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Firenze 2 Ripartire dal Popolo di Dio

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 31 del 17/04/2010

Bisogna essere grati ad Adista che offre una sede per continuare il dibattito iniziato a Firenze sulla  duplice  questione: come  testimoniare il Vangelo nella società e come costruire la Chiesa garante della continuità nell’evangelizzazione.

In verità il problema è uno solo. Non si può essere cristiani senza costruire Chiesa come comunità testimone, nei fatti, di un amore vissuto e non solo annunciato. “Una comunità ispirata al cristianesimo dovrebbe vivere in modo inscindibile proposta della Parola e relazioni interpersonali basate sull’attenzione e l’ascolto reciproci”, si legge nella relazione di Italo De Sandre a Firenze. Una comunità di eguali distinti per funzioni non per ruoli, come lascia intendere anche Dario Maggi nel suo intervento (v. Adista n. 22/2010) quando scrive: “Se poi un vescovo accettasse di venire ad ascoltare, ma anche a farsi ascoltare, al convegno stesso, questo potrebbe essere per noi e per lui l’inizio di una comunione più autentica”. Le Comunità di Base hanno vissuto questa esperienza in diverse occasioni, come si narra  in Coltivare Speranza, il libro che ripercorre il cammino del loro farsi movimento: Antonio Cantisani, vescovo di Catanzaro, nel dicembre 1981 sedette fra i partecipanti al loro seminario sull’eucarestia e, dopo aver ascoltato, intervenne; Jaques. Gaillot, vescovo di Partenia, fu maestro in un altro loro incontro a Livorno, nel dicembre 1995; il card. Piovanelli visitò nel 1985 la Comunità dell’Isolotto e Clemente Riva, ausiliare di Roma, più volte quella di San Paolo. Le CdB hanno continuato ad  invitare il vescovo del luogo dove annualmente si riuniscono, resistendo alla tentazione di costituirsi come ‘corpo separato’, ma il ‘miracolo’ di Catanzaro non si è ripetuto.

È giusto non rimproverare alla Chiesa istituzionale una scarsa attenzione all’ascolto delle ragioni degli altri, ma è bene chiedersi se questa attenzione sia possibile data la sua struttura, che non ha sopportato neppure l’introduzione della modesta innovazione conciliare del Sinodo dei vescovi. Non si può ignorare che i suoi ‘funzionari ad ogni livello sono formati all’impegno di conservare una comunione ecclesiale gerarchizzata. Quelli di loro che accettano di collocarsi dentro e non sopra il Popolo di Dio lo fanno derogando da quell’impegno magari perché, come Romero, sono stati contagiati dalla sua frequentazione. Per questo dall’interno di questo Popolo si dovrebbero creare dal basso delle occasioni per interrogarsi proprio sull’adeguatezza di questa struttura, configurata  in altri tempi da quelli che stiamo vivendo.

Di una tale occasione ho parlato durante Firenze 2, proponendo la convocazione di Stati generali della Chiesa, promossi dalla base. Purtroppo, per difficoltà tecniche, il mio intervento non appare nel resoconto sul sito www.statusecclesiae.net e non ho qui spazio sufficiente per argomentare ancora la mia proposta. Mi limito a sottolineare, per evitare l’equivoco che intendessi ‘democratizzare’ la Chiesa, che ai tempi delle monarchie assolute l’Assemblea degli Stati generali vedeva sedere a fianco, ma distinti, rappresentanti dei tre stati in cui era divisa la società: clero, nobiltà e borghesia. Si tratterebbe di far dialogare gerarchia, clero, religiose/i, laiche e laici. La rilancio perché potrebbe interessare i tre gruppi, di Torino, Padova e Firenze che, sullo stesso numero di Adista, hanno lanciato l’idea di auto-convocarsi a Camaldoli: persone intorno ai trent’anni, figli della Chiesa conciliare, con l’intento di “interrogare la propria fede e la propria appartenenza ecclesiale, confrontando le proprie esperienze e mettendosi in gioco nel confronto reciproco”. Qualcosa di simile fecero i gruppi e le Comunità che si auto-convocarono quarant’anni fa a Roma proprio per interrogarsi sul “credere la Chiesa”, soprattutto quando in essa si soffre, si dibatte, si lotta, si hanno dubbi e desideri. Se l’incontro di Camaldoli permetterà ad “una generazione spesso silente nella Chiesa di conoscersi e di riconoscersi, ritrovando lo spirito del Concilio”, questo risultato potrà ascriversi fra i frutti migliori del chicco di senape seminato con la convocazione delle assemblee di Firenze.

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