UMANITÀ, ULTIMA CHIAMATA. DA COCHABAMBA L’OFFENSIVA DEI POPOLI IN DIFESA DELLA MADRE TERRA
Tratto da: Adista Documenti n° 38 del 08/05/2010
DOC-2258. COCHABAMBA-ADISTA. “O muore il capitalismo o muore la Madre Terra”: l’alternativa di fronte a cui si trova l’umanità è tutta in queste parole del presidente boliviano Evo Morales, pronunciate durante il discorso di inaugurazione della Conferenza Mondiale dei Popoli sul Cambiamento Climatico e i Diritti della Madre Terra, svoltasi a Cochabamba (e più precisamente a Tiquipaya, a 12 chilometri di distanza) dal 19 al 22 aprile (v. Adista n. 32/10). Se alla Conferenza di Copenhagen sul clima dello scorso dicembre (la Cop 15: 15.ma Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici; v. Adista nn. 129/09 e 1/10) la logica del capitale si era decisamente imposta sui diritti della Madre Terra e dunque anche dell’umanità, a Cochabamba il discorso è stato completamente ribaltato: è il capitalismo, con la sua ostinata ricerca di una crescita infinita in un pianeta finito, la causa della distruzione del nostro pianeta, come pure delle terribili e sempre più gravi disuguaglianze sociali, e finché non si sostituirà questo sistema con un altro che ristabilisca l’armonia con la natura e l’equità tra gli esseri umani, “le misure che adotteremo - ha dichiarato Morales - avranno un carattere limitato e precario”.
Del resto, “se gli esseri umani possiedono dignità e diritti, come è universalmente accettato, e se la Terra e gli esseri umani costituiscono un’unità indivisibile, possiamo dire – ha evidenziato il teologo brasiliano Leonardo Boff – che la Terra partecipa della dignità e dei diritti degli esseri umani”. Da qui l’importanza del progetto di “Dichiarazione Universale dei Diritti della Madre Terra”, elaborato, alla vigilia della Conferenza di Cochabamba, “come complemento della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, affinché – si legge nel testo della Dichiarazione - serva come fondamento comune mediante il quale si possa guidare e valutare la condotta di tutti gli esseri umani, delle organizzazioni e delle culture”, sulla base dell’impegno “a cooperare con le altre comunità umane, le organizzazioni pubbliche e private, i governi e le Nazioni Unite, per garantire il riconoscimento universale ed efficace e l’osservanza delle libertà fondamentali, dei diritti e dei doveri consacrati in questa Dichiarazione, tra tutti i popoli, le culture e gli Stati della Terra”.
E ora ci ascoltino
E di certo appaiono come una sconfessione totale della linea emersa a Copenhagen le richieste avanzate dalla Conferenza di Cochabamba, a cui hanno partecipato oltre 35mila rappresentanti di 142 Paesi (con la presenza di delegazioni ufficiali di 47 Paesi). D’altra parte, come ha sottolineato il presidente boliviano, se i Paesi cosiddetti sviluppati “avessero rispettato il Protocollo di Kyoto e deciso di ridurre le emissioni di gas contaminanti all’interno delle loro frontiere, questa conferenza non sarebbe stata necessaria. Poiché, al contrario, la maggioranza dei governanti non ama ascoltare i propri popoli, questi sono dovuti venire a Cochabamba, cuore della Bolivia, per difendere l’umanità”.
Le proposte condivise al termine delle tre giornate di lavoro - contenute nella dichiarazione finale, l’“Accordo dei Popoli”, sottoscritta il 22 aprile, giornata internazionale della Madre Terra - riguardano, in particolare, la richiesta di riconoscimento del debito climatico contratto dai Paesi industrializzati; la riduzione del 50% delle loro emissioni contaminanti rispetto al 1990; la creazione di un Tribunale Internazionale per la Giustizia Climatica ed Ambientale come istanza giuridica vincolante; il lancio di un Referendum Mondiale sul Cambiamento Climatico. Proposte che verranno promosse dai governi dell’Alba nelle diverse sedi istituzionali, a cominciare dalla cruciale Cop 16 in programma nel dicembre prossimo a Cancún, dove si sono date appuntamento tutte le realtà presenti a Cochabamba (e in vista della quale il presidente Hugo Chávez ha proposto la creazione di un fondo economico per facilitare la partecipazione dei rappresentanti sociali). “Quello che ora ci compete è non lasciare queste risoluzioni sulla carta, ma metterle in pratica e premere sui governi perché le traducano in politiche di difesa della Madre Terra”, ha spiegato Morales annunciando, da parte sua, la creazione di un Ministero per i Diritti della Madre Terra e l’avvio di un programma di riforestazione grazie a cui verranno piantati 10 milioni di alberi, uno per ogni abitante della Bolivia, entro il 22 aprile del 2011. E quanto lavoro ci sia da fare per realizzare il passaggio dalle parole ai fatti lo dimostrano i rilievi avanzati nei confronti dello stesso governo boliviano dalla “mesa 18”, il gruppo di lavoro non ufficiale che, al di fuori della sede della conferenza, ha rivendicato il diritto a denunciare i progetti di sfruttamento minerario e degli idrocarburi portati avanti in Bolivia, pur precisando di non voler “screditare il governo né contestare la legittimità di una riunione di cui - hanno scritto i responsabili - ci sentiamo parte”, ma solo “formulare proposte che contribuiscano ad orientare il processo di cambiamento, assumendo la responsabilità di difenderlo e proteggerlo”.
Che le Nazioni diventino “Unite”
Se le Nazioni Unite, ha dichiarato il presidente boliviano durante la cerimonia di chiusura della Conferenza, svoltasi presso lo stadio Félix Capriles di Cochabamba, non presteranno ascolto alle richieste dei popoli, il nuovo Movimento Mondiale dei Popoli per la Madre Terra - a cui le forze presenti a Cochabamba si sono impegnate a dare vita, affinché promuova le conclusioni della conferenza presso l’Onu e i diversi governi - “dovrà far causa alle potenze industriali presso la Corte Internazionale di Giustizia, perché vengano obbligate al rispetto del Protocollo di Kyoto”. A lanciare l’allarme sulle strategie dei Paesi industrializzati in vista di Cancun è stata anche l’Alleanza Sociale Continentale, che ha denunciato “la nuova offensiva” diretta “a disconoscere l’Onu come quadro multilaterale dei negoziati sul cambiamento climatico”, sostituendola con “un mini-multilateralismo” pensato come lo “spazio decisionale di un’oligarchia globale” in cui le istituzioni finanziarie come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale “giocheranno il ruolo decisivo nella promozione di politiche di mercato e di false soluzioni tecnologiche”. Diventa allora improrogabile una radicale riforma delle Nazioni Unite, sulla base di un “solido blocco” di presidenti progressisti, su cui ha insistito il sacerdote nicaraguense Miguel D’Escoto, che ne ha presieduto l’Assemblea generale nel 2009: “Si stanno commettendo grandi crimini, che occorre fermare. Da qui l’importanza di organizzare un Tribunale per la Giustizia Climatica nell’ambito di un’Onu reinventata, perché l’attuale funziona come una dittatura”.
Di seguito, in una nostra traduzione dallo spagnolo, il testo (con alcuni tagli) dell’Accordo dei Popoli, seguito da un breve commento di Leonardo Boff. (claudia fanti)
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