Utopia in costruzione: una spiritualità socialista per il XXI secolo
Tratto da: Adista Documenti n° 42 del 28/05/2011
DOC-2356. SÃO-PAULO-ADISTA. Che la Teologia della Liberazione non fosse abbastanza presente nel cuore del processo di trasformazione in corso nel continente latinoamericano - soprattutto a fronte della posizione chiaramente ostile espressa al riguardo dalla gerarchia ecclesiastica in generale - il teologo benedettino brasiliano Marcelo Barros lo aveva già evidenziato in passato, lanciando l’allarme sul venir meno di quel ruolo di accompagnamento - mai acritico, ma sempre solidale - che era stato un segno distintivo della TdL delle origini (v. Adista n. 8/09). Assume quindi particolare rilevanza, al fine di colmare questo ritardo, il libro - appena uscito per i tipi della casa editrice Nhanduti di São Paulo - che Marcelo Barros ha dedicato al tema dell’accompagnamento del cammino di trasformazione latinoamericano: Nuestra América. Espiritualidade Socialista para o século XXI. Per quanto ancora embrionale e contraddittorio (come dimostrano abbondantemente le ultime vicende del Venezuela, della Bolivia e dell’Ecuador), sta sorgendo, scrive Leonardo Boff nella prefazione, «un nuovo processo sociale che ancora non si può definire propriamente socialista, ma che va nella direzione di sistemi più decentrati e di un’economia più centrata sulla solidarietà e la condivisione». La sfida posta dal libro di Barros, «uno dei teologi più amati dalle comunità ecclesiali di base e dai movimenti popolari», impegnato da anni ad accompagnare esperienze bibliche e pastorali in vari Paesi del continente, è, prosegue Boff, quella di «vedere in questo cammino non solo un evento sociale e politico, ma un segno chiaro del fatto che lo Spirito Divino suscita nuovi passi di libertà e di solidarietà tra i nostri popoli».
Strutturato secondo il metodo tradizionale latinoamericano del “vedere, giudicare, agire”, il libro offre una panoramica dei processi sociali e politici del continente per poi individuare quegli elementi della fede cristiana e delle diverse tradizioni spirituali che possano rafforzare una vocazione rivoluzionaria socialista per il XXI secolo, evidenziando infine alcuni principi e criteri per una nuova teologia e una nuova spiritualità ecumenica pensate a partire dal processo in corso in America Latina.
Pur insistendo ripetutamente sulle contraddizioni e sulle difficoltà presenti in questo cammino, il monaco benedettino sottolinea però come, in controtendenza rispetto a quanto avviene in altre parti del mondo, in alcuni Paesi dell’America Latina vi siano «indizi di quello che Boaventura de Sousa Santos ha definito “un abbozzo di un socialismo per il XXI secolo”». Se un tempo, in ambito ecclesiale, si diceva che era preferibile sbagliare con la Chiesa che avanzare da soli, «oggi possiamo dire lo stesso rispetto a questo processo nuovo di rivoluzione socialista ancora in fase embrionale nel continente». Del resto, agli inizi della Teologia della Liberazione, di fronte ai limiti e alle contraddizioni dei movimenti rivoluzionari, «i teologi seppero mantenere il loro senso critico e la loro dimensione profetica, ma senza rifiutarsi di pensare la loro teologia a partire da questa pratica». Perché, allora, rifiutare oggi la riflessione suscitata dal processo bolivariano? Secondo Marcelo Barros, la responsabilità dei cristiani, dei seguaci delle diverse religioni e anche di chi non appartiene ad alcuna religione ma condivide la ricerca di una spiritualità umana ed ecumenica è quella di «cogliere i segni dei tempi», raccogliendo l’invito dello Spirito ad operare per la trasformazione del nostro continente in «una grande patria libera e sovrana, sogno di Bolívar e di tanti altri figli e figlie di Abya Yala».
