DIFENDERE UN FIUME PER DIFENDERE UN POPOLO. LA LOTTA DEGLI INDIGENI PER UNA “NUOVA STORIA”
Tratto da: Adista Documenti n° 15 del 20/02/2010
DOC-2240. ROMA-ADISTA. Sono venuti in Europa per tentare di salvare il “Vecchio Chico”, come viene affettuosamente chiamato il Rio São Francisco (Opará per i popoli indigeni), uno dei principali fiumi del Brasile, minacciato dal megaprogetto di trasposizione voluto a tutti i costi dal governo Lula: Manoel Uilton dos Santos, leader del popolo indigeno Tuxá e coordinatore dell’Apoinme (organizzazione che riunisce i popoli indigeni del Nordest del Brasile), Edilene Bezerra Pajeú, leader del popolo indigeno Truká, e Saulo Ferreira Feitosa, segretario esecutivo del Consiglio indigenista missionario (Cimi), si sono rivolti agli organismi internazionali di difesa dei diritti umani, ai governi e alla società civile europea, denunciando il devastante impatto socio-ambientale del faraonico progetto di trasposizione. La mega opera - che prevede la costruzione di due canali di deviazione delle acque di più di 600 km di lunghezza, 2 dighe idroelettriche, 9 stazioni di pompaggio, 27 acquedotti, 8 tunnel e 35 dighe di contenimento e riserva dell’acqua - era stata presentata dal governo Cardoso allo scopo di risolvere il problema della siccità nella regione del “semi-arido” brasiliano, per quanto fosse, in realtà, tagliata su misura per la cosiddetta “industria della siccità”, l'élite dei grandi proprietari del Nordest. Con l'avvento del governo Lula, si era sperato che il progetto venisse abbandonato, ma le aspettative sono andate presto deluse.
Contro tale progetto - di cui in Italia si è parlato in particolare in occasione dei due scioperi della fame condotti da dom Flávio Cappio contro quella che è una delle maggiori opere previste dal Programma di Accelerazione della Crescita (Pac) del governo Lula (v. Adista nn. 69 e 73/05, 85/07 e 59/09) - è schierata la “Campagna Opará. Popoli Indigeni in difesa del fiume São Francisco”, che sottolinea la necessità di promuovere un vero sviluppo per la popolazione povera della regione, in una logica di convivenza con il “semi-arido”, rispettando le leggi di un ecosistema fragile e adottando soluzioni semplici, economiche e praticabili. Quelle, per l’appunto, previste dall’Atlante del Nordest dell’Agenzia nazionale delle Acque: 530 opere per più di mille municipi, destinate a rifornire d’acqua 34 milioni di persone (con un costo di 3,6 miliardi di reais, contro i 6,6 miliardi del progetto di trasposizione). Una soluzione vantaggiosa da tutti i punti di vista, ma osteggiata dalle imprese legate al capitale internazionale, che del megaprogetto governativo hanno bisogno per promuovere l’allevamento di gamberetti e la produzione di frutta per l’esportazione (secondo gli studi di impatto ambientale, il 70% delle acque sarebbe destinato infatti alla frutticoltura, il 26% al rifornimento delle città e solo il 4% alla popolazione dei campi).
Se il progetto di trasposizione del Rio São Francisco è uno dei più devastanti, non è però certamente l’unico. Proprio durante la visita in Europa della delegazione della Campagna Opará, è giunta dal Brasile, il primo febbraio, la notizia del via libera dell’Ibama (Istituto brasiliano dell’Ambiente) alla costruzione della centrale idroelettrica di Belo Monte, sul Rio Xingu, in Pará, la maggiore dell’Amazzonia e la terza più grande del mondo. Una notizia accolta con indignazione dal presidente del Consiglio Indigenista Missionario dom Erwin Kräutler, vescovo di Xingu, secondo il quale l’Ibama avrebbe concesso l’autorizzazione non solo senza consultare i popoli indigeni e le comunità costiere, ma senza neppure informare esplicitamente che un terzo della città di Altamira finirà sott’acqua, senza trovare una sistemazione alternativa per i ribeirinhos (la popolazione tradizionale che vive ai margini dei fiumi amazzonici) e senza prevedere un risanamento delle aree adiacenti. Come sottolinea il biologo Paulo Brack, la minaccia per la foresta, per i popoli indigeni e per i ribeirinhos del Pará non viene solo dall’allagamento di 500 km quadrati di foresta amazzonica, ma anche dalla “trasformazione dagli ecosistemi lentici (acque correnti) del Rio Xingu in ecosistemi lotici (acque ferme)”, con la conseguente estinzione di innumerevoli specie di pesci, oltre che dall’inevitabile aumento della deforestazione, come già avvenuto con la costruzione delle centrali idroelettriche di Jirau e Santo Antônio.
Il governo brasiliano, tuttavia, non è certo l’unico a rendersi responsabile di violazioni dei diritti indigeni. Come spiega Aldo Zanchetta, grande esperto dei movimenti sociali e indigeni latinoamericani, in un suo articolo apparso sul n. 76 del Mininotiziario America latina dal basso curato dalla Fondazione Neno Zanchetta, “le resistenze all’emancipazione dei popoli indigeni sono forti all’interno dei vari governi, ivi compresi quelli ‘progressisti’”, i cui modelli di sviluppo risultano “tuttora improntati ad uno ‘sviluppismo’ basato sull’esportazione di materie prime non lavorate e su ampie concessioni di estrazione a società transnazionali estere”.
Di seguito l’intervista ai tre rappresentanti della Campagna Opará e l’articolo di Zanchetta. (claudia fanti)
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