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LA CHIESA OLTRE IL TUNNEL. PRETI E CREDENTI NEL POPOLO NOTAV. NONOSTANTE LA GERARCHIA

Tratto da: Adista Notizie n° 10 del 17/03/2012

36576. ROMA-ADISTA. Il progetto della nuova linea ferroviaria Torino-Lione, viene definito “strategico” dai suoi sostenitori. Si dice che la sua mancata realizzazione taglierebbe addirittura l’Italia fuori dalle “grandi direttrici commerciali continentali”. Si parla genericamente di un’opera “cruciale”, “indispensabile”, “imprescindibile”. Poi però nello specifico sono anni che nessuno riesce a spiegare concretamente, e dati alla mano, il senso di una operazione che costerà almeno 20 miliardi di euro (ma facilmente si arriverà a superare i 30), per il 60% a carico del nostro Paese (nonostante 44 dei circa 57 km della nuova ferrovia attraverseranno il territorio francese); che avrà tempi di realizzazione di almeno 15 anni; che permetterà di risparmiare non più di una manciata di minuti per raggiungere Torino rispetto all’attuale tratta (la nuova linea, infatti, percorrendo molti km di gallerie, consentirà una velocità massima di 220 km/h, con tratti a 160 e 120 km/h); che non si giustifica dal punto di vista della domanda di trasporto merci e passeggeri (in continuo calo negli ultimi 15 anni); che non garantisce nemmeno prospettive di convenienza economica per il territorio attraversato né, tantomeno, per i territori limitrofi e per il Paese; e che, anzi, avrà un impatto ambientale (a partire dalla presenza di uranio ed amianto nel massiccio D’Ambin, oggetto dello scavo del tunnel di base della tratta) notevole sul territorio della Val di Susa, con pesanti ricadute anche dal punto di vista turistico.

Per queste, e per molte altre ragioni, il movimento No-Tav, nato ufficialmente nel 1995 (anno della prima grande manifestazione contro l’Alta velocità in Val di Susa) ha intercettato il consenso ed il sostegno della stragrande maggioranza degli 80mila valsusini e di una parte crescente dell’opinione pubblica del Paese, tanto da resistere ad anni di campagne mediatiche che ne criminalizzano obiettivi e pratiche, riuscendo a collegarsi anche con diversi altri movimenti e realtà attive sul territorio nazionale (a partire dai movimenti contro gli inceneritori, fino a quello No Dal Molin, passando per le mobilitazioni contro il nucleare, il Ponte sullo Stretto e per l’acqua pubblica e i beni comuni). Anche tra gli amministratori locali della Val di Susa (sindaci e presidenti delle comunità montane in testa) le ragioni dei No Tav hanno fatto rapidamente breccia. E a livello ecclesiale, l’associazionismo cattolico, le comunità parrocchiali, i preti e religiosi che vivono in valle condividono le istanze del movimento e ne sostengono, spesso attivamente, le iniziative.

È anche per questa ragione che i vescovi piemontesi sulla questione sono sempre stati molto prudenti (cerchiobbottisti, secondo alcuni). Da una parte, infatti, le Curie diocesane non possono non dare voce almeno in parte ai malumori ed alle proteste che si alzano dalla base cattolica valsusina. Dall’altra, però, non possono permettersi di opporsi apertamente al progetto, sostenuto dalle banche, dal mondo delle imprese e da tutti i governi regionali e nazionali di centrosinistra e centrodestra che si sono succeduti negli ultimi anni. E oggi fortemente difeso anche dall’esecutivo guidato da Mario Monti, il cui asse con la gerarchia cattolica è stato sinora solidissimo.

La gerarchia media

Così, il vescovo Torino, mons. Cesare Nosiglia, sensibilissimo agli umori dei palazzi vaticani come della presidenza della Cei, ma attento anche alle sensibilità che provengono dal territorio, ha cercato di non scontentare nessuno. Parlando alla Radio Vaticana (1/3), da una parte ha infatti chiesto dialogo ed ascolto delle ragioni di chi protesta pacificamente; dall’altra però ha invitato «tutti gli uomini di buona volontà che abitano in Val di Susa» ad impegnarsi affinché si abbassi «la tensione che genera contrapposizioni, scontri violenti, isolando gli estremisti e riaffermando le proprie ragioni ma attraverso quelle vie legali, pubbliche, che la nostra democrazia offre». Sempre a Radio Vaticana ha parlato anche il vescovo di Susa, mons. Alfonso Badini Confalonieri, molto contestato per la sua volontà di mantenere la Chiesa segusina fuori dagli schieramenti pro o contro la Tav, da alcuni interpretata come  sostanziale condiscendenza verso il progetto governativo. La sua exit strategy, contenuta in una intervista rilasciata il 28 febbraio scorso è questa: «Il Governo – sostiene – dovrebbe entrare in contatto con le popolazioni locali per aiutarle a comprendere, se non proprio a condividere, il progetto del treno veloce. Che poi è una scelta dell’Europa e dei governi italiano e francese che su questo hanno firmato un accordo internazionale. Mentre in Valle di Susa, bisogna che le persone siano disponibili ad ascoltare, accogliere, dialogare. Ho sempre sostenuto, e lo ribadisco, la necessità di un dialogo più comprensivo, umano, profondo, schietto».

Man mano che ci si allontana dalle zone calde del conflitto, i pronunciamenti ecclesiastici si fanno più tranchant e più severo il giudizio sui militanti No Tav, che nelle parole dei vertici della Cei appaiono egemonizzati dai violenti e dai facinorosi. Così, il presidente dei vescovi, il card. Angelo Bagnasco, si schiera sul fronte della “fermezza”, implicitamente liquidando le iniziative No Tav come illegittime: le contestazioni, ha detto rispondendo alle sollecitazioni dei giornalisti prima di prendere parte al convegno “Pasqua della scuola” «se sono nel segno della violenza non sono mai accettabili».

I cristiani valsusini lottano

Sul territorio, invece, i parroci continuano sostenere le ragioni e la mobilitazione del proprio popolo. Come don Silvio Bertolo, parroco di di San Pietro in Vincoli a Condove, da sempre vicino al movimento No Tav. Alla Stampa (6/3), don Silvio ribadisce che da troppo tempo il progetto dell’Alta Velocità minaccia l’ambiente, la pace sociale e il futuro stesso della Val Susa: «Non sono io a dirlo», precisa il parroco, «è la stragrande maggioranza dei valsusini a pensarla così, cifre alla mano».

Per cercare di fare in modo che anche i cattolici della Val Susa possano dare il loro contributo alle iniziative di salvaguardia del territorio, proprio a Condove è nato il Gruppo dei Cattolici per la Vita della Valle (è loro uno dei due striscioni montati davanti al Cto di Torino, dove è ricoverato in condizioni ancora serie Luca Abbà): «Un gruppo che ha organizzato convegni, sfilato pacificamente ai cortei e fatto informazione corretta sull’opera, che oltre 300 docenti universitari hanno definito dannosa e antieconomica [v. in www.notavtorino.org], arrivando a chiedere al presidente della Repubblica di bloccare i cantieri», ricorda don Bertolo.

L’altra realtà organizzata della Valle, nella quale forte è la presenza cattolica, è il Gruppo Pace Valsusa, che dal 2001 organizza digiuni, incontri di preghiera, presidi pacifici, incontri di riflessione e condivisione ispirati ai valori della nonviolenza attiva.

Che la Chiesa cattolica di base in Valsusa sia nettamente schierata con le ragioni dei No Tav lo dimostrano anche gli articoli del settimanale diocesano la Valsusa. Il cui direttore storico, don Ettore De Faveri, nel suo editoriale del 29/2 afferma risolutamente che «la lotta dei “No Tav” valsusini ha oramai la geografia di tutta l’Italia e chi pensa ancora di “chiuderla” dentro la Valle, non ha proprio capito nulla». Serve dialogo, scrive accorato don Ettore, sennò «non si va avanti»: «Certo – chiosa – si può lasciare tutto nelle mani della polizia, del prefetto. Come dire: fate le vostre marce, noi facciamo i nostri sgomberi». Ma questa è una «strada sbagliata, senza una via di uscita. Se non quella di un clima di militarizzazione, da una parte, e, dall’altra, di una guerriglia permanente».

Non va poi dimenticato che in Val di Susa c’è una antica e radicata presenza evangelica, valdese e battista, segnalata fin dal 1300. I pastori evangelici della valle (7 in tutto) sono sempre stati a fianco delle mobilitazioni anti Tav, e le ragioni del movimento hanno spesso trovato spesso ospitalità sui media del protestantesimo italiano, dal settimanale Riforma a Radio Beckwith Evangelica.

Se i pastori evangelici possono manifestare pubblicamente la loro vicinanza alla popolazione valsusina, non così i preti cattolici. Lo ha vietato il vescovo di Susa, per evitare che la presenza dei parroci venisse “strumentalizzata”, probabilmente ricordando l’imponente manifestazione del 2005, quando preti e pastori evangelici avevano preso parte al presidio anti-Tav di Venaus, violentemente caricato da polizia e carabinieri (v. Adista n. 87/05).

In ogni caso, anche se in ambito cattolico non tutti i parroci si sentono di schierarsi apertamente a fianco del movimento, difficile che non abbiano comunque parole di comprensione per le ragioni della lotta. Come don Sergio Blandino, parroco di Sant’ Antonino di Susa che sul sito di Famiglia Cristiana (4/3) parla di « una guerra tra poveri. Gente comune della Valle di Susa contro poliziotti che fanno il loro dovere per 1.300 euro al mese. E quando i poveri si fanno la guerra tra di loro alla fine a guadagnarci sono solo i ricchi».

Del resto, sempre su famigliacristiana.it don Luigi Chiampo, responsabile dell’unità pastorale di Almese, sottolinea che «buona parte dei cattolici impegnati, in valle di Susa, fa parte del Movimento No Tav, ne condivide le linee». Precisando che essi operano «in un’ottica pacifica». (valerio gigante)

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