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“FIRENZE 2”: DIBATTITO APERTO FRA “CONTENTI” E “SCONTENTI”, IN ATTESA DELL’INCONTRO DEL 6 FEBBRAIO

Tratto da: Adista Notizie n° 8 del 30/01/2010

35399. FIRENZE-ADISTA. Prosegue il dibattito in vista dell’incontro “Il Vangelo ci libera, e non la Legge” in programma a Firenze, nella parrocchia di Santo Stefano in Pane (via delle Panche, 36), il prossimo 6 febbraio. Il nodo è sempre lo stesso: l’affermazione, contenuta nella lettera di convocazione – firmata, fra gli altri, da don Paolo Giannoni, Giuseppe Ruggieri, Angelina Alberigo, Maria Cristina Bartolomei, Luciano Guerzoni ed Enrico Peyeretti – di superare “la necessità di dar voce ancora una volta al disagio di tanti nella Chiesa di oggi” (v. Adista n. 116/09). Dopo le ‘contestazioni’ iniziali dei cattolici promotori, nel 2007, della Lettera alla Chiesa fiorentina, che hanno ritirato la loro adesione di gruppo a “Firenze 2”, la risposta di don Giannoni (v. Adista n. 4/10) e gli interventi di Vittorio Bellavite, Maria Cristina Bartolomei, Giancarla Codrignani e Marcello Vigli (v. Adista n. 6/10), sul sito ufficiale dell’incontro www.statusecclesiae.net sono comparsi numerosi altri interventi, ed altri ne continuano ad arrivare.

“Contenti” e “scontenti”

Da parte di alcuni gruppi “scontenti” – scrive Giuseppe Ruggieri riferendosi in particolare a “Noi Siamo Chiesa” e a quello della Lettera alla Chiesa fiorentina – c’è una “attenzione prioritaria alle situazioni ‘difficili’ che per se stessa sarebbe capace di generare, per la reazione sana di quanti si ispirano ad un rinnovamento che parta dalla base attenta al Vangelo, una ben più sana esperienza di Chiesa. Personalmente non condivido questo metodo. In tanti anni si è dimostrato ultimamente sterile. Nella storia della Chiesa sono state persone cristianamente robuste e idee forti che hanno operato nel senso giusto e non già lamenti e invocazioni”. Prosegue: “Il peccato degli altri deve essere portato con il sentire in grande di Dio sulle nostre spalle. Ma lamentarsi e piangere sulle spalle degli altri serve a ben poco”.

Una posizione condivisa da don Paolo Maria Blasetti, che si dice “contento che non ci si fermi tanto sul disagio, quanto piuttosto si individui una via che possa essere una risposta al disagio”. Mentre Antonio Gorgellino chiede di ampliare il discorso “sulla condivisione di esperienze di Chiesa che attualmente si vivono. Non solo fare teologia (necessaria) ma fare assemblea-comunione di esperienze ovvero fare Chiesa nel senso più ampio”, perché “fermarsi alla sola teologia, diventa materia sterile”.

“Il Vangelo ci libera e non la Legge, ma una normativa su una serie sterminata di punti esiste di fatto nella Chiesa e viene fatta valere (più o meno giustamente a seconda dei punti di vista) da chi ha autorità nella Chiesa”, argomenta Dario Maggi. “È vero quindi che l'essenziale è compreso nel titolo proposto, però sono anche vere due altre cose: che il disaccordo o il dissenso o il disagio che pur nella Chiesa esistono si pongono verosimilmente a un livello più ‘basso’ rispetto al livello ‘alto’ del pensiero paolino proposto nel titolo; che gran parte della credibilità (o non credibilità) della Chiesa e del suo annuncio si gioca sul dettaglio (e a volte su pessimi dettagli): su come viene impostata una normativa che si pretende intoccabile perché intimamente legata al Vangelo, ma di cui molti non vedono affatto il legame che la collegherebbe al Vangelo stesso. Credo che di questi due fatti concreti occorrerebbe tener conto, nel trattare il tema di Vangelo e Legge. Sono d'accordo che alla lunga sia sterile insistere su di un approccio di tipo contestatario e che sia più giusto costruire, ‘guardare avanti’ (e possibilmente far guardare avanti anche chi non è nella Chiesa d'accordo con noi), ma è anche vero che le tensioni rimangono”. Eppure proprio perché tali tensioni “vengono poste al livello basso, occorre riportarle al livello alto”, replica don Giannoni. “Esistono molte forme di volgarità”, scrive. “Una è quella del tono basso. Se potessimo giungere a questa coscienza, automaticamente finirebbe quella lotta tra sinedri che si attua nel non-dialogo fra integralismo magisteriale e contestazione di base. La soluzione dei problemi non è nel confronto fra le posizioni, ma nella volontà di portare la propria posizione verso l’ultima verità che in essa è già presente nelle sue motivazioni e nei suoi contenuti, perché tutto sa dell’infinito che è ogni essere”.

