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Chiesa di frontiera. Il sogno di una Chiesa di cristiani adulti

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 9 del 05/02/2011

Dal tema della famiglia, nelle sue diverse espressioni, alla necessità di dichiarare antievangelico tutto ciò che è potenzialmente orientato verso la guerra e l’inimicizia tra i popoli. Dalla compatibilità tra i sacramenti del matrimonio e quello dell’ordine, al pronunciamento sulla perequazione retributiva all’interno della Pubblica amministrazione. Dal valutare la questione delle pari opportunità delle donne nella Chiesa, all’obbrobrio della legge sul reato di immigrazione clandestina. Dal dramma del caso di Eluana Englaro alla questione della libertà di coscienza o ancora la vergogna per i casi di pedofilia nella Chiesa e tanto altro ancora.
Sono alcuni dei temi trattati e discussi, negli ultimi cinque anni, all’interno dell’Assemblea permanente della Comunità di San Francesco Saverio a Palermo, quartiere Albergheria, confinante con il forse più noto quartiere di Ballarò.
L’Assemblea permanente è stata un’intuizione di alcuni componenti della Comunità, un luogo aperto a tutti e creato appositamente per discutere, confrontarsi, porsi domande, elaborare proposte e infine chiedere alla propria comunità di riferimento, l’assemblea liturgica domenicale, di pronunciarsi anche con un’idea o un suggerimento, sul testo di un documento prodotto e pubblicato di volta in volta sul sito della comunità (www.comunitasansaverio.it).
Il punto di partenza è stato la Costituzione dogmatica Lumen Gentium (1964) che afferma il diritto-dovere dei laici, popolo di Dio adulto e consapevole, di ascoltare ed essere ascoltati facendo conoscere il loro parere su ciò che riguarda il bene della Chiesa.
E mentre nel tempo i temi di discussione si sono moltiplicati, la comunità è andata acquisendo la consapevolezza di essere una comunità cristiana ascoltando il Vangelo e vivendo con pienezza la quotidianità. Una comunità di cattolici-cittadini, che si confronta con temi religiosi e laici, pronta a prendere posizione sulle questioni che ritiene di interesse.
L’Assemblea permanente non nasce con la Comunità di San Francesco Saverio, molto più ‘anziana’, ma in essa si è radicata, traendo dall’esperienza pregressa tutto lo slancio e l’interesse che può accomunare uomini e donne di età, di formazione culturale e personale diverse. Questo ha consentito lo sviluppo di un clima positivo di confronto, di rapporti amicali concreti, di condivisione di esperienze personali nello spirito evangelico.
L’attività dell’Assemblea si svolge con riunioni quindicinali. Nell’arco, mediamente, di un paio di mesi individua il tema da trattare, lo discute e lo studia da più punti di vista, elabora una prima bozza che viene normalmente ridiscussa. Così prende vita il documento finale, quello che sarà sottoposto all’assemblea liturgica domenicale, con in calce una o due domande che sintetizzano il senso di tutto il documento.
A queste domande i fedeli rispondono con un sì o con un no. C’è anche lo spazio per gli indecisi che possono votare con un “non so” e, alle volte, per suggerimenti e proposte. I risultati, monitorati, vengono pubblicizzati e condivisi.
È il piacere della partecipazione, del sentirsi parte reale ed integrante di una realtà più grande ancora che è la comunità del popolo di Dio, che si sostanzia nella Chiesa che amiamo.
È vero, però, che spesso insieme soffriamo perché riscontriamo nel magistero ecclesiale affermazioni che non sempre ci appaiono conformi al Vangelo, pronunciamenti che puntano il dito, non mostrando quell’amore che vorremmo vedere; talvolta la gerarchia non si schiera con gli ultimi ma, al fine di tutelare i propri interessi, prende posizione con i primi, i più forti o i più arroganti: abbiamo sofferto con Piergiorgio Welby per il suo funerale negato, con Eluana Englaro per le scelte drammatiche della sua famiglia; ci siamo indignati per i funerali non contestati ad Augusto Pinochet, così come per le considerazioni espresse in ordine alla presunta relazione tra pedofilia ed omosessualità.
Trecentosessanta gradi è l’angolo di visuale che ci siamo imposti. Guardiamo dappertutto, nella nostra città non meno che nella nostra Chiesa. Abbiamo evidenziato come non possa esserci un voto libero se è condizionato dai bisogni irrisolti e insoddisfatti di chi non ha casa e di chi non ha lavoro. Partendo dal principio evangelico «ero straniero e mi avete ospitato» ci siamo occupati della legge che respinge i fratelli nati fuori dal territorio dell’Unione europea e dell’atteggiamento di discriminazione nei confronti di quelli che, pur essendo europei, appartengono all’etnia rom.
Siamo, e vogliamo essere (almeno, così vorremo che fosse!), una comunità di cristiani adulti e consapevoli, non disposti a subire imposizioni, piuttosto disponibili a un confronto libero e sincero anche con gli organismi che esercitano un'autorità nella Chiesa, e che vorremmo fosse esercitata non in maniera unidirezionale.
Crediamo nel messaggio del Vangelo. Vogliamo amare il nostro prossimo e in lui incontrare lo sguardo di Cristo. Vogliamo poterci indignare quando questo non avviene, quando la mistificazione dei comportamenti e di un certo modo di utilizzare il potere, sia esso civile che religioso, tende ad assopire la coscienza. Non a caso uno dei nostri documenti, forse il più sofferto, è stato proprio quello sulla libertà di coscienza, che prendeva spunto dalla dichiarazione conciliare Dignitatis Humanae del 7 dicembre 1965 («gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte di singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata»).
Tale documento si è concluso condividendo l’affermazione, che fece a suo tempo l’allora teologo Joseph Ratzinger, per cui: «Al di sopra del papa, come espressione della pretesa vincolante dell’autorità ecclesiastica, resta comunque la coscienza di ciascuno, che deve essere obbedita prima di ogni altra cosa, se necessario anche contro le richieste della autorità ecclesiastica» (Commentary on the documents of Vatican II, vol.V, p. 134).
Questa è la nostra esperienza in cinque anni, che a noi appare già piena di speranze per il futuro. Esistiamo all’interno di una più ampia Comunità che è quella della nostra rettoria, San Francesco Saverio, per l’appunto. Qui la storia cresce nel tempo e soltanto pochi di noi rappresentano la memoria storica di una realtà che si è consolidata su un territorio difficile, negli ultimi venticinque anni.
Una realtà fatta di un coraggioso Centro sociale che da anni si occupa di ragazzi, anziani e donne sole, spesso, con i loro problemi; di una enorme capacità di aggregazione concretizzatasi nella presenza di gruppi composti da fratelli omoaffettivi cattolici, alcolisti anonimi, genitori di giovani omosessuali; di una Messa domenicale cui partecipano amici che provengono da tutte la parti della città e alla quale, soltanto malvolentieri, ognuno di noi è disposto a rinunziare, e che è celebrata dal nostro presbitero, il quale nella eucaristia domenicale e nel nostro statuto battesimale ci aiuta a scoprire la forza propulsiva di tutto quello che siamo e che vorremmo diventare. Non siamo un’isola felice. Siamo una realtà concreta e attenta, aperta ai confronti e legata ai valori evangelici. Sinceramente affezionati alla Chiesa del popolo di Dio e desiderosi di vederla sempre più autentica e fedele al suo Signore.

* Dell’Assemblea permanente della Comunità di San Francesco Saverio all’Albergheria (Palermo)

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