’amore cristiano che rifiuta il male e lo corregge. (...). Possiamo ricorrere alla disobbedienza civile, resistere non con la morte ma con il rispetto della vita. Nutriamo rispetto e considerazione per tutti coloro che hanno offerto la propria vita per la nostra Patria. E sosteniamo che ogni cittadino debba essere pronto a difendere la propria vita, la propria libertà, la propria terra.
4.2.6. L’appello a individui, imprese e Stati lanciato dalle organizzazioni civili palestinesi, dagli organismi internazionali, dalle ong e da alcune istituzioni religiose a boicottare economicamente e commercialmente tutti i prodotti dell’occupa-zione rientra nella logica della resistenza pacifica. Queste campagne di sostegno e di solidarietà devono essere portate avanti con coraggio, proclamando sinceramente ed apertamente che il loro scopo non è la vendetta ma la fine del male esistente, per liberare sia gli oppressori che gli oppressi. (...).
4.3. Con il nostro amore, supereremo le ingiustizie e stabiliremo le fondamenta di una società nuova per noi e per i nostri avversari. Il nostro futuro e il loro futuro sono la stessa cosa, che sia il cerchio della violenza che distruggerà entrambi o la pace di cui entrambi beneficeremo. (...). Ci appelliamo al popolo di Israele affinché sia nostro alleato a favore della pace e non del ciclo di una violenza senza fine. (...).
5. Appello ai fratelli e alle sorelle nella fede
5.1. Ci troviamo oggi in una impasse, di fronte a un futuro minaccioso. La nostra parola per tutti i fratelli e le sorelle nella fede è una parola di speranza, pazienza e perseveranza, per uno sforzo sempre nuovo verso un futuro migliore. Noi, come cristiani, portiamo un messaggio, e continueremo a portarlo nonostante le spine, il sangue e le difficoltà di ogni giorno. Riponiamo la speranza in Dio, che concederà la pace quando sarà il momento. Ma, allo stesso tempo, continuiamo ad operare insieme a Dio e secondo il volere di Dio, costruendo, resistendo al male e avvicinando il giorno della giustizia e della pace.
5.2. Diciamo ai nostri fratelli e sorelle: questo è un tempo di penitenza che ci riporta alla comunione d’amore con chiunque soffra: con i prigionieri, con i feriti, con i portatori di handicap temporanei o permanenti, con i bambini che non possono vivere la loro infanzia e con chiunque pianga un proprio caro. La comunione d’amore suggerisce ad ogni credente in spirito e verità che, se mio fratello è prigioniero, io sono prigioniero; se la sua casa è distrutta, la mia casa è distrutta; quando mio fratello viene ucciso, io vengo ucciso. Ci troviamo di fronte alle stesse sfide e condividiamo ciò che è accaduto e ciò che accadrà. Sia come individui che come leader religiosi, siamo stati forse in silenzio quando avremmo dovuto gridare per condannare l’ingiustizia e condividere la sofferenza. Questo è un tempo di pentimento per il nostro silenzio, per l’indifferenza, per la mancanza di comunione, o perché non siamo stati fedeli alla nostra testimonianza o perché non abbiamo pensato e fatto abbastanza per cercare una visione nuova che ci unisse, svilendo la nostra testimonianza e indebolendo la nostra parola. Per esserci preoccupati delle istituzioni, a danno del nostro messaggio, mettendo a tacere la voce profetica donata dallo Spirito alle Chiese. (...).
5.4. La nostra comunità è piccola ma la nostra missione è grande e importante. Il nostro Paese ha urgente bisogno d’amore. Il nostro amore è un messaggio al musulmano e all’ebreo, così come al resto del mondo. (...).
6 Appello alle Chiese del mondo
6.1. (...) Chiediamo alle Chiese di non offrire una copertura teologica all’ingiustizia di cui siamo vittime. La domanda che rivolgiamo oggi ai nostri fratelli e sorelle in tutte le Chiese è: siete in grado di aiutarci a riacquistare la nostra libertà, considerando che questa è l’unica via per aiutare i due popoli a raggiungere la giustizia, la pace, la sicurezza e l’amore?
6.2. Per comprendere la nostra realtà, diciamo alle Chiese: venite e vedrete. Noi faremo la nostra parte, vi faremo conoscere la verità della nostra situazione, ricevendovi come pellegrini che vengono a noi per pregare e portare un messaggio di pace, amore e riconciliazione. Conoscerete i fatti e la gente di questa terra, palestinesi e israeliani.
