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CAPIRE LA CRISI, PER DARE RAGIONI ALLA SPERANZA. A TORINO, L’INCONTRO NAZIONALE DELLE CdB

- Sergio Tanzarella: la necessità della autonomia, il dovere di schierarsi

Tratto da: Adista Notizie n° 81 del 30/10/2010

35829. ROMA-ADISTA. “In un tempo di sopraffazione e precarietà, date ragione della speranza che è in voi”. Il tema scelto, con riferimento alla I Lettera di Pietro, dalle Comunità Cristiane di Base italiane, per il XXXII Incontro nazionale (30 ottobre-1 novembre) si incarna nella complessa dinamica politico-culturale e religiosa che percorre il Paese e la Chiesa. E intende porre ai cristiani “critici” la questione di come è possibile oggi assolvere al compito di annunciare una “buona notizia” libera e liberante e come rendere più efficace la loro azione di credenti nella Chiesa e nella società.

La proposta di lavoro dell’Incontro di Torino ruoterà intorno a due assi fondamentali: anzitutto, la necessità di un confronto “orizzontale” tra credenti, non credenti, diversamente credenti che hanno deciso di vivere la propria fede fuori da ogni tutela e benedizione del potere, civile e religioso, attraverso la “riappropriazione della Parola” e l’assunzione di un metodo storico-critico di analisi della realtà. E poi la contestazione dell’attuale modello di sviluppo e di accumulazione iperliberista, insostenibile dal punto di vista dei costi umani, economici ed ambientali.

L’Incontro nazionale delle CdB si svolge ogni anno su temi scelti dal Collegamento delle comunità, formato da rappresentanti delle comunità aderenti. La preparazione e la gestione di questi appuntamenti viene poi affidata ad una o due comunità disponibili. Quest’anno è toccato alla Comunità di Base di Pinerolo. Per discutere di precarietà e speranza, violenza di sistema e percorsi di liberazione, sono state invitate diverse personalità del mondo della politica e della cultura, rappresentanti di aree politiche, ecclesiali e culturali diverse, a testimonianza del fatto che torna ad essere molto avvertita la necessità, nella Chiesa, di un maggiore coordinamento tra le realtà che operano in una prospettiva conciliare e che, al contempo, vivono con crescente disagio il fatto che la gerarchia cattolica guardi a questo modello con sempre maggiore diffidenza. Un impegno “unitario” che le CdB hanno testimoniato anche recentemente, attraverso l’attiva partecipazione di alcune di loro all’incontro di Napoli del “Vangelo che abbiamo ricevuto”. A Torino, ad interloquire sui temi posti dalle CdB, ci sarà anche Sergio Tanzarella, storico della Chiesa e docente presso la Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale e l’Università Gregoriana di Roma. Adista lo ha intervistato. (valerio gigante)

         

Sergio Tanzarella: la necessità della autonomia, il dovere di schierarsi

 

All'Incontro di Torino parteciperanno ed interverranno, insieme a non cattolici e non credenti, diversi esponenti di aree di mondo ecclesiale diverso da quelle delle CdB. Questa "contaminazione" di esperienze, pratiche, culture, realtà di base che nella Chiesa stanno tornando a dialogare (come sta accadendo con gli appuntamenti del "Vangelo che abbiamo ricevuto") in che modo possono costituire una novità per una presenza attiva dei laici cattolici nella Chiesa e nella società?

Le Cdb sono state fino ad oggi, pur nella loro estrema varietà, collocate spesso nel servizio e nella condivisione dei luoghi della maggiore marginalità divenendo, sovente, presenza esemplare e di stimolo per tutti: comunità ecclesiale e comunità civile. Nelle realtà metropolitane ciò è stato particolarmente evidente. Il modello che si sono date in questi 40 anni può a mio giudizio essere un esempio a cui anche altri settori del laicato cattolico possono guardare: la loro apparente frammentazione, infatti, mi appare la conseguenza logica e forse inevitabile di un agire a partire dal contesto; del resto, è sempre difficile trovare forme di coordinamento e organizzazione poiché ciò prevederebbe quelle strutturazioni che sono state proprio il motivo in negativo della nascita delle Comunità. Ma le CdB sono riuscite a camminare insieme durante tutti questi anni ed a confrontarsi tra loro in modo stimolante e costruttivo, mantenendo coerente e coesa la loro azione ecclesiale e politica. Anche se i tempi che viviamo sono tempi di incertezza, non tutto è gia scritto e ognuno può contribuire a scrivere il futuro. Le Cdb nella loro esperienza di Chiesa hanno ricordato a tutti proprio questo impegno.

 

A circa 40 anni dalla loro nascita, quale ti sembra sia stato il contributo maggiore che le Comunità di Base hanno dato alla crescita della Chiesa postconciliare?

Mi sembra che il dono più prezioso sia quello di aver dimostrato che i tatticismi, le diplomazie, le relazioni privilegiate con il potere non servono e soprattutto non hanno nulla a che vedere con il Vangelo. E questo rischio riguarda tutti, perché la tentazione di tacere è sempre forte. Le Cdb hanno dimostrato non che ci si possa schierare ma che ci si deve schierare: per la giustizia, per la Costituzione, per una sana laicità responsabile contro la tentazione del clericalismo e del consociativismo. A partire dai fatti dell'Isolotto appare evidente non tanto la richiesta di autonomia, quanto la dimostrazione che l'autonomia, la responsabilità, il discernimento erano e sono il banco di prova di una esperienza comunitaria, con le contraddizioni, i limiti, le imprevedibilità di una vita comune che però si apre all'imprevisto e al confronto.

 

Gli scandali immobiliari e finanziari che hanno negli ultimi mesi coinvolto esponenti ed istituzioni ecclesiastiche, non pongono un problema di credibilità della gerarchia nelle sue critiche all'attuale ceto politico e alle sperequazioni economiche e sociali che viviamo? Quale possibilità di un rinnovamento delle strutture di governo della Chiesa intravedi per l'immediato futuro?

Riguardo agli scandali immobiliari io spero che non sia stato commesso alcun reato né ho competenza per parlarne. Ma il problema non è la legalità quanto il fatto che emergerebbe un sistema di relazioni, favori, privilegi che saranno pure legali, ma certo suonano amare in una città come Roma con tanti senza casa, con tanta gente che spende più della metà del proprio reddito in fitto della casa, con tanti sfrattati, con tanti fidanzati che non possono metter su casa, con tanti che vivono nelle nuove squallide periferie costruite sotto i sindaci Rutelli e Veltroni. Sapere che Bertolaso di case ne aveva due e che non le pagava nemmeno o che un ministro compra case con lo sconto sono notizie che non solo fanno male ma rendono le istituzioni poco credibili. Mazzolari definiva ai suoi tempi negli anni '50 questa malattia "il mal della pietra" di cui erano affetti non pochi ecclesiastici e laici ai suoi tempi. Bene, questa malattia non mi sembra ancora sconfitta anzi continua a contagiare. La terapia? Tornare poveri per davvero, tornare meno a pensare a ciò che conviene agli affari e più a ciò che conviene a Dio. E come sappiamo Dio penserà a noi. Si tratta di salire su quella cattedra che Milani diceva è l'unica dalla quale non potremo essere smentiti - e per salire sulla quale c'è poca concorrenza - una cattedra che nemmeno la famigerata ministra Gelmini ci potrà mai togliere: la cattedra della povertà. (v. g.)

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