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Elezioni regionali in Campania Resistenza civile contro la camorristicità della politica

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 22 del 13/03/2010

La Campania che si avvia alle elezioni di fine marzo è una regione dissanguata e impoverita. Dopo gli anni del cosiddetto “rinascimento napoletano” (un bluff costato caro a molti cittadini),   le elezioni arrivano nel pieno di una decadenza che sembra irrimediabile.

Nonostante le dichiarazioni trionfalistiche del capo della protezione civile Bertolaso, l’emergenza rifiuti è ben lontana dall’aver trovato una stabile soluzione. Del resto le intercettazioni delle conversazioni tra lo stesso Bertolaso e i suoi stretti collaboratori hanno mostrato il grado di spietatezza usato nel gestire il trattamento dei rifiuti e nel considerare il valore delle vite umane. La camorra continua indisturbata ad aprire nuove discariche e lungo le statali si assiste all’ininterrotta sequenza dei roghi notturni di rifiuti tossici che vengono carbonizzati mentre il reclamizzato termovalorizzatore, ovvero inceneritore, di Acerra, dopo la sontuosa inaugurazione berlusconiana, ha da subito mostrato i propri limiti di struttura obsoleta e mortifera superando ripetutamente la soglia del livello di guardia di rilascio di sostanze tossiche nell’atmosfera. Il grado elevatissimo di inquinamento trova prova incontrovertibile sulle coste dove il mare è sempre più in gran misura vietato alla balneazione continuando lo sversamento indiscriminato di fogne e residui industriali a causa di depuratori inattivi o inquinanti.

Si aggiungano i decenni di ininterrotta occupazione politico-clientelare della sanità pubblica che hanno accumulato un debito elevatissimo anche a causa del regalo del servizio nelle mani dei privati. Di fatto la sanità pubblica, che nei bilanci regionali assorbe più del 50% delle risorse, è stato un servizio controllato in questi anni direttamente dagli uomini di Ciriaco De Mita, un servizio spesso sospeso in Campania dove più volte, per settimane o per mesi, i cittadini hanno dovuto pagare di tasca propria medicinali, assistenza e diagnostica. Il contenimento della spesa è stato affrontato nel modo più facile e peggiore: taglio dei posti letto e dei servizi, senza intaccare né gli sprechi, né la gestione partitica dei primariati, degli accrediti e delle consulenze, né dedicando risorse alla prevenzione, unica e vera possibilità di risparmio nei tempi medio lunghi: in termini crudi, la politica preferisce cittadini ammalati da curare male e costosamente che semplice promozione della buona salute. Il risultato in Campania è una sanità, nonostante l’impegno di tanti operatori validi, molto mediocre e inaffidabile, tanto che lo stesso presidente Bassolino si è ben guardato dal fruirne, fuggendo in Svizzera per sottoporsi ad un intervento cardiochirurgico di routine.

In questo quadro di emergenza si va al voto regionale, e la prima impressione, a leggere programmi e liste, è sconfortante. Tralasciando la inverosimile candidatura del segretario nazionale di Rifondazione Comunista, partito che dopo un decennio di partecipazione diretta alla dissennata gestione regionale cerca di scrollarsi le gravissime corresponsabilità assunte presentandosi da solo, i programmi delle due forze maggiori sono una sagra dell’ovvio e si presentano sovrapponibili, come lo sono anche le storie dei candidati Caldoro e De Luca, funzionari di partito che da almeno 25 anni vivono esclusivamente di politica. Per quest’ultimo suscitano amara ilarità i manifesti 3 metri  per 6  che hanno invaso l’intera regione e nei quali De Luca si presenta come il candidato “al di là dei partiti”, affermazione incredibile per chi di partito ha vissuto per tutta la vita. Caldoro poi appare come un necessario ripiego dopo l’affondamento della candidatura dell’inquisito Cosentino. Ripiego incredibile, perché il Pdl resta saldamente nelle mani dello stesso Cosentino e dei suoi ascari. L’aver collocato poi, accanto a Caldoro, la candidatura specchietto per le allodole del ministro salernitano Carfagna, che una volta eletta non farà certo il consigliere regionale, rende bene l’idea dell’inganno al quale sono sottoposti i cittadini chiamati a votare persone che non li rappresenteranno.

