Nessun articolo nel carrello

CONFESSIONI DI UN OTTIMISTA

Tratto da: Adista Documenti n° 20 del 26/05/2012

Sono un ottimista. Punto. Senza se, senza ma, senza forse. Probabilmente è qualcosa di genetico. Mio padre era un ottimista. Anche quando, a 45 anni, fu costretto a fuggire dalla Germania natale verso un piccolo e arretrato Paese del Medioriente, non si scoraggiò. Nonostante la difficoltà di adattarsi a un nuovo Paese, a un clima caldo, al duro lavoro fisico e ad una povertà assoluta, era felice. Perlomeno aveva salvato sua moglie e i suoi quattro figli, il più piccolo dei quali ero io. 

Oggi, nel 64.mo compleanno di Israele (secondo il calendario ebreo), continuo ad essere un ottimista. Qualche tempo fa mi sono imbattuto, in occasione di un matrimonio, nello scrittore Amos Oz e abbiamo parlato di questa cosa strana, il mio ottimismo. Oz mi ha detto di essere pessimista. Essere pessimista, ha sostenuto, è una condizione in cui si vince sempre. Se le cose vanno bene, sei felice. Altrimenti, lo sei per il fatto di aver visto giusto.

Il problema del pessimismo, ho replicato, è che non porta da nessuna parte. Il pessimismo solleva da qualunque impulso a fare qualcosa. Se le cose vanno male in ogni caso, perché preoccuparsi? Il pessimismo è un atteggiamento di comodo. Ti permette persino di disprezzare gli ottimisti che ancora lottano per un mondo migliore. L’ottimismo è cosa da semplici.

È questo il punto. Solo gli ottimisti possono lottare. Se non credi in un mondo migliore, in un Paese migliore, in una società migliore, non puoi lottare per questo. Puoi solo sederti in poltrona davanti alla televisione, scuotere la testa di fronte alla stupidità della razza umana e della tua gente in particolare e sentirti superiore.

Ogni volta che confesso di essere ottimista mi guardano con disdegno. Per caso non vedi quello che sta succedendo intorno a te? Era questo lo Stato che immaginavi il 14 maggio 1948 ascoltando per radio il discorso di Ben-Gurion (il discorso letto da David-Ben Gurion, in occasione della dichiarazione di indipendenza dello Stato di Israele, alla scadenza del Mandato britannico della Palestina, ndt) e preparandoti per la battaglia della notte?

No, non immaginavo uno Stato come questo. Io e i miei compagni immaginavamo uno Stato ben diverso. E, tuttavia, continuo ad essere ottimista.

Quando parlo di questo mi viene sempre in mente un momento concreto della mia vita. Era l’ottobre del 1942 e il mondo tremava. In Russia le truppe naziste erano giunte fino a Stalingrado e aveva avuto inizio la battaglia titanica. Non c’erano dubbi sul fatto che i tedeschi avrebbero conquistato la città e proseguito la loro avanzata. Più a sud, l’invincibile Wehrmacht era penetrata nel Caucaso. Da qui la rotta indicava direttamente la Palestina attraverso la Turchia e la Siria. Il celebre Afrika Korps di Erwin Rommel aveva rotto la linea britannica e si era insediato nel villaggio egiziano di El Alamein, a 106 chilometri da Alessandria. Da lì alla Palestina era solo questione di giorni. Già un anno prima i nazisti avevano occupato Creta in quella che era stata la prima invasione aerotrasportata della storia.

La situazione era chiara per chiunque. Dal nord, da occidente e dal sud, il colosso militare nazista si spostava inesorabilmente verso la Palestina con l’obiettivo di distruggere il semi-Stato ebraico. Il feroce antisemitismo di Adolf Hitler non lasciava pensare ad altra conclusione. I nostri padroni britannici, ovviamente, la pensavano allo stesso modo. Avevano già inviato le loro mogli e i loro figli in Iraq e si tenevano pronti a fuggire al primo segnale di avanzata tedesca in Egitto.