“Non torneremo indietro”
La ricerca del teologo viene da lontano: era la metà degli anni ‘80 quando, nel suo primo viaggio a Cuba su invito del Comitato centrale del Partito Comunista, Barros aveva dovuto affrontare la questione di come aiutare le giovani generazioni che non avevano vissuto lo slancio rivoluzionario a non lasciarsi irretire dal canto delle sirene capitaliste, attraverso la scoperta di una “mistica” (nel senso in cui la intendono i movimenti latinoamericani, come motivazione personale e coinvolgimento affettivo nella lotta) inserita nel cammino socialista. Ed è tale questione che Barros ripropone oggi, nella convinzione che l’«unità tra spiritualità e opzione rivoluzionaria nei nostri movimenti» darebbe ai militanti una forza nuova e una più profonda motivazione ideale.
L’obiettivo, secondo il monaco bendettino, era stato già indicato da Che Guevara, il quale non si accontentava di una mera redistribuzione dei beni materiali: «Voleva la creazione di un uomo e di una donna nuovi. Voleva una nuova cultura e un nuovo tipo di società, caratterizzata dall’abolizione di ogni forma di oppressione e di sfruttamento e dal primato della solidarietà. Il socialismo avrebbe dovuto garantire il superamento della separazione tra governanti e governati e la riconciliazione dell’essere umano con la natura. Certamente, è questo l’ideale del socialismo del XXI secolo che, in America Latina, chiamiamo nuovo bolivarianismo». Per quanto si tratti di «un progetto a lungo termine che può realizzarsi solo in un processo lento e dialettico», alcuni elementi di questo nuovo socialismo risultano già chiari: una nuova relazione con la natura, raccogliendo la dimensione della spiritualità ecologica propria delle culture indigene e popolari, che Barros chiama assai efficacemente «Nuovissimo Testamento»; il primato del valore d’uso su quello di scambio, privilegiando le necessità umane rispetto al profitto; la radicalizzazione e l’estensione della democrazia a tutte le relazioni umane, in maniera da influenzare le istituzioni sociali, politiche, culturali e religiose; il pluralismo culturale («Non posso comprendere – scrive Barros - un bolivarianismo che non poggi sugli elementi culturali ed etici provenienti dalle tradizioni spirituali indigene e nere»). E se tali elementi si intravedono solo in maniera molto confusa nei processi in corso, Barros evidenzia ad esempio la scommessa del governo bolivariano sulla partecipazione attiva delle fasce popolari, attraverso i comitati bolivariani, le missioni sociali e «un enorme sforzo pedagogico per coinvolgere gli esclusi» (anche grazie a un dibattito politico tra i più intensi e democratici»).
Quanto al futuro che attende tali processi, si può applicare al processo bolivariano, secondo il teologo brasiliano, la stessa espressione che negli anni ‘70 usava Carlos Mesters in riferimento alle Comunità ecclesiali di base e alla lettura latinoamericana della Bibbia: «questo fiore fragile e senza difesa». Non possiamo sapere – conclude Barros - se questo processo riuscirà infine a trionfare «sul marciume delle élite conservatrici e sulla reazione di tante forze contrarie, sfociando in un nuovo processo rivoluzionario». Su può dire tuttavia che «difficilmente i movimenti indigeni e popolari torneranno indietro. Nessuno riuscirà più a spegnere la fiamma della libertà e della coscienza del diritto dei piccoli a una terra libera e liberata. Possiamo anche desiderare che le Chiese cristiane e altre religioni offrano un contributo positivo al consolidamento di questo processo», ma «quello che possiamo promettere è che noi saremo fedeli». Come ha scritto Pedro Casaldáliga, a cui il libro è dedicato, è importante «saper aspettare, sapendo, allo stesso tempo, forzare l’ora di quell’urgenza che non permette di aspettare».
Di seguito, in una nostra traduzione dal portoghese, alcuni stralci del capitolo su “Una nuova teologia socialista latinoamericana”. (claudia fanti)
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