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NIENTE DI NUOVO SUL FRONTE MEDITERRANEO: PER LA BASE CATTOLICA È LA SOLITA GUERRA DI INTERESSI

Tratto da: Adista Notizie n° 26 del 02/04/2011

36069. ROMA-ADISTA. Mentre l’opinione pubblica è ancora scossa dal repentino e scoordinato avvio delle operazioni militari in Libia – che hanno seguito ad una interpretazione solo “militaresca” della risoluzione 1973 delle Nazioni Unite – e mentre anche le gerarchie cattoliche annaspano in cerca di parole sensate (v. articolo precedente), si ricompongono le fila dei movimenti e delle associazioni pacifiste, cattoliche e laiche, per uscire dal silenzio di un sistema informativo monopolizzato in questi giorni dalle ragioni del sì alla guerra.

 

“Anime belle”, ma responsabili

«Abbiamo già visto i risultati degli interventi militari e le menzogne che ci sono state raccontate sull’Iraq e l’Afghanistan, migliaia e migliaia di civili uccisi e dopo tanti anni la pace e la giustizia non stanno certo di casa in quei Paesi», si legge in una riflessione del dell’Associazione per la Pace del 20 marzo. In quanto a motivazioni e ad esiti la Libia di Gheddafi non sembrerebbe costituire un’eccezione storica rispetto ad altri contesti di crisi che hanno “meritato” un intervento militare. Ancora una volta registriamo il fallimento dell’opzione diplomatica, una strada che – è il commento amaro – «non è stata ancora praticata perché i nostri governi hanno sempre scelto la guerra».

A noi pacifisti, conclude il messaggio, «dicono che siamo “anime belle” ed irresponsabili. Noi consideriamo irresponsabile chi invece di aiutare forze democratiche a crescere, porta solo bombe in nome della difesa dei diritti umani e invece di difendere i diritti umani per tutte e tutti difende i propri interessi, siano essi economici o geopolitici, e mentre parte con dispiego di aerei e missili per “difendere diritti umani calpestati”, respinge dalle sue coste popolazioni civili in fuga dalla povertà, dalle dittature e dalle guerre».

 

La guerra è l’odissea della politica

Odissey dawn è il suggestivo nome che gli alleati hanno assegnato alla missione in Libia. Parla invece di Odissea della politica mons. Giovanni Giudici, vescovo di Pavia e presidente nazionale di Pax Christi, in un comunicato del 21 marzo: l’intervento costituisce infatti «un’uscita dalla razionalità» «a causa di una debolezza della politica». Il colonnello, chiarisce mons. Giudici, «era già in guerra con la sua gente anche quando era nostro alleato e amico!»; «ha sempre mostrato il suo volto tirannico. Pax Christi, con altri, ha denunciando le connivenze di chi, Italia in testa, gli forniva una quantità enormi di armi senza dire nulla, anche dopo la sua visita in Italia, “sui diritti umani violati in Libia, sulla tragica sorte delle vittime dei respingimenti, su chi muore nel deserto o nelle prigioni libiche. Il dio interesse è un dio assoluto, totalitario, a cui tutto va immolato. Anche a costo di imprigionare innocenti, torturarli, privarli di ogni diritto, purché accada lontano da qui. In Libia”. (Pax Christi 2 settembre 2010)». Ancora una volta, Pax Christi ribadisce il proprio no: «Non vogliamo arrenderci alla logica delle armi. Non possiamo accettare che i conflitti diventino guerre». E, nel ricordare le parole di Giovanni Paolo II contro la guerra in Iraq del 1991 – «le esigenze dell’umanità ci chiedono di andare risolutamente verso l’assoluta proscrizione della guerra e di coltivare la pace come bene supremo» – rilancia «con rinnovata consapevolezza la campagna per il disarmo contro la produzione costosissima di cacciabombardieri F-35. Inoltre invitiamo tutti a mobilitarsi per la difesa della attuale legge sul commercio di armi».

È piena l’adesione alle parole di Pax Christi Italia da parte di Noi Siamo Chiesa e delle Comunità di Base, che ripropongono l’appello anche sui loro siti (www.noisiamochiesa.org, www.cdbitalia.it). «Noi Siamo Chiesa, sulla crisi in Libia, ha deciso di sottoscrivere il testo», ha spiegato il portavoce Vittorio Bellavite: «Si dicono cose chiare e al di fuori del circuito dei politici di governo o di opposizione ed anche lontane dalle frasi fatte di altri esponenti delle gerarchie e dell’Avvenire di questi giorni».