Venendo alle liste che sono prova di un sistema oligarchico perfetto, oltre alle solite candidature familiari (mogli, figli, fratelli) e alle sanguinose faide tra le correnti del Partito Democratico, occorre considerare il lunghissimo elenco degli inquisiti candidati. Tra di loro primeggia la presidente del consiglio uscente Sandra Lonardo Mastella alla quale – a causa di diverse inchieste per gravissimi reati legati alla propria funzione politica – è stato proibito dalla magistratura l’ingresso in Campania e nel basso Lazio. Forse molti ignorano che la Lonardo ha guidato nell’ultimo anno, dopo gli arresti domiciliari, l’assemblea regionale dall’esilio romano. La sua candidatura – come quella di molti condannati e inquisiti dei due schieramenti – è il risultato di codici etici che i partiti si sono dati contemporaneamente a mille incredibili deroghe. Del resto il ritrovamento presso l’Arpac regionale del file contenente i nomi dei 625 assunti con accanto i nomi dei politici presentatori offre una prova dell’invasività capillare del sistema raccomandatizio-clientelare. Anche qui nomi di appartenenti a tutti i partiti a conferma che, oltre la camorra che uccide e controlla militarmente il territorio, vi è una “camorristicità” diffusa penetrata da tempo nelle istituzioni. È questa camorristicità nello Stato che rende praticamente invincibile la camorra. Una mentalità camorristica che sfugge ai professionisti della legalità e alle loro associazioni impegnate in proclami, progetti e ottenimento di finanziamenti, ma per nulla interessate a denunciare le responsabilità politiche e istituzionali del degrado morale, sociale e ambientale in cui versa oggi la Campania.

La sensazione che prova un osservatore disincantato e non nostalgico delle contrapposizioni ideologiche del passato, di fronte all’avvio di questa campagna elettorale, è quella di assistere ad una ennesima farsa. Chiunque sarà il vincitore, a pagare le cambiali della vittoria saranno i cittadini, soprattutto i più poveri e non garantiti. I gruppi economici responsabili del disastro ambientale continueranno a far utili con qualsiasi presidente, i grandi cartelli di interesse delle cliniche private e dei centri specialistici continueranno a divorare il bilancio della sanità. Ma soprattutto la Campania sembra destinata a vedere riaffermato un modello di sviluppo che è clamorosamente fallito. La vocazione agroalimentare e zootecnica della regione appare definitivamente tradita. Alla straordinaria fertilità della terra si continua a preferire la moltiplicazione di centri commerciali per indurre ad ogni costo al consumo e una pseudo industrializzazione altamente inquinante che sottrae all’agricoltura terreni che già conoscono processi avanzati di desertificazione e nei quali l’inquinamento delle acque deposita metalli pesanti rendendoli di fatto inservibili sia alle coltivazioni sia all’allevamento. È una condizione catastrofica della quale i politici non vogliono parlare, come non vogliono nemmeno ammettere che in Campania manca ancora un registro delle cause di morte e che quindi si vuol nascondere l’aumento esponenziale delle patologie tumorali e delle malformazioni legate all’inquinamento. Ma l’agricoltura sarà ancora più schiacciata dal famigerato Piano Casa, approvato a fine consiliatura insieme ad un lunghissimo elenco di nomine e di benefici preelettorali. Il Piano Casa Campania supera addirittura le linee di quello governativo di Berlusconi inserendovi ulteriori elementi di demagogia e mistificazione. Con l’annuncio di voler dare una casa a tutti, in particolare a quelli che non l’hanno, si prevedono edificazioni diffuse in aree agricole, aree industriali dismesse e aumenti faraonici delle volumetrie dell’esistente. Una ennesima colata di cemento in una regione nella quale l’abusivismo è la regola e non l’eccezione. Con centinaia di migliaia di alloggi vuoti, con case costruite sulle spiagge, su terreni demaniali o vincolati, ecco arrivare l’edificazione di nuove periferie e un incremento di necessità di cemento e quindi nuove cave, nuova devastazione di colline, nuovi affari per la camorra, nuovo disagio sociale e nuove marginalità.

Dinanzi a questa catastrofe che fare? Resta solo uno spazio per una resistenza civile che sappia investire nel lungo periodo facendosi carico di una formazione capillare che aiuti, attraverso riflessione e studio, a smascherare le mistificazioni. Solo questo può restituire, oltre le liturgie elettorali, il potere ai cittadini superando l’equivoco delle oligarchie mascherate da gruppi dirigenti.

* Docente di Storia della Chiesa alla Facoltà teologica dell’Italia Meridionale e alla Pontificia Università Gregoriana

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