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SE C’È UN FUTURO, SARÀ SOCIALISTA

Tratto da: Adista Documenti n° 47 del 05/06/2010

Il capitalismo ha legioni di apologeti. Molti in buona fede, per ignoranza e per il fatto che, come diceva Marx, “il sistema è opaco e la sua natura sfruttatrice e predatoria non appare evidente agli occhi degli uomini e delle donne del mondo”. Altri lo difendono perché ne sono i grandi beneficiari, accumulando enormi fortune grazie alle sue ingiustizie e iniquità. Vi sono anche quelli (guru finanziari, analisti, giornalisti specializzati, accademici ben pensanti e diversi rappresentanti del pensiero unico) che conoscono perfettamente ciò che il sistema impone in termini di costi sociali e di degradazione umana e ambientale, ma sono ben pagati per ingannare la gente e proseguono instancabilmente il loro lavoro. Essi sanno molto bene che la “battaglia delle idee” di cui ha parlato Fidel Castro è assolutamente strategica per la preservazione del si-stema e non risparmiano sforzi per vincerla.

Per contrastare la proliferazione di versioni idilliache sul capitalismo e sulla sua capacità di promuovere il benessere generale esaminiamo alcuni dati ottenuti da documenti ufficiali delle Nazioni Unite. È molto istruttivo ascoltare, soprattutto nel contesto dell’attuale crisi, che la soluzione ai problemi del capitalismo si ottiene con più capitalismo; o che il G20, il Fondo Monetario Internazionale, l’Organizza-zione Mondiale del Commercio e la Banca Mondiale, pentiti per gli errori del passato, risolveranno i problemi che opprimono l’umanità. Tutte queste istituzioni sono incorreggibili e irriformabili e qualunque speranza di cambiamento non è altro che un’illusione. Continuano a proporre le stesse cose, solo con parole diverse e con una strategia di “relazioni pubbliche” disegnata per nascondere le loro vere intenzioni. Chi ha ancora dubbi veda quello che stanno proponendo per “risolvere” la crisi in Grecia: le stesse ricette che hanno applicato e continuano ad applicare in America Latina e in Africa dagli anni ’80 del secolo scorso.

Di seguito, citiamo alcuni dati con le rispettive fonti re-centemente sistematizzati dal Programma Internazionale di Studi Comparativi sulla Povertà dell’Università di Bergen, in Norvegia, che opera un grande sforzo per combattere, in una prospettiva critica, il discorso ufficiale sulla povertà ela-borato da più di trent’anni dalla Banca Mondiale e riprodotto instancabilmente dai mezzi di comunicazione, dalle autorità governative, da accademici e “specialisti” vari.

Su una popolazione mondiale di 6,8 miliardi di abitanti

- 1,02 miliardi di persone sono denutrite croniche (FAO, 2009);

- 2 miliardi di persone non hanno accesso ai farmaci (www.fic.nih.gov);

- 884 milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile (Oms/Unicef 2008);

- 924 milioni di persone sono "senza tetto" o risiedono in abitazioni precarie (Onu Habitat 2003);

- 1,6 miliardi di persone non hanno accesso all’energia elettrica (Onu Habitat, Urban Energy);

- 2,5 miliardi di persone non sono beneficiate da sistemi di fognatura e drenaggio (Oms/Unicef 2008);

- 774 milioni di adulti sono analfabeti (www.uis.unesco.org);

- 18 milioni di persone muoiono ogni anno a causa della povertà, in maggioranza bambini con meno di cinque anni (Oms);

- 218 milioni di bambini tra i 5 e i 17 anni lavorano in condizioni di schiavitù e svolgono compiti pericolosi o umilianti, come soldati, come domestici, nella prostituzione infantile, in lavori insalubri in agricoltura, nell’edilizia o nell’industria tessile (Oit: “L’eliminazione del lavoro infantile, un obiettivo alla nostra portata”, 2006);

- Tra il 1988 e il 2002, il 25% più povero della popolazione mondiale ha ridotto la propria partecipazione al prodotto interno lordo mondiale (Pil mondiale) dall’1,16% allo 0,92%, mentre il 10% più ricco ha accresciuto i propri beni personali passando a disporre dal 64,7% al 71,1% della ricchezza mondiale. L’arricchimento di pochi ha come suo risvolto l’impoverimento di molti;

- Solo questo 6,4% di aumento della ricchezza dei più ricchi sarebbe sufficiente a duplicare il reddito del 70% della popolazione mondiale, salvando innumerevoli vite e riducendo le sofferenze dei più poveri. Si intenda bene: ciò sarebbe possibile avendo appena la possibilità di ridistribuire la ricchezza aggiuntiva prodotta tra il 1988 e il 2002 del 10% più ricco della popolazione mondiale, lasciando comunque intatte le sue esorbitanti fortune. Ma neppure questo risulta accettabile alle classi dominanti del capitalismo mondiale.

Conclusione: se non si combatte la povertà (non si parli neppure di sradicarla sotto il capitalismo!) è perché il sistema obbedisce a una logica implacabile centrata sull’accumulazio-ne del lucro, che concentra la ricchezza e aumenta incessantemente la povertà e le disuguaglianze socio-economiche.

Dopo cinque secoli di esistenza è questo che il capitalismo ha da offrire. Che aspettiamo per cambiare il sistema? Se l’umanità ha un futuro, questo sarà chiaramente socialista! Con il capitalismo, invece, non ci sarà futuro per nessuno! Né per i ricchi né per i poveri! La sentenza di Friedrich Engels e anche di Rosa Luxemburg: “socialismo o barbarie" è oggi più attuale che mai. Nessuna società sopravvive quando il suo impulso vitale risiede nella ricerca incessante del lucro e il suo motore è dato dal profitto. Presto o tardi ciò provocherà la disintegrazione della vita sociale, la distruzione dell’ambiente, la decadenza politica e la crisi morale. Siamo ancora in tempo, ma non ce ne resta più tanto.

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