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IL NUOVO VESCOVO DI TORINO: UNO DEI “COLONNELLI” DI RUINI

Tratto da: Adista Notizie n° 79 del 23/10/2010

35818. TORINO-ADISTA. Per la Stampa di Torino (12/10) è “l’arcivescovo caro agli ultimi”; secondo le pagine torinesi di Repubblica anche - “Un pastore vicino agli ultimi”, 12/10 -, se non addirittura di più: un prelato “rosso”, sensibile ai problemi del lavoro salariato, dal momento che il padre Giuseppe era stato per anni operaio alla Piaggio; uno la cui nomina a vescovo di Genova nel 2002 – racconta sempre Repubblica – sarebbe stata osteggiata nientemeno che dall’allora ministro Claudio Scajola, che lo avrebbe definito un “comunista”.

In realtà, dietro l’arrivo di mons. Cesare Nosiglia, vescovo di Vicenza, alla guida dell’ambitissima diocesi di Torino, una di quelle che portano con sé la berretta cardinalizia, non c’è alcuno stravolgimento degli assetti di Curia, nessuna scelta controcorrente. Tutt’altro: il nome di Nosiglia rimanda immediatamente a quello del suo potente patrono, il card. Camillo Ruini, all’ombra del quale è cominciata e cresciuta tutta la sua carriera ai vertici della Chiesa. Si può anzi affermare che Nosiglia, insieme al vescovo di Macerata Claudio Giuliodori ed a quello di Firenze, Giuseppe Betori, sia tra i “ruiniani di ferro”, tra coloro cioè che hanno maggiormente condiviso la linea e i mezzi del lungo “ventennio” del cardinal vicario alla guida della Chiesa italiana.


Equilibri di palazzo

L’arrivo di Nosiglia sotto la Mole rivela inoltre quanto Ruini sia ancora ascoltato da Ratzinger. Lo dimostra anche il fatto che uno dei nomi circolati nelle ultime settimane assieme a quello del vescovo di Vercelli, per la successione al card. Severino Poletto, fosse quello di mons. Francesco Lambiasi, attuale vescovo di Rimini e già assistente nazionale dell’Azione Cattolica nell’epoca in cui se ne completava la normalizzazione voluta dallo stesso Ruini sin dalla fine degli anni ’80. Due ruiniani in lizza per lo stesso incarico, dunque, che avevano tagliato fuori dalla corsa alla cattedra di Torino mons. Aldo Giordano e mons. Giuseppe Versanti, entrambi (soprattutto il secondo) graditi al segretario di Stato Tarcisio Bertone. Così, se Bertone resta il prelato di Curia più ascoltato dal papa, la nomina di Nosiglia rivela come gli assetti di Curia siano tutt’altro che definiti in maniera stabile. E che il papa sottolinei la necessità di accontentare di volta in volta ciascuna delle diverse correnti interne alla gerarchia. Così, indebolito negli ultimi mesi sul fronte politico, Ruini si prende la sua rivincita su quello ecclesiale. E anche all’interno della Cei torna a guadagnare terreno, dal momento che da maggio 2010 Nosiglia è anche vicepresidente della Cei per l'area del Nord Italia.

 

Alla “scuola” del cardinale

Nato a Rossiglione, nel 1944, Nosiglia ha frequentato il seminario vescovile di Acqui Terme. Ordinato nel 1968, fu poi inviato a Roma per approfondire gli studi in teologia. Dopo alcuni anni trascorsi come viceparroco nella capitale, a S. Giovanni Battista De Rossi e S. Filippo Neri, dal 1986 al 1991 fu direttore dell’Ufficio Catechistico Nazionale (di cui era già stato vicedirettore dal 1983). In questo ruolo, si ricorda (1988) la sua proposta (che suscitò un vespaio di polemiche nel mondo parrocchiale) di una formalizzazione del ruolo dei catechisti, di un "corpo di catechisti stabile", eventualmente anche stipendiato (a carico però delle singole comunità).

Sempre nel 1991, fu consacrato vescovo da Ruini e divenne ausiliare per il settore Ovest della capitale.

Al tempo del Sinodo di Roma ricoprì l'incarico di Relatore Generale e Presidente della Commissione post-sinodale. Quel Sinodo fu ricordato soprattutto per il suo taglio “gerarchico” (se ne lamentò addirittura il predecessore di Ruini come vicario del papa per la diocesi di Roma, il card. Ugo Poletti, v. Adista n. 69/92) e per l’insistente sottolineatura del catechismo universale come “centro dell'azione catechetica di ogni comunità, gruppo, associazione e movimento ecclesiale”. Un primato, quello della dottrina che per Nosiglia serviva soprattutto a “superare uno stereotipo postconciliare che ha trovato spazio anche nella catechesi, quello secondo cui prima del Concilio Vaticano II vi sarebbe solo buio ed arretratezza e dopo luce e progresso”.

