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Marcos Ana Il "Mandela di Spagna”

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 82 del 30/10/2010

Quando Picasso e Neruda ne parlarono al mondo, Marcos viveva aspettando il supplizio. Oramai la morte era diventata compagna di cella, sorella di infinite torture. Marcos Ana è lo pseudonimo che il poeta spagnolo Fernando Macarro Castillo si è dato come sopravvissuto a 23 anni ininterrotti di carcere, prigioniero politico nei sotterranei della spietatezza del regime franchista.

Nei giorni scorsi l’eroe novantenne, a cui il regista premio Oscar Pedro Almodovar dedicherà un film previsto per la metà del 2011, ha accettato l’invito del Centro per la Pace del Comune di Bolzano di raccontarsi in un “omaggio” al Mandela di Spagna che si è tenuto nella libera università con tanto di murales dipinti dagli studenti e una recita musicale delle sue poesie. Un evento che ha commosso ed emozionato la folla che ha riempito l’aula magna dell’ateneo.

Marcos è il nome del padre morto durante la guerra civile, Ana è il nome della madre, morta di pena per aver visto il figlio passare di carcere in carcere con il volto insanguinato e con gli occhi sfiniti dal pianto. Quando venne catturato dai fascisti della divisione Littorio nel porto di Alicante aveva 19 anni (era il 1939). Quando lo liberarono per un editto di Franco che concedeva la grazia a quei detenuti politici che avessero passato più di 20 anni ininterrotti di carcere – Marcos era l’unico ad aver conseguito tale “privilegio” – aveva 41 anni. Era il 1961.

In mezzo c’è la vita strozzata, la memoria di un film dell’orrore, il riso beffardo di una condizione disumana dei carcerati, l’attesa di una condanna a morte che arrivava puntuale ogni mattina alle 5 come una roulette russa. Lo stesso Marcos finì due volte nella lista e due volte venne salvato in extremis: “Due volte venne la morte, / e due volte si dimostrò pentita. / Dicono che andò via offesa / perché non poté farmi abbassare la fronte. / Per questo mi lasciò la vita”.

La poesia era l’unico balsamo. Marcos raccontava di sé e dei compagni. I versi uscivano dalle sbarre, solcavano i mari e finivano sulle scrivanie di grandi intellettuali. Rafael Alberti, Pablo Picasso, Pablo Neruda diffondevano i suoi poemi per sollevare la questione della Spagna mutilata e bruciata nel calderone del totalitarismo. Col tempo Marcos divenne l’eroe della resistenza. Scrive in Autobiografia: “Il mio peccato è terribile / volli colmare di stelle / il cuore dell’uomo. / Per questo qui tra le sbarre / in ventidue inverni / ho perso le mie primavere / Prigioniero dell’infanzia / e condannato a morte, / i miei occhi stanno prosciugando la luce contro le pietre”.

Nella prefazione al libro uscito anche in italiano Ditemi com’è un albero (Crocetti editore) il premio Nobel, da poco scomparso, Josè Saramago parla di Ana come di uno dei grandi testimoni del ‘900. Ci sono dei racconti di una bellezza commovente. C’è il compagno di cella che non vuole finire nella fossa comune e invoca soltanto una bara. La morte non gli fa paura, quello che gli fa orrore è non poter stare da morto dentro un pezzo di legno. C’è il detenuto che instaura un rapporto di amore con una colomba, la quale tutti i giorni si fa largo attraverso le sbarre, per beccare qualche briciola di pane. Un colpo di fucile dritto alla fronte del detenuto che cercava di arrampicarsi sulle sbarre della finestra per salutare la sua colomba mise fine alla relazione. C’è l’amore che matura dalla cella di Marcos verso un balcone della casa di fronte, dove una giovane s’affaccia tutte le mattine per mandare un bacio al suo carcerato. Ci sono i condannati a morte che lasciano i loro biglietti nei buchi scavati dentro la cappella del carcere, nell’ultima notte della vita. C’è l’ironia triste e scanzonata che arriva ad irridere perfino lei, perfino la morte: “La Pepa è una bella gnocca / che va di moda a Madrid / e che ha una predilezione / per i rossi. / Quando questa donna viene / nel carcere di Porlier / al più bravo / si rattrappisce il lombo.

Marcos uscì di carcere nel 1961. Si rifugiò in Francia dove venne accolto da Pablo Picasso e da un omaggio dell’Unesco. In America Latina era già un mito. Fu ricevuto a Cuba da Castro e Guevara, girò per il Brasile, Argentina, Cile. Neruda lo volle ospite nella sua casa a Isla Negra e Salvador Allende gli rese omaggio. In Italia fece un giro di incontri con Rafael Alberti. Fu ospite di Pietro Nenni e venne ricevuto a Firenze dal sindaco Giorgio La Pira.

Una delle sue poesie più note recita così: “Se un giorno tornerò alla vita / la mia casa non avrà chiavi: / sempre aperta come il mare, il sole e l’aria / Che entrino la notte e il giorno, / la pioggia azzurra, la sera  / il pane rosso dell’aurora / la luna, mia dolce amante”...

Marcos non conosce la vendetta. A Bolzano ha affermato con forza:  “La vendetta non può essere un ideale politico e rivoluzionario. L’unica vera vendetta possibile all’orrore della dittatura e del totalitarismo è la democrazia. Io vivo per gli altri e per la solidarietà che ricevo come una carezza leggera”. Ha una forza invidiabile: “Mi sento giovane, è come se avessi 23 anni di meno”.

Pedro Almodovar dice di lui: “Lo ammiro e gli voglio bene perché il suo modo di essere è più vicino agli angeli che agli uomini. Non ho mai conosciuto una persona così buona e per questo motivo farò un film sulla sua vita”.

Un giorno Marcos incontrò in carcere un sacerdote. Questi si commosse nel vederlo così giovane condannato a morte. “Ragazzo – gli disse – perché canti davanti alla condanna a morte?”. Ana replicò: “Perché sono comunista”. “Sì – disse il prete – proprio per questo non riesco a capire il tuo canto”. “Guardi – affermò Ana – ho molto rispetto per chi crede. È bello sapere che ci sarà per loro il Padreterno. Da parte mia, sapendo che c’è una vita soltanto e che dopo ci sarà il vuoto e che un’altra vita non ci sarà, l’abbandono cantando per la felicità altrui”. Il prete se ne andò pieno di commozione: “Ragazzo, tu hai un grande cuore”.

* Giornalista, scrittore

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