 

La sinodalità come metodo

Un’impostazione ‘dirigista’, quella di don Giannoni, che non piace all’associazione “Nuovi orizzonti” di Messina, animata dal gesuita p. Felice Scalia. “Ci pare che l’iniziativa di quest’anno – si legge nel contributo del gruppo – mentre è orientata a dare ascolto alle diverse esperienze e sensibilità espresse dai gruppi e comunità di cristiani, dal basso, finisca per riportare al centro, che non è chiaro da chi e come sia costituito, l’azione di sintesi e quella di prospettiva che ci vuol dare. Prova ne sia che anche lo scambio e l’interlocuzione in assemblea risulta molto penalizzato nei tempi e nei modi, quasi che costituiscano un di più rispetto all’analisi che risulterebbe perciò pre-costituita, come pure il percorso che ci vuol dare. Se la sinodalità è un valore, ma anche un metodo, questa dovrebbe condurre a forme di partecipazione attiva, di elaborazione, di dialogo e di decisione veri”.

Da parte del gruppo messinese c’è poi anche una riflessione sulla Chiesa italiana di oggi, che – si legge – dovrebbe “far suo lo stile e gli atteggiamenti di Gesù, il quale di fronte all’umanità ferita, debole, malata, affamata, sfruttata ha com-passione e sceglie di violare la legge quando ciò sia richiesto per poter servire l’uomo (‘Non è l’uomo fatto per il Sabato, ma il Sabato fatto per l’uomo’). Non ci sembra che in questa prospettiva ci siamo posti come Chiesa, di fronte alle ferite e alle domande dell’uomo di oggi. È sembrata prevalente la Chiesa dei moralismi, delle proibizioni, dei valori non negoziabili, che sbarrano le porte alle istanze che provengono da tante parte di umanità. Tante sorelle e fratelli, nonché tanti gruppi e comunità, piuttosto che sentire la maternità della Chiesa, sono stati da essa allontanati, o, comunque sia, emarginati, quando, invece, potrebbero essere i soggetti veri del Vangelo dell’Amore e dell’accoglienza. Il Vangelo dell’accomodamento e del compromesso ha prevalso su quello della radicalità e dell’Amore”.

“Nel caso della Chiesa italiana - prosegue il gruppo messinese - abbiamo concorso e, di certo, non osteggiato una deriva disumanizzante e priva di slanci e di speranze che sembra caratterizzare la nostra società. Piuttosto che ricercare vie nuove e coraggiose di ‘evangelizzazione e promozione umana’, in linea con gli auspici e le aperture del Concilio Vaticano II, abbiamo coltivato mire mondane di accordi, compromessi, vantaggi che politiche governative hanno assecondato, asservendosi alle istanze e pressioni della Chiesa, per meglio asservirla. Così che oggi la società italiana, nonostante la posizione preminente guadagnata negli spazi pubblici dalla Chiesa cattolica, ci appare segnata da un forte degrado etico, anche nei suoi vertici istituzionali, da politiche governative fondate su scelte razziste e di disprezzo verso le minoranze, e, in campo economico, il prezzo sociale più alto lo si fa pagare alle tante famiglie che vivono la crisi in modo sempre più drammatico. Lo spazio pubblico guadagnato dalla Chiesa coincide con la perdita o, almeno, con l’attenuazione della sua autentica vocazione ad essere fermento e lievito della società, proponendo modelli, idealità e stili alternativi, rispetto alle logiche mondane”. (l. k.)

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