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Dalla Dc al “partito della Cei”

Tratto da: Adista Documenti n° 81 del 05/11/2011

DOC. 2390. ROMA-ADISTA. Nel crepuscolo del potere berlusconiano è necessario, anzi doveroso, interrogarsi su quale sia stato il contributo, non solo in termini di omissioni, ma di fattivo sostegno e collaborazione, dato dalla gerarchia cattolica italiana all’ascesa ed al consolidamento della cosiddetta “Seconda Repubblica”, nata dalle ceneri della Democrazia Cristiana e degli altri partiti di massa ed egemonizzata, dal 1994 ad oggi, dal partito azienda fondato da Silvio Berlusconi.

Il 3 aprile 1994, sulla prima pagina di RomaSette,  il settimanale diocesano allegato all’edizione romana del quotidiano Avvenire, la vittoria del Polo della Libertà e del buon governo veniva annunciata con questo titolo: “È tempo di guardare avanti”. L’editoriale salutava poi il trionfo del «giovane ma efficace raggruppamento messo in campo da Berlusconi», ricordando che questi aveva «messo in prima linea l’importanza della famiglia» e non aveva taciuto «la tradizione cristiana dell’Italia».

Da alcuni anni il presidente della Conferenza episcopale italiana, nonché plenipotenziario del papa per la diocesi di Roma, era il card. Camillo Ruini. Fu lui a progettare e mettere in atto l’inedita e spregiudicata strategia che, scavalcando qualsiasi mediazione partitica, rese progressivamente la Chiesa italiana interlocutrice diretta del governo e delle forze politiche del nostro Paese, con una opzione preferenziale (ma non esclusiva) per quelle di centro destra.

Subito dopo le politiche del 1994, infatti, Ruini dava avvio a quel Progetto Culturale cristianamente ispirato che avrebbe costituito il puntello ideologico culturale di questa operazione, legittimando la presenza della gerarchia cattolica nella vita politica e culturale ed il suo stretto legame, oltre che con le istituzioni repubblicane, anche con i poteri economico-finanziari del Paese.

Paradossalmente, proprio grazie alla fine di quella Dc tanto difesa anche quando la sua presenza sulla scena pubblica era ormai irrimediabilmente compromessa, il presidente della Cei riuscì a contrattare, spuntandola in quasi ogni “negoziato” (perché quei valori che ai laici cattolici impegnati in politica veniva detto non essere “negoziabili”, la gerarchia cattolica continuava indisturbata a negoziarli) le questioni che stavano maggiormente a cuore alla “sua” Chiesa: “difesa” della vita, bioetica, finanziamento pubblico delle scuole cattoliche, parità scolastica, tutela della famiglia fondata sul matrimonio, sussidiarietà, cultura cattolica. Strategia che gli ottenne, peraltro, enormi risultati, come la centralizzazione, sotto il suo controllo, della gestione dei fondi dell’8 per mille, massicci finanziamenti per il Giubileo del 2000 e il mega raduno dei giovani cattolici a Tor Vergata della Giornata Mondiale della Gioventù di Roma, la legge sulla fecondazione assistita, quella sull’esenzione dell’Ici per i beni immobili ecclesiastici con attività di natura non esclusivamente commerciale, l’immissione in ruolo degli insegnanti di religione, la legge che finanzia gli oratori cattolici, l’appalto a cooperative ed enti riconducibili alla Chiesa cattolica di pezzi importanti di stato sociale, ecc. A pagare dazio, ancora una volta, l’autonomia dei laici cattolici impegnati in politica e la loro libertà di esprimersi ed agire fuori dall’ingombrante “tutela” della gerarchia, tanto sul versante politico che su quello ecclesiale.

Oggi, mentre la Chiesa prende definitivamente le distanze dal governo Berlusconi (non altrettanto, sembra, dal centrodestra) e rilancia l’idea del “partito dei cattolici”, imposto fino all’anacronismo per 40 anni (attraverso il “dogma” dell’unità politica dei cattolici nella Dc) e sbrigativamente archiviato dopo il 1994, la memoria diventa un esercizio indispensabile. Per capire cosa è successo in questi quasi venti anni, certamente; ma soprattutto per tentare di leggere in maniera non frammentaria o superficiale questo nostro tempo presente ed i grandi cambiamenti che si affacciano all’orizzonte politico ed ecclesiale del Paese.

Soprattutto, per cercare di chiarire come sia stato possibile che la Chiesa italiana, per il tramite della presidenza della Cei, abbia realizzato l’inedita e solidissima alleanza trono-altare di questi ultimi anni; e interrogarsi sul senso di una Chiesa che si trasforma in Progetto Culturale, di un kerigma ridotto a “presenza”, di una “conversione”, quella a cui Gesù per primo sulla spiaggia del mare di Galilea chiamò i suoi discepoli, che diventa essenzialmente un fatto di “formazione”.

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