LA CASA SULLA ROCCIA
- ANNO A - 6 marzo 2011 IX Domenica del tempo ordinario Dt 11,18.26-28.32 Sal 30 Rm 3,21-25a.28 Mt 7,21-27
Tratto da: Adista Notizie n° 10 del 12/02/2011
Fra i testi liturgici di oggi spiccano i versetti 7,21-27 del Vangelo di Matteo, che contengono le ultime parole del famoso “Discorso della montagna” nel quale Matteo ha raccolto una sintesi particolarmente ricca dei discorsi di Gesù. Un finale significativo sulla autenticità della fede del credente (non basta dire…) e, di conseguenza, sulla facilità delle mille e mille falsificazioni. L’essenzialità dei fatti, il rischio della falsità delle parole.
Un avvertimento e una minaccia che suonano particolarmente attuali ai nostri giorni. Quando le parole sono moltiplicate e quindi inflazionate e quindi degradate: è il problema tipico dei nostri giorni: con l’inflazione delle parole si sono corrotti i rapporti umani.
E soprattutto è entrato a vele spiegate il denaro: è scomparso il gratuito, che collegava le parole con la grazia e ne assicurava, insieme alla gratuità, anche la verità. Quella verità che non è più garantita se le parole dipendono dal denaro. Oggi più che mai “non basta dire”. Bisogna “fare”. La fede cristiana non è un discorso, è una azione. Una attività. Un agire personale. Non delegabile. Una attività che non può essere sostituita da niente e da nessuno. Bisogna fare attenzione a questa azione personale, soprattutto oggi, quando tutto viene sostituito e rappresentato da adesioni, iscrizioni, tessere: tutti strumenti che cercano di fare a meno dell’impegno personale. Si dice e si ripete che si partecipa, anche se si è lontani. Perciò le parole impegnative che il testo di Matteo mette in bocca a Gesù sono attente a evitare gli svicolamenti, le impostazioni estranee, le assenze a cui, invece, siamo abituati.
Non è questo l’unico testo evangelico che richiama l’impegno personale; fra gli altri testi importanti basta citare Lc.6,47-49: «Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi assomiglia: assomiglia a un uomo che costruisce una casa, il quale scavò, scavò a fondo e pose le fondazioni sulla roccia. Ora, venuta la piena, il fiume si rovesciò su quella casa e non valse a scuoterla, perché era ben costruita. Chi, invece, ha ascoltato e non ha messo in pratica, assomiglia a un uomo che ha edificato una casa sul suolo senza fondazioni; il fiume si rovesciò su di essa e subito crollò, e la rovina di quella casa fu grande».
Il nostro cristianesimo non è, dunque, un atteggiamento soltanto spirituale: è, deve essere, una casa solida. ben costruita, a prova di scosse e di terremoti.
Non bastano adesioni, tessere, partecipazioni. Non basta neppure, dunque, anche se sembra paradossale, l’adesione più o meno verbale ad una Chiesa. Non basta, in un certo senso, quella Chiesa che, invece, spesso viene considerata come la casa sulla roccia, la casa della salvezza dal terremoto. La adesione ad una Chiesa non basta: la fede cristiana richiede l’azione , che non può essere sostituita da niente e da nessuno. Fare, agire, partecipare: questo ci chiede la nostra fede cristiana. Fatti, più che sentimenti. E certamente più che parole.
Contano i fatti, come ripete Gesù nel testo di Matteo: «Non chiunque mi dice “Signore! Signore!” entrerà nel Regno dei Cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli». Il testo di Matteo, dunque, rappresenta un ridimensionamento sia della Chiesa che della preghiera. Tutto a favore dell’azione, quella di un «uomo saggio il quale edificò la sua casa sulla roccia». Una roccia rara ai nostri tempi, tempi di chiacchiere di mass media e di parole a vuoto.
* Giornalista e saggista, scrive su il manifesto e su Rocca, con una rubrica fissa e fa parte della redazione di Confronti. Tra i suoi tanti libri, Credere è camminare (la meridiana, 2008), Non nominare invano (Icone, 2008), Il silenzio della parola (Claudiana 2005), Abramo contro Ulisse. Un itinerario alla ricerca di Dio (Claudiana, 2003)
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