6.3. Condanniamo ogni forma di razzismo, religioso o etnico, compresi l’antisemitismo e l’islamofobia, e vi chiediamo di condannarli e di combatterli in ogni loro espressione. Allo stesso tempo vi esortiamo a parlare nella verità e a prendere posizione nella verità riguardo l’occupazione di Israele in terra palestinese. Come abbiamo già detto, riteniamo che il boicottaggio e il ritiro degli investimenti siano mezzi nonviolenti di giustizia, pace e sicurezza per tutti.
7. Appello alla comunità internazionale
Chiediamo alla comunità internazionale di porre termine alla pratica dei due pesi e delle due misure e di applicare a entrambe le parti le risoluzioni internazionali relative alla questione palestinese. Un’applicazione selettiva delle leggi internazionali ci rende vulnerabili alla legge della giungla. Legittima le posizioni dei gruppi armati e di chi ritiene che la comunità internazionale comprenda solo la logica della forza. Quindi, vi invitiamo a rispondere alla proposta delle istituzioni civili e religiose: l’avvio di un sistema di sanzioni economiche e di boicottaggio contro Israele. Ripetiamo ancora una volta che questa non è vendetta, ma un’azione seria per raggiungere la pace giusta e definitiva che porrà fine all’occupazione di Israele e garantirà la sicurezza e la pace per tutti.
8. Appello ai leader religiosi musulmani ed ebrei
8.1. Infine, rivolgiamo un appello ai leader religiosi e spirituali, ebrei e musulmani, con i quali condividiamo la stessa visione che ogni essere umano è creato da Dio e ha uguale dignità. Da qui l’obbligo per ciascuno di noi di difendere gli oppressi e la dignità che Dio ha riservato loro. (...).
9. Appello al nostro popolo palestinese e agli israeliani
9.1. (...) Il nostro appello è affinché si raggiunga una visione comune, costruita sull’eguaglianza e sulla condivisione, non sulla superiorità, sulla negazione dell’altro o sull’ag-gressione sotto il pretesto della paura e della sicurezza. Sosteniamo che l’amore è possibile e che lo è anche la fiducia reciproca. E quindi la pace e la definitiva riconciliazione, da cui deriveranno giustizia e sicurezza per tutti.
9.2. L’istruzione è importante. (...). È giunto il tempo di iniziare una nuova formazione che permetta di vedere il volto di Dio nell’altro e dimostri che siamo capaci di amarci a vicenda e di costruire il nostro futuro insieme in pace e sicurezza.
9.3. Costruire uno Stato religioso, ebraico o islamico, significa annientarlo, confinandolo entro limiti troppo ristretti, condannandolo a praticare la discriminazione e l’esclusione, a dare la preferenza a un cittadino rispetto all’altro. (...).
9.4. Ai leader palestinesi diciamo che le divisioni interne ci indeboliscono e causano maggiori sofferenze. Niente può giustificarle. Per il bene del popolo, che deve oltrepassare quello dei partiti politici, bisogna superarle. Facciamo appello alla comunità internazionale affinché offra il suo sostegno in tal senso e rispetti il volere liberamente espresso dal popolo palestinese.
9.5. Gerusalemme è il fondamento della nostra visione e della nostra intera vita. È la città a cui Dio ha riservato particolare importanza nella storia dell’umanità. (...). Oggi, la città è abitata da due popoli e da tre religioni; ed è su questa visione profetica e sulle risoluzioni internazionali che riguardano tutta Gerusalemme che si deve basare una soluzione politica. Questo è il primo tema che deve essere negoziato, poiché il riconoscimento e il messaggio della santità di Gerusalemme saranno fonte di ispirazione per la soluzione dell’intero problema (...).
10. Speranza e fede in Dio
10.1. In assenza di speranza, alziamo il nostro grido di speranza. Crediamo in Dio, buono e giusto. Crediamo che la bontà di Dio trionferà infine sull’odio e sulla morte che persistono nella nostra terra. Vedremo qui “una nuova terra” e “un nuovo essere umano”, capace di innalzarsi nello spirito fino ad amare ognuno dei suoi fratelli e delle sue sorelle.
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