Gelmini addio. E ora speriamo bene
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 87 del 26/11/2011
Mentre mi accingo a scrivere, leggo su Tuttoscuola una notizia che ho atteso per anni, più di 3 per l’esattezza: la Gelmini sta traslocando da viale Trastevere; sta impacchettando le sue cose e salutando i suoi collaboratori. Intanto, il prof. Monti è riuscito a proporre una nuova squadra di governo lanciando, come ministro dell’Università e delI’Istruzione, Francesco Profumo (presidente del Cnr).
Quello che avverto ora è, misteriosamente, solo un vago sollievo, nel grande punto interrogativo rappresentato dal futuro, insieme alla consapevolezza che, comunque vadano le cose, non sarà facile. E che gli effetti dell’intossicazione da disinteresse per la scuola, e da conseguenti provvedimenti, saranno smaltiti molto lentamente.
Il danno è stato fatto. Un rapido bilancio del triennio passato ci spiega soprattutto una cosa: che si può governare la scuola senza pensare affatto alla scuola. Tutto comincia con l’articolo di una legge, il 64 della 133/08, inserito nel capo II (Contenimento di spesa nel pubblico impiego). Un titolo, un programma. In quell’articolo viene inserito l’Abc della devastazione della scuola pubblica, da realizzarsi nei 3 anni seguenti: taglio di 8 miliardi di euro, con relativo annullamento di 135mila posti di lavoro; aumento del rapporto alunni-docente; sottrazione della normativa dell’obbligo di istruzione (ossia conseguito anche attraverso entità estranee alla scuola della Costituzione) al criterio di transitorietà (stabilito dalla l. 296/06) e conseguente configurazione di modi differenti (e l’art. 3 della Costituzione?) di assolvere l’obbligo scolastico: integralmente nella scuola, con la partecipazione delle agenzie formative oppure addirittura anche nell’apprendistato, ex 183/10. Trattamenti scandalosamente differenziati, come è evidente, tra nati bene (destinati alla scuola e probabilmente a percorsi universitari) e “figli di un dio minore” cui viene alienato (proporzionalmente alla loro marginalità) il diritto che dovrebbe essere di tutti i ragazzi: assolvere l’obbligo scolastico dentro la scuola. L’unica motivazione è stata, appunto, il «contenimento di spesa», «la razionalizzazione e semplificazione»: risparmio sul futuro, sulla cittadinanza, sulla cultura come elemento identitario. E così, a seguire, sono stati analogamente vincolati a quell’obiettivo le grandi riforme dell’immeritevole Gelmini: lo smantellamento del modello della collegialità pedagogica alla primaria, con l’art. 4 del Dl 137/08, e molto altro ancora.
Non c’è un’ombra di pensiero pedagogico, di pensiero riflessivo, di intenzionalità culturale in quei provvedimenti. Hanno governato la scuola come avrebbero fatto con qualsiasi altro organismo, senza provare a penetrarne specificità e mandato costituzionale.
Speriamo bene.
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