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L’EUROPA SI ARRICCHISCE SULLA PELLE DEGLI AFRICANI. INCHIESTA SPAGNOLA SUL TRAFFICO DI ARMI

Tratto da: Adista Notizie n° 88 del 20/11/2010

35864. MADRID-ADISTA. Sensibili ai valori della pace; seriamente preoccupati dagli accordi bilaterali tra Europa e Africa sul commercio internazionale delle armi; coscienti della necessità di costruire campagne di pressione su multinazionali e azioni di lobbying sui governi europei. Sono queste le motivazioni che hanno persuaso il gruppo di lavoro “Coltiva la pace. Non le armi” – costituito dalla Commissione Generale di Giustizia e Pace della Conferenza Episcopale Spagnola, dalla Conferenza spagnola dei Religiosi, e dall’organismo internazionale euroafricano Aefjn (Africa Europe Faith and Justice Network) – ad impegnarsi nell’elaborazione e pubblicazione del rapporto Africa: commercio di armi nella regione dei Grandi Laghi, redatto con l’obiettivo di “investigare e riflettere” su una prassi commerciale – la tratta internazionale delle armi verso i nove Paesi africani presi in esame (Burundi, Kenya, Malawi, Mozambico, Repubblica democratica del Congo, Rwanda, Tanzania, Uganda e Zambia) – che arricchisce gli esportatori occidentali, ma si dimostra “letale per le popolazioni africane”.

 

Benefici globali, danni locali

I più grandi conflitti africani attualmente attivi non hanno alcun fondamento ideologico, spiega il rapporto, ma rappresentano il precipitato di una fitta trama di conflitti e interessi stranieri che nascono “dall’avidità per le risorse dell’Africa”. Si tratta del cosiddetto “triangolo pernicioso (violenza-armi-risorse naturali) che nutre la dinamica di molte guerre”. Tutti gli africani sono destinati a perdere in queste guerre, prosegue il rapporto, “in particolar modo la società civile, che ne subisce i danni maggiori”. All’opposto, invece, è evidente che “chi è interessato ad alimentare questi conflitti armati risiede molto lontano”.

Alle pressioni del mercato globale si aggiungono poi le frontiere “artificiali e porose” dei Paesi in guerra, “la dipendenza economica esterna”, la “etnopatrimonializzazione” degli Stati africani (la tendenza alla concentrazione dei poteri politico ed economico nelle mani di una sola etnia), “il declino economico degli anni ’70”: tutti motivi di tensione che alimentano la proliferazione delle armi, soprattutto quelle leggere, che sono causa del 90% delle vittime.

Questa “fitta trama di fattori che incoraggiano la violenza” alimenta l’“economia politica della guerra” che mai si assume la responsabilità delle conseguenti crisi umanitarie e violazioni dei diritti umani.

La teoria del “triangolo pernicioso” trova perfetta applicazione, secondo l’inchiesta del gruppo di ricerca, nel conflitto nella regione dei Grandi Laghi, che si protrae, a fasi alterne, ormai dal 1994. “I diamanti, il coltan e l’oro sono risorse che circolano in piena libertà e ai limiti del controllo”, denuncia il rapporto: “Alla base del conflitto c’è sicuramente lo sfruttamento delle risorse”, e le grandi responsabilità vanno rintracciate in una ragnatela di complicità tra “i cartelli di multinazionali che ignorano le frontiere, le potenze occidentali non neutrali e i gruppi criminali internazionali che traggono profitto dallo stato di confusione e guerra nell’area”.

 

E l’Unione Europea?

L’inchiesta della Chiesa spagnola denuncia “opacità” e “mancanza di trasparenza” nella pubblicazione dei dati europei relativi al commercio delle armi. Produrre statistiche ‘certe’ non è cosa semplice, si legge, perché i bilanci dell’Unione parlano solo del “valore delle licenze accettate per l’esportazione”, parametro che sottostima nettamente il reale “valore delle armi esportate”. Nelle relazioni ufficiali, prosegue la denuncia, “i destinatari delle armi risultano sempre utenti o imprese privati”. Non sorprende quindi che, nei Paesi in guerra, i gruppi paramilitari o irregolari siano spesso meglio equipaggiati delle forze regolari. Inquieta però l’altro corollario di questa informazione: “Il commercio delle armi è vincolato a reti criminali che trafficano in risorse naturali”.

Dall’indagine emerge inoltre che “esistono Paesi che ricevono armi dall’Europa nonostante viga per loro un regime di embargo internazionale”. Per aggirare il divieto le armi vengono legalmente spedite a Paesi intermediari che poi le ‘girano’ illegalmente oltre frontiera; oppure vengono spedite “a pezzi” e solo successivamente riassemblate nel Paese destinatario.

Infine, dall’inchiesta emerge un altro dato allarmante: le armi maggiormente richieste dal mercato africano sono quelle ‘leggere’, “piccole, di facile impiego, utilizzabili quindi anche da donne e bambini”, e soprattutto “semplici da trasportare illegalmente attraverso le frontiere dei Paesi in guerra”. (giampaolo petrucci)

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