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Rete Pace per il Congo La verità prima di tutto. Intervista a p. Loris Cattani

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 62 del 24/07/2010

La sensibilità missionaria cristiana a servizio dell’Africa, con iniziative concrete di informazione e di lobbying, per tenere alta l’attenzione su una delle zone più ricche e paradossalmente maledette del pianeta. In occasione dei momenti più caldi della storia recente della Repubblica democratica del Congo (Rdc) e della regione dei Grandi Laghi, Adista ha raccontato l’impegno della Rete Pace per il Congo. Nell’intervista che segue, intende invece approfondire la conoscenza di questa realtà, nata dall’incontro tra i missionari e i laici che hanno conosciuto ed amato quella terra e che, per quella terra, hanno dovuto anche lottare contro le accuse infondate delle Nazioni Unite. Non c’è pace senza verità e giustizia, ha detto p. Loris Cattani (missionario saveriano e animatore della Rete) nel corso dell’intervista. E così ha concluso: “In nome della Vita, e per rendere omaggio alle vittime, è dovere di tutti smascherare gli intrighi della politica e mettere a nudo la menzogna e i crimini dei regimi dittatoriali, affinché la verità sia detta e riconosciuta”.

 

Come è nata la Rete? Con quale mission?

La Rete Pace per il Congo è un piccolo gruppo di missionari/e e laici che hanno operato in Rdc e poi sono tornati in Italia. In seguito al genocidio ruandese, nel 1994, alcuni missionari rimasero colpiti dall’arrivo massiccio dei rifugiati nell’est della Rdc (Kivu). Nel 1996, poi, si ritrovarono per lanciare un grido di allarme, quando furono bombardati i campi dei rifugiati ruandesi in Congo. Ancora, nel 1998, dopo un appello dei missionari del Kivu, all’inizio della seconda guerra in Rdc, promossero una “catena di digiuno e preghiera” per la pace e la solidarietà in Congo. A tale iniziativa aderirono in molti: Beati i Costruttori di Pace, Chiama l’Africa, Agesci e la comunità congolese in Italia. E proprio lì è nata la “Rete Pace per il Congo”, con due obiettivi fondamentali: mantenere i riflettori accesi sulla tragedia congolese attraverso il nostro bollettino mensile Congo Attualità e fare pressione sulle istituzioni politiche perché, se vuole essere fedele a se stessa, la politica deve essere al servizio della pace, della giustizia e dei diritti umani. Tra le iniziative recenti, ricordiamo la lettera aperta al presidente Barack Obama e la consulenza ad alcuni deputati che hanno presentato alla Camera una mozione per la pace in Rdc (v. Adista nn. 4 e 19/10, ndr).

 

In quale contesto operate ogni giorno?

Tra gli eventi positivi degli ultimi 20 anni, si possono ricordare la fine dell’era del partito unico e l’inizio del pluralismo dei partiti, la conclusione della dittatura di Mobutu e, nel 2006, le prime elezioni libere. Quest’ultimo ventennio è stato tuttavia marcato anche da dolorosi eventi: due grandi guerre di aggressione (1996-1997 e 1998-2003), l’occupazione di due terzi del territorio nazionale da parte di truppe straniere, la balcanizzazione continua del Paese. E tutto per mantenere il controllo sul territorio e lo sfruttamento illegale delle risorse naturali e minerarie. Sono questi gli obiettivi anche delle società multinazionali e delle potenze occidentali, tra cui Usa, Canada e Inghilterra, che si sono serviti dei governi e delle truppe dei Paesi limitrofi alla Rdc, come Rwanda e Uganda i quali, a loro volta, hanno appoggiato vari movimenti ribelli. Oggi, anche se la guerra è ufficialmente terminata, intere popolazioni vivono nella totale insicurezza: massacri, saccheggi, stupri, incendi di villaggi, omicidi di giornalisti e difensori dei diritti umani. La guerra, le ribellioni e la rapina sistematica delle risorse naturali hanno impedito lo sviluppo economico e sociale e costretto la popolazione alla miseria. Gli interessi sul debito estero e le imposizioni del Fmi e della Banca Mondiale hanno poi aggravato la situazione.

 

Qual è l’impegno della Chiesa in Congo?

La Chiesa è impegnata su vari livelli, dalla raccolta fondi e carità, all’istruzione, l’attività politica e di lobbying, di denuncia e di sensibilizzazione. La Chiesa in Congo non si accontenta di svolgere il ruolo di un semplice “pronto soccorso”. A livello di denuncia, per esempio, due vescovi di Bukavu, mons. Christophe Munzihirwa e mons. Emmanuel Kataliko, hanno pagato a caro prezzo il loro impegno profetico, rispettivamente con il martirio e l’esilio. Poi, la Conferenza episcopale congolese rivolge alla popolazione frequenti messaggi di sensibilizzazione, in cui presenta la sua analisi della situazione e indica prospettive concrete che possano condurre alla pace e alla giustizia per tutti.

 

Al Sinodo per l’Africa si è parlato di riconciliazione, giustizia e pace…

La verità e la giustizia sono cammini per la riconciliazione e la pace. È questo un tema di grande attualità per l’Africa. Ogni conflitto porta con sé rotture e lacerazioni, divisioni e desideri di vendetta che, se non si affrontano in modo corretto, conducono ad una spirale di violenza sempre maggiore. La ricerca della “verità” è fondamentale per superare i conflitti, ma non è sempre facile, visti i grandi interessi economici, politici e geostrategici in gioco. Spesso, poi, la verità è strumentalizzata e manipolata dai media in funzione di tali interessi: per molto tempo si sono presentate le due guerre come etniche quando, in realtà, sono state guerre di occupazione, per il controllo dei minerali.