 

Le fasi alterne dell’Onu

«10 tesi» per dire no a questa guerra e ribadire che «una cosa è la risoluzione dell’Onu, un’altra è la sua applicazione. Una cosa è difendere i diritti umani, un’altra è scatenare una guerra». Così si legge in un comunicato del 21 marzo, firmato da Flavio Lotti, coordinatore della Tavola della Pace, che attacca la strategia messa in campo dall’Onu «L’iniziativa militare contro Gheddafi è stata assunta in fretta da un gruppo di Paesi che hanno fatto addirittura a gara per stabilire chi bombardava per primo, che non ha nemmeno una strategia comune, che non ha un chiaro comando unificato ma solo una forma di coordinamento, con una coalizione internazionale che si incrina ai primi colpi e che deve già rispondere alla pesante accusa di essere andata oltre il mandato ricevuto. Si poteva iniziare in modo peggiore?». Secondo Lotti, molti sono i nodi ancora irrisolti: la cortina di silenzio che, negli stessi giorni, si è abbattuta sulle repressioni antidemocratiche in Bahrain e Yemen, l’eccessiva fretta di alcune potenze di entrare in guerra, fino anche a snaturare gli obiettivi della risoluzione 1973, l’atteggiamento in passato altalenante – «tra l’inerzia e la complicità» – dimostrato nei confronti del dittatore libico. Solo realpolitik delle relazioni internazionali? Non c’è realismo che tenga quando si è in guerra, precisa Lotti: «Non è questione di pacifismo. La storia e il realismo politico ci insegnano che la guerra non è mai stata una soluzione. La guerra non è uno strumento utilizzabile per difendere i diritti umani. La guerra non è in grado di risolvere i problemi ma finisce per moltiplicarli e aggravarli».

 

Paese sovrano, guerra illegittima

No ad ogni intervento militare contro uno stato sovrano è l’appello della rete Uniti&Diversi (www.unitiediversi.it), promosso, tra gli altri, dal portavoce Maurizio Pallante (fondatore Movimento Decrescita Felice), Giulietto Chiesa (presidente Laboratorio politico “Alternativa”), Monia Benini (presidente “Per il Bene Comune”), Massimo Fini (fondatore “Movimento Zero”) e dalla Rpmlc (Rete Provinciale torinese dei Movimenti e Liste di Cittadinanza). La petizione online – sottoscritta anche dalla pastora valdese Maria Bonafede e dal missionario comboniano p. Alex Zanotelli – denuncia le gravi responsabilità storiche dell’Italia in merito alla situazione attuale della Libia. Scrive Pallante sul suo blog (www.ilfattoquotidiano.it, 18/3): «Ci dichiariamo disponibili a sostenere ogni azione legittima che contribuisca a fermare lo spargimento di sangue e a trovare una soluzione politica alla crisi, mentre dichiariamo la nostra ferma contrarietà ad ogni azione bellica condotta dall’esterno contro un Paese sovrano». La guerra, annunciava un comunicato della rete l’11 marzo scorso, è un’operazione «mascherata da “azione umanitaria”. L’unica finalità sarebbe impadronirsi delle risorse economiche ed energetiche di un Paese straniero. Esattamente come in Iraq e in Afghanistan».

 

L’Unità d’Italia di fronte agli interessi

«Quando le bombe tuonano, tace la ragione, tace la parola, l’umanità si eclissa» e «quando è tardi perché si è già sbagliato nel non capire e non agire bene tempestivamente, non c’è più riparo al danno e al dolore». È duro il commento, nei primi giorni di guerra, di Enrico Peyretti, ricercatore, tra i fondatori del mensile di cristiani torinesi, il foglio: «L’Italia fece guerra coloniale alla Libia quando celebrava a Torino, con una esposizione universale, il 50° della sua unità, nel 1911. Ora, nel 150°, da destra al sinistra-centro, macchiando il tricolore appena ritrovato, ripulito dal colore nazionalistico, s’imbarca di nuovo in una guerra d’interesse alla Libia, col cui dittatore, finora persino onorato, l’Italia ha concluso accordi non umanitari, a danno dei “dannati della terra”». Peyretti non fa sconti a nessuno, nemmeno al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano – baluardo dell’Italia unita nei giorni di commemorazione – colpevole di aver «interpretato l’art. 11 della Costituzione secondo una lettura distorta, proposta di recente da fonti non pacifiche, che giustifica gli interventi militari internazionali, più che valorizzarne sia il principio del ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie, sia la costruzione di solide e giuste istituzioni internazionali capaci di costruire giustizia e pace politica tra i popoli».

 

Dal baciamano alle bombe

Se l’Onu «è oramai diventata una sede di dichiarazioni di guerra e non un luogo dove le guerre devono essere scongiurate», non meno incoerente si è dimostrato l’atteggiamento del governo italiano nei confronti del rais, passato dal baciamano alle bombe in pochi mesi, commenta incredulo Giovanni Sarubbi, direttore del periodico irpino ildialogo.org, in un editoriale del 19 marzo: «Quelli che hanno fatto il baciamano a Gheddafi», incalza Sarubbi, «oggi parlano di “regime libico”, di diritti umani negati e balle varie, facendo finta di non sapere quante migliaia di morti la loro politica ha fatto nei deserti libici o nel canale di Sicilia», «per consentire alla Lega e al suo governo di presentarsi come coloro che avevano risolto il problema della immigrazione clandestina». Ora, in ossequio alla nuova chiamata alle armi, l’Italia tradisce proprio quel Trattato di amicizia con la Libia, in cui si dice che «l’Italia non userà né permetterà l’uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro la Libia» e che «le parti definiscono in modo pacifico le controversie che potrebbero insorgere tra loro».

«Occorre mobilitarsi – conclude Sarubbi – contro la guerra, contro tutte le guerre, per il ritiro di tutte le truppe italiane da qualsiasi fronte di guerra, qualunque sia l’organismo internazionale che ha deciso quella guerra e a cui l’Italia ha aderito. La guerra è sempre criminale e chiunque la decide è un criminale e un assassino».

Movimento nonviolento

Le due risoluzioni dell’Onu, la 1970 e la 1973, imponevano il raggiungimento di precisi obiettivi: proteggere i civili, affermando il rifiuto di ogni occupazione militare straniera, affermare la priorità del cessate il fuoco e della mediazione politica, rafforzare l’embargo militare e commerciale, riconoscere il ruolo prioritario dell’Unione Africana, della Lega Araba e della Conferenza Islamica. Eppure, nulla di tutto questo è stato fatto – denuncia il Movimento Nonviolento (promotore della marcia Perugia-Assisi, www.nonviolenti.org) in un comunicato del 21 marzo – e la comunità internazionale ha deciso di passare subito all’opzione militare, finora «l’unica che è stata adeguatamente preparata e finanziata». D’altra parte, affonda il documento, «come possiamo aspettarci scelte di pace da governi (compreso quello italiano) che mantengono gli eserciti e le loro strutture, che finanziano missioni militari, che aumentano le spese belliche, che accettano il traffico legale e illegale di armi?».

 

Lo sapevate? Siamo in guerra

«Il mondo gioca la sua ennesima sanguinaria partita a Risiko». È impietosa l’analisi dell’Associazione Nazionale Papaboys, in una nota di redazione del 21 marzo, che condanna i giri di parole e gli atteggiamenti ambigui della politica italiana: «L’opinione pubblica, forse, non lo ha ancora pienamente realizzato, ma siamo in guerra. In una guerra, per giunta, di cui non sono pienamente comprensibili le finalità e le possibili conseguenze e ripercussioni, né tantomeno la posizione del nostro Paese. Un Paese che fino a quattro mesi fa (ma già con il Governo Prodi) accoglieva e più recentemente “baciava le mani” a quello che oggi sembra essere diventato il nemico numero uno del mondo, il leader libico Muammar Gheddafi».

 

Bugie di Stato

«Quante bugie! Si sa, in tempo di guerra se ne dicono tante, e la prima vittima di ogni guerra e proprio la verità».

A scrivere il proprio disagio è Renato Sacco, in un editoriale del 23 marzo sul sito Mosaico di Pace. Le bugie impediscono di vedere «le tragedie dalla parte delle vittime, del loro dolore e disperazione».

E bugia, condanna Sacco, è «anche non avere detto chiaramente che a Gheddafi l’Italia ha venduto tante armi e che l’attuale Governo vorrebbe anche cambiare la legge sulla vendita delle armi per rendere più facile questo grande affare». (giampaolo petrucci)

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