La Haganah, la nostra principale organizzazione militare segreta, era impegnata in preparativi frenetici. Come gli eroi di Masada che circa 1.900 anni prima si erano suicidati collettivamente prima di cadere nelle mani dei romani, i nostri combattenti si stavano concentrando sulle colline del Carmelo per lottare e vendere cara la propria pelle. Avevo appena compiuto 19 anni e vivevo a Tel Aviv, una città che nessuno pensava neppure di difendere. Sapevamo che era la fine.

Quando la guerra terminò con il collasso totale della Germania nazista, si pubblicarono molti libri sull’argomento. Si seppe così che la terribile crisi dell’ottobre del 1942 era esistita solo nella nostra immaginazione. L’invasione aerotrasportata di Creta, lungi dal costituire una brillante vittoria, era stata in realtà un disastro. Le perdite tedesche erano state così elevate che Hitler aveva proibito di ripeterla. (…). Le truppe tedesche giunte alla regione del Caucaso erano completamente esauste e prive della capacità di marciare verso sud. Non potevano neppure pensare di arrivare nella lontana Palestina. E, cosa più importante per noi, Rommel era arrivato a El Alamein con le ultime gocce di benzina rimaste. Hitler, che considerava la campagna nordafricana come un’onerosa distrazione dall’obiettivo prioritario, la Russia , si rifiutava di dilapidare nel deserto la sua limitata benzina. Della Palestina non gli importava un tubo. (…).

Morale della storia: anche in mezzo a una situazione completamente disperata, non si conoscono mai i fatti così bene da poter perdere la speranza.

L’ESSENZIALE È AGIRE

Ma non serve guardare a 70 anni fa. Basta osservare gli ultimi avvenimenti. Qualcuno di noi in Israele credeva fino a un anno fa che l’apatica e qualunquista gioventù del nostro Paese avrebbe innescato una protesta sociale senza precedenti? Se qualcuno lo avesse detto una settimana prima che avvenisse lo avrebbero coperto di risate. E sarebbe successo lo stesso a chiunque avesse vaticinato, all’inizio dell’anno scorso, che gli egiziani (niente meno!) si sarebbero sollevati e avrebbero rovesciato il dittatore. Una primavera araba? Ma figuriamoci!

Quando tengo una conferenza in Germania, chiedo sempre: «Se qualcuno di voi ha mai pensato, subito prima che accadesse, di vedere con i propri occhi la caduta del Muro di Berlino, per favore alzi la mano». Non ho mai visto nessuna mano alzarsi. E l’avvenimento più grande di tutti, l’implosione dell’Unione Sovietica, chi lo ha visto sopraggiungere? Non gli Stati Uniti, con il loro gigantesco apparato di intelligence di vari milioni di dollari. E neppure il nostro Mossad, con i suoi molti collaboratori tra gli ebrei sovietici. Nessuno ha previsto neppure la rivoluzione iraniana che ha espulso lo scià. E lo stesso discorso si applica a molte catastrofi provocate dall’essere umano durante la mia vita, dall’Olocausto ad Hiroshima.

Cosa dimostra questo? Niente, eccetto il fatto che non si può prevedere nulla con certezza. Gli eventi umani sono realizzati dagli esseri umani, sono gli esseri umani che danno forma agli avvenimenti. Questa può essere una buona ragione per il pessimismo, ma anche per l’ottimismo. Possiamo evitare i disastri. Possiamo creare un futuro migliore. E per questo c’è bisogno di ottimisti che credano che si può fare. Di molti ottimisti.

Nel 64.mo anniversario dell’Indipendenza di Israele la situazione è scoraggiante. La pace è una parola sporca. La maggior parte degli israeliani dice: «La pace sarebbe meravigliosa. Pagherei qualsiasi prezzo per ottