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Ernesto Balducci, profeta di frontiera

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 17 del 05/05/2012

Si entra nel tempo di una commemorazione con sentimenti diversi, talora contrastanti. Se – come in questo caso – domina la gratitudine, e dolcissima, per la statura e l’importanza del personaggio, non si può però sopprimere un filo di inquietudine e di preoccupazione sugli oblii possibili e quelli fortemente perseguiti. La domanda su quanto siano adesso conosciute la figura e il pensiero di Ernesto Balducci – morto 20 anni fa, il 25 aprile 1992 – in particolare presso le generazioni che si affacciano al proscenio della contemporaneità, è precisa e significativa, e non ha, purtroppo, una risposta del tutto consolante. Quel che è a riguardo importante non è soltanto la memoria dell’uomo, ma quella dell’esperienza, dell’apertura culturale, della tensione etica, del respiro ecclesiale.

Cosa resta di una generazione di testimoni della fede liberante, di operatori di pace, di seminatori di libertà e di spirito critico? Questo è anche il ventennale della morte del padre David Maria Turoldo, ma pure dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Di quanta memoria, e di quale spessore, disponiamo collettivamente? D’altra parte, per taluni l’oblio è perseguito, e genera un silenzio assordante. In molti ambienti ecclesiali, il ricordo di padre Balducci resta impietoso, talvolta feroce. Ci sono diocesi in cui i suoi scritti vengono bocciati, se proposti per i sussidi pastorali: lo si considera ancora un corruttore, un uomo compromesso con l’ideologia, schierato per dividere e non per fedeltà al Vangelo, che resta lama che taglia per guarire. Si ripete con insistenza quell’accusa di sincretismo che gli viene mossa in modo particolare per il finale – contestatissimo – dell’Uomo planetario: Balducci rinuncerebbe alla propria identità di cristiano (chi lo vuol definire in contrapposizione ad altre identità religiose nella prospettiva del conflitto, afferma, non ci cerchi come tale: noi non siamo che esseri umani, e vogliamo pace, non intendiamo mortificare il Vangelo brandendolo come una spada, la verità del Cristo è la forza dell’amore) per assumere un irenismo che apre le porte a quel tanto famigerato relativismo, presupposto secondo alcuni della colpevole, o quantomeno ingenua, volontà di dialogo con il mondo, cara alla componente ecclesiale che la sostiene e la pratica. Minoranza, forse, che si ostina a non considerare l’altro – nella fattispecie del pensiero su Dio, ma non solo – inferiore e minore, e il mondo non come la dimensione della negazione di Dio, quindi ostile alla Chiesa, ma come quella realtà amata dal Padre fino al punto di consegnarle il suo figlio Gesù, non per il giudizio, ma per la salvezza. In pochi termini, secondo la dimensione dell’agire pastorale della Chiesa nel mondo secondo il Concilio Vaticano II.

Questo è il paradosso della contemporaneità ecclesiale: i motivi di attrito di una minoranza con la gerarchia non sono legati alla contestazione dei principi conciliari, secondo la dimensione classica del dissenso, ma alla richiesta di fedeltà al Concilio, intesa anche come volontà di perseguirne la traduzione culturale ampliandone il dettato, secondo il principio dell’evoluzione, e non soltanto della conservazione, della tradizione. Ernesto Balducci fu uomo di frontiera e da questa collocazione espresse la sua dimensione ministeriale più bella: il suo amore per la Parola di Dio lo vide capace di tradurne il senso secondo un linguaggio più ampio possibile. Sulle orme di Dietrich Bonhoeffer – martire della Parola sotto il nazismo – fece atto di fede in questa stessa Scrittura nel consegnarla ad ogni persona, sicuro che essa fosse capace, debitamente offerta nella fedeltà all’amore evangelico, di diventare linguaggio comune, anche a prescindere dall’identità di fede, efficace perché traducibile nella possibilità di dare intelligenza sulla realtà del mondo. «I cristiani hanno il carisma del discernimento delle inquietudini collettive»: queste parole di padre Ernesto dicono il servizio che la fede può portare al mondo, senza che ciò sia motivo di presunzione di superiorità. Chi lo ha sentito commentare le letture liturgiche sa cosa intendo: siamo tutti assetati di una virtualità di comunicazione, e l’intento divino è proprio quello di consentire all’umano quell’intendersi reciproco che è il presupposto necessario dello shalom biblico, tessuto di attenzione e di rispetto nell’accogliere quanto viene detto, da Dio come da ogni altro essere vivente.

