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Buen Vivir, un vangelo di vita possibile. L’Agenda Latinomericana 2012 per «una buona umana convivenza»

Tratto da: Adista Documenti n° 77 del 22/10/2011

DOC-2389. ROMA-ADISTA. Dopo essersi interrogati su «quale Dio», quale domanda migliore di quella su «quale umanità»? Così, al tema religioso affrontato lo scorso anno, quello di «una spiritualità senza mito» (v. Adista n. 80/10), l’Agenda Latinoamericana fa seguire per il 2012, e senza soluzione di continuità, una riflessione sull’utopia indigena del «Ben Vivere - Ben Convivere». Lo spiega bene dom Pedro Casaldáliga nella sua “Introduzione fraterna”: «La nostra Agenda 2011 è arrivata fino a Dio: “Che Dio?” si domandava. Sembrava che non avremmo potuto andare oltre; saremmo giunti al Mistero. La verità è che si deve e si può andare più in là, avvicinandoci, addentrandoci maggiormente, traducendo l’esperienza del Mistero-Dio, umanamente e storicamente, scoprendolo e accogliendolo nei passi quotidiani della sua famiglia umana». Ecco allora l’interrogativo centrale posto dall’Agenda: «Che Umanità possiamo e vogliamo essere; che vita possiamo e vogliamo vivere; a che tipo di convivenza aneliamo»? Una domanda che l’Agenda Latinoamericana - opera aconfessionale, ecumenica e macroecumenica ideata da Casaldáliga e José Maria Vigil nel solco dell’educazione popolare liberatrice dell’America Latina intesa come continente spirituale (www.latinoamericana.org) - ha tutte le carte in regola per porsi e per porre, avendo dal suo primo numero, 21 anni fa, assunto la sfida di contribuire alla promozione delle «Grandi Cause», che sono grandi, sottolinea ancora Casaldáliga, «perché abbracciano le nostre vite, la Società, il Pianeta, l’Universo...» e «“valgono” più della nostra vita, perché sono loro che danno senso alla vita». Quelle cause che, aggiunge Vigil, «hanno segnato le vie d’azione e di prassi per lottare per l’altro mondo possibile, che per i cristiani è una concretizzazione di quel Ben Vivere che Gesù annunciò e che chiamò Malkuta Yahvéh, Regno di Dio».

È in questo quadro che l’Agenda di quest’anno, afferma Casaldáliga, associa a una parola «sognatrice e militante» come «Utopia», che l’ha accompagnata lungo tutto il suo cammino, un’altra parola liberatrice, «feconda matrice dell’utopia ancestrale dei nostri popoli indigeni, ripresa oggi quando definitivamente si sgretolano certi “paroloni”, veri dogmi di un supposto “ben essere”, di un progresso senza limiti, di una storia giunta al suo limite massimo»: è quella del Ben Vivere, che «ci viene incontro come un vangelo di vita possibile», «di fronte al mal-vivere dell’immensa maggioranza delle persone e contro “la bella vita”, insultante, blasfema, di una minoranza che cerca di essere e starsene sola nella casa comune dell’Umanità». Un Ben Vivere-che è anche Ben Convivere, «perché è inimmaginabile una buona vita umana che non sia una buona umana convivenza». E non solo umana, specifica Vigil, coordinatore dell’Agenda e della Commissione Teologica della Associazione Ecumenica dei Teologi del Terzo Mondo: «Non viviamo bene se non conviviamo bene, intendendo ciò effettivamente in senso integrale», come convivenza tra gli uomini, con altre specie (contro lo specismo, ossia la dominazione della specie homo sapiens sulle altre specie viventi) e con tutta la natura (come evidenzia l’aymara boliviano Fernando Huanacuni, «siamo figli della Madre Terra, siamo figli del cosmo, perciò non esiste la dicotomia essere umano-natura, siamo natura, siamo Pachamama»).

Per quanto non si tratti di un tema realmente nuovo, è però solo negli ultimi anni che i popoli indigeni lo hanno portato alla luce «per offrirlo al mondo come il loro apporto all’avventura umana». Ed è in particolare dopo la sua incorporazione nelle Costituzioni della Bolivia (Suma Qamaña, in aymara) e dell’Ecuador (Sumak Kawsay, in kichwa) che il concetto è stato assunto dal pensiero altermondialista come punto centrale di riferimento per ogni riflessione, anche al di fuori dei confini dell’America Latina, su un nuovo modello di civiltà (v. Adista nn. 20, 77 e 112/09; 24 e 65/10 e 38/11). «Ascoltare questa proposta, accoglierla, farla conoscere nel nostro continente e oltre, meditarla» è allora, scrive Vigil, ciò che si propone di fare l’Agenda, unendo il proprio contributo «alla riflessione collettiva che si sta realizzando dentro e fuori il Continente sul Sumak Kawsay». Un contributo, quello dell’Agenda, che, in obbedienza al tradizionale metodo del vedere-giudicare-agire, parte dall’esposizione e dalla spiegazione del concetto di Sumak Kawsay, prosegue con le riflessioni attorno a tale proposta, alle sue ricchezze e ai suoi limiti, nel confronto con le Grandi Cause che hanno configurato l’Utopia Latinoamericana degli ultimi tempi, e conclude con l’indicazione di piste, suggerimenti, inviti sui percorsi da seguire. E ciò a partire dall’evidenza della non percorribilità del sistema attuale («Se la Terra potesse parlare - scrive João Batista Libânio -, da tempo avrebbe gridato al cielo contro lo sfruttamento devastante a cui è sottomessa») e dalla consapevolezza che, come sottolinea Edgardo Lander, l’ostacolo più grande, molto al di là dei limiti posti dal potere, dalle classi dominanti, dalle multinazionali, è presente «nelle nostre stesse teste, in un pensiero legato alla riproduzione dell’esistente, nella nostra debole capacità di immaginare altre forme di intendere le cose». «Il tema dei temi», lo definisce non a caso Leonardo Boff, ricordando che «la nuova centralità non consiste nel chiedersi che futuro avrà l’Occidente o la Chiesa cattolica, quanto piuttosto che futuro avranno la Terra e l’Umanità».

Di seguito pubblichiamo due dei circa quaranta testi che fanno parte dell’Agenda 2012 (la cui edizione italiana è curata dal Gruppo America Latina della Comunità Sant’Angelo e promossa, tra gli altri, da Adista, dal Cipsi, dai Giovani Impegno Missionario e dal Sal): gli interventi di José María Vigil, nella sua versione più ampia inviataci dall’autore stesso, e di Francesco Gesualdi (sul sito servicioskoinonia.org/agenda/archivo è possibile consultare l’archivio telematico dell’Agenda). (claudia fanti).

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