 

Che relazione c’è tra verità, giustizia e riconciliazione in Congo?

La verità porta alla giustizia: se qualcuno ha commesso dei crimini deve risponderne. Cosa niente affatto scontata perché in Rdc l’impunità è norma. Anzi “in nome della pace”, si arriva addirittura a integrare nelle istituzioni politiche e militari i responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. È scandaloso vedere i presidenti di Rwanda e Uganda (Paul Kagame e Joweri Museveni) – implicati personalmente nel “genocidio strisciante e silenzioso” del popolo congolese – presenziare indisturbati alla parata militare a fianco del presidente congolese, Joseph Kabila, in occasione del cinquantenario dell’indipendenza della Rdc. Con la loro presenza hanno calpestato la memoria dei 5 milioni di vittime. Senza la verità sui fatti e la giustizia nei confronti delle vittime, tutti i tentativi di ricostruire la pace saranno destinati al fallimento. Solo la verità e la giustizia potranno calmare i desideri di vendetta, sanare le ferite e, quindi, permettere una nuova convivenza riconciliata. Le vittime non pretendono grandi risarcimenti economici, pretendono semplicemente di essere rispettate nella loro dignità di persone.

 

Perché, a novembre scorso, l’Onu ha accusato due missionari saveriani di sostenere i ribelli?

È importante innanzitutto contestualizzare il rapporto degli esperti Onu, di cui alla fine di novembre 2009 fu divulgata una prima versione “confidenziale” (v. Adista n. 126/09, ndr). In quel periodo, la Francia e il Rwanda stavano negoziando per la ripresa delle relazioni diplomatiche, interrotte da Kigali nel 2006 in seguito al rapporto Bruguière sull’attentato contro l’aereo presidenziale ruandese, in cui persero la vita i presidenti ruandese e burundese, i membri delle loro delegazioni e i membri francesi dell’equipaggio (6 aprile 1994). Il rapporto accusava il Fronte Patriottico Rwandese (Fpr), attualmente al potere in Rwanda, di essere il mandante dell’attentato.

Nel novembre 2008, una collaboratrice di Paul Kagame, accusata anch’essa dal rapporto Bruguière, è stata arrestata in Germania ed estradata in Francia per essere interrogata. Questo ha permesso al Rwanda di venire a conoscenza dell’inchiesta Bruguière nella sua totalità. Le informazioni, poi, sono state utilizzate dalla commissione Mutsinzi, incaricata di condurre una inchiesta interna sull’attentato, che ha pubblicato il suo rapporto il 4 dicembre 2009 e, come prevedibile, ha affermato che gli autori dell’attentato del 1994 erano estremisti hutu del regime stesso di Habyarimana, capovolgendo di fatto la tesi francese. Dopo aver “smentito” il rapporto francese, il regime ruandese ha accettato di ristabilire le relazioni diplomatiche con Parigi, sancite ufficialmente con la visita del Presidente Sarkozy a Kigali (inizio 2010).

 

Quella francese non è però l’unica inchiesta internazionale che vede coinvolti esponenti del    Fpr…

Infatti, dopo quella francese, Kigali vuole “neutralizzare” anche l’inchiesta spagnola sull’uccisione di nove missionari e volontari spagnoli in Rwanda tra il 1992 e il 2002, condotta dal giudice Fernando Andreu Merelles e pubblicata il 6 febbraio 2008. A conclusione dell’inchiesta, il giudice ha spiccato mandati di arresto internazionale contro 40 personalità del Fpr, attualmente al potere. Fermo promotore dell’inchiesta è stato il Foro Internazionale per la Verità e la Giustizia nell’Africa dei Grandi Laghi. Ne fanno parte i familiari delle vittime spagnole, un membro del Congresso degli Stati Uniti, Adolfo-Maria Pérez Esquivel (Nobel per la Pace 1980) e altre personalità di spicco ed associazioni. Fra queste, molto attiva è la Fondazione S’Olivar. L’inchiesta spagnola è pericolosa per il Fpr perché, in definitiva, ha assunto dimensioni e visibilità notevoli.

 

Cosa c’entrano l’Onu e i saveriani con le inchieste? Dove ci porta questa riflessione?

Nel 2009, in Kivu era in corso l’operazione Kimya II, condotta dall’esercito congolese in collaborazione con la Missione dell’Onu in Rdc (Monuc) contro le Forze democratiche di Liberazione del Rwanda (Fdlr). L’operazione si è rivelata fallimentare su tutti i fronti: non ha neutralizzato le Fdlr e ha provocato gravissimi “danni collaterali”. Lo stesso rapporto di novembre dell’Onu lo riconosce e lo conferma. Per giustificare però il pesante fallimento della Kimya II, l’Onu accusò alcune realtà europee di appoggiare le Fdlr. A questo, aveva già provveduto una rete di infiltrati che, al soldo del regime ruandese, avevano costruito prove ad hoc (telefonate, lettere, e-mail). Si tratta dei famosi ‘annessi’ del rapporto stesso. Fu questa l’occasione per assestare il colpo definitivo alla Fondazione S’Olivar, principale ‘avversaria’ del Fpr. Mancava solo un dettaglio: rafforzare questa accusa estendendola anche ad altre ong e persone. È così che il rapporto degli esperti dell’Onu ha chiamato in causa, tra gli altri, anche due missionari saveriani.

Il gioco è presto fatto, manca solo una mossa. Il segretario generale dell’Onu, Ban ki-Moon, ha recentemente proposto la presidenza della Commissione Onu per gli Obiettivi del Millennio a Zapatero e la vice presidenza al presidente ruandese Paul Kagame. Se Zapatero accetterà Kagame come suo vice, la partita si concluderà e anche l’inchiesta spagnola sarà “svuotata”, “lavata” e “vanificata”.

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