Il 19 luglio 1996 Nosiglia divenne anche ufficialmente il braccio destro di Ruini a Roma: fu infatti nominato vicegerente ed ausiliare del settore Est. Nel frattempo, anche in ambito Cei Nosiglia ricopriva alcuni uffici: membro della Commissione episcopale per la Dottrina della Fede e la Catechesi dal 1992 al 1999; segretario della Commissione episcopale per l'Educazione cattolica, la Scuola e l'Università dal 1995 al 2000; presidente della stessa Commissione dal 2000. Nel 1997 Ruini creò in seno alla Cei il Consiglio nazionale della Scuola cattolica (Cnsc), per “portare la scuola cattolica” nel “sistema istituzionale e culturale italiano”. Cioè per ottenere la parità scolastica. Ed i finanziamenti pubblici alle private. Alla guida del nuovo organismo, ancora Nosiglia. Ma anche per lui, come per molti altri prelati dell’attuale establishment, il “grande salto” avvenne grazie al Giubileo del 2000. Gli venne affidata infatti la vicepresidenza della Commissione pastorale-missionaria del Comitato centrale del Grande Giubileo (l’organismo nel cui consiglio di presidenza siedevano, tra gli altri, Ruini e Sepe e che gestì tutta la macchina organizzativa dell'evento. Ed una quantità notevole di fondi) e la presidenza del Comitato italiano per la Giornata mondiale della Gioventù che si svolse nella capitale. Il megaraduno di giovani nella spianata di Tor Vergata fu la rampa di lancio per il definitivo decollo.

 

Vicenza, “base” di lancio

Alla fine del 2003 Nosiglia arrivò a Vicenza, dove si segnalò per un piglio piuttosto dirigista ed una linea conservatrice. Con qualche elemento di novità, specie sulla questione sociali, in linea con la sensibilità di un altro prelato vicentino (di poco più anziano di lui), mons. Agostino Marchetto.

Nel 2006, ad esempio, scrisse una inattesa lettera pastorale sui nomadi, richiamando le comunità al dovere della solidarietà e dell’accoglienza nei confronti dei rom e dei sinti. “Sì, penso a voi – disse rivolgendosi alle comunità nomadi presenti sul territorio - fratelli e sorelle rom e sinti, che abitate già da decenni vicini a noi e per i quali è come se fosse sempre il primo giorno dall’arrivo: la precarietà, la paura fanno di voi dei perenni esiliati, dei costretti fuggitivi senza tregua”. Una vicinanza al popolo rom che si è espressa anche recentemente, quando Nosiglia (agosto 2010) condannò la politica del rifiuto nei confronti dei nomadi e la scelta della Regione Veneto di non rifinanziare la legge 54 del 1989 sull’erogazione di fondi per la loro integrazione. Senza spazi abitativi, scrisse “ogni progetto di inclusione sociale si banalizza e si vanifica”. Anche sul tema più generale dei migranti il vescovo si è spesso schierato con la parte più aperta dell’episcopato italiano. Nell’agosto 2009, ad esempio, la strage di naufraghi eritrei che, partiti alla volta dell’Italia in 78 giunsero a Lampedusa in 5 dopo una traversata di più di 20 giorni, durante la quale non ricevettero alcun soccorso, provocò la sua reazione indignata. In una intervista alla Radio Vaticana definì quegli eventi “fatti di una gravità assoluta”, di fronte ai quali “non si può restare inermi, non si può non dire niente”.

Assai diverso il profilo “politico” del vescovo Nosiglia. Nel gennaio 2007, mentre in città infuriava la battaglia, che vedeva schierate in prima fila anche molto parrocchie e realtà ecclesiali di base, contro il raddoppio della base Usa del Dal Molin, il vescovo, con un documento prendeva ufficialmente posizione, avallando, di fatto, la decisione dell’allora governo Prodi di dare il via libera alla presenza statunitense: “Ora che la decisione è stata presa dal governo, occorre guardare avanti con realismo e speranza uscendo dalla logica contrapposta del no e del sì”.

Anche sui temi “eticamente sensibili” Nosiglia si è dimostrato un vescovo di stretta osservanza ruiniana. Come quando si oppose, nell’ottobre 2009 al voto del Consiglio comunale per la creazione di un registro delle ultime volontà del Comune, definendo l’iniziativa “l’affermazione di un orgoglio laicistico che non porta da nessuna parte, un’azione di stampo ideologico che ha prodotto una fuga in avanti senza valenza” ed espresse amarezza “soprattutto per i cattolici presenti in aula che l’hanno votato”. Politici, disse, “che hanno dimenticato che c’è una coerenza fra l’essere cattolici e l’attività politica o qualsiasi altra cosa su cui si è impegnati”.

 

Sotto la “mole”

Ruiniano anche sui temi del dialogo interreligioso, quando in città si aprì nel 2009 un dibattito sulla opportunità o meno di permettere la costruzione di una moschea in città, Nosiglia da una parte, in nome della libertà di culto, affermò il diritto dei musulmani ad avere un luogo di culto, dall’altra avvertì la cittadinanza che la moschea “è bene saperlo e tenerlo a mente, non è solo un luogo di preghiera ma anche centro di cultura, di propaganda islamica e di promozione politica, essendo religione e politica un tutt’uno nell’Islam”.

La nuova sfida che attende Nosiglia non è da poco. A Torino, infatti, città che fu guidata da uno dei più autorevoli ed amati vescovi conciliari, il card. Michele Pellegrino, sotto la gestione del card. Severino Poletto, appena dimissionato per raggiunti limiti di età, la diocesi ha visto i seminari svuotarsi, i preti diminuire, la pratica religiosa in calo, il malumore nella comunità ecclesiale crescere. Toccherà a Nosiglia, che pure non sembra avere un profilo molto diverso dal suo predecessore, provare a risollevare una situazione difficile. (valerio gigante)

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