Nel riconoscere la dignità dei propri interlocutori nasce quella forza che annienta le motivazioni del conflitto o riesce ad educarle qualora sia inevitabile. La fede – intesa nel senso più ampio ed alto del termine – nel diritto richiede sempre il ricorrere a strumenti migliori di quelli adoperati da coloro che ci vogliono usare violenza e che praticano l’ingiustizia. Il percorso della vita riconduce alla memoria di sé e fa riconoscere al figlio del minatore dell’Amiata (la cui infanzia fu povera ma non infelice, per questo capace di educarlo con equilibrio), la differenza tra la miseria, che non si può che combattere ferocemente per tutelare e proteggere gli eletti di Dio che sono i piccoli ed i sofferenti, e la povertà, solo riscatto di una società che confonde opulenza e forza, lusso e ragione, privilegio e giustizia.

Ernesto elaborò la sua teoria sull’importanza dei diritti umani, un vero confluire dei valori evangelici nella cultura contemporanea come afferma la Pacem in Terris di papa Giovanni XXIII, tenendo d’occhio la sua storia personale come elemento di solidarietà con i poveri della Terra, capace di impedirgli connivenza con quella cultura borghese che fa si che la realtà del mondo resti quel che è, non muti cangiandosi nel Regno di Dio. L’impegno di Balducci per la pace trova radici nel dettato biblico che la coniuga indissolutamente con la giustizia e la fa comprendere come nome storico della Resurrezione. Proprio il contenuto fondamentale del cristianesimo, la resurrezione del Cristo, è l’elemento propulsivo del pensiero di Balducci: se si può oltrepassare il confine doloroso della morte transitando verso la libertà assoluta dell’Eterno, non c’è dimensione del mondo che non si possa pensare di poter cambiare di segno, trasformandola da elemento di lutto in segni della festa a venire. Per questo il pensiero del p. Ernesto è un pensiero realista fino alla brutalità dell’annuncio della catastrofe finale (prima legata alla guerra termonucleare, poi al collasso del sistema ambientale, espressione dell’entropia che inevitabilmente si sta realizzando nell’universo), ma sempre nel quadro della fiducia nell’agire divino che sostiene la speranza umana e si fa integrare dall’intervento della sua volontà di pace.

Definirsi nei confini, nelle terre dell’esclusione decretata dai poteri che governano il mondo: ma conoscere in questo modo la sapienza che scaturisce dal Cristo, pietra scartata divenuta pietra angolare nel giudizio del’amore divino. Occorre ricordare quanto una generazione di testimoni abbia sofferto per mano della gerarchia ecclesiastica. E su qualcuno (Balducci ma pure Turoldo; chi ha ben parlato di Milani da determinati pulpiti non lo ha fatto certo con la ragion veduta di aver letto davvero ciò che egli intendeva dirci…) l’onestà della revisione dell’opinione, alla luce del tempo trascorso e di quanto accaduto nel frattempo, non è ancora raggiunta da parte di chi, criticando, passò il segno nel considerarli eretici, nel tentativo di emarginarli e ridurli al silenzio.

In realtà nel suo leggere, interpretare, tradurre nella forza dello Spirito, Ernesto è stato davvero capace di profezia. Ne abbiamo goduto e ne potremo godere ancora a lungo: il suo pensiero non si è logorato, come la veste di colui che attraversa il deserto dell’Esodo, diretto ad una realtà che si sta rinnovando. Balducci ha chiuso la sua opera con La terra del tramonto che, al termine, cita il filosofo marxista eretico Ernest Bloch: «Ai piedi del faro, non c’è luce». Ciò riecheggia il titolo dell’ultima opera poetica di David Maria Turoldo, Mie notti con Qohelet. L’oscurità nel concludersi di un pensiero che ha tanto illuminato la vita di molti… grazie al buio che hanno affrontato e vinto, noi siamo ancora capaci di credere nella Luce.

* Parroco a Sant'Andrea in Percussina dal 1999, membro del direttivo di Testimonianze e del comitato scientifico della Fondazione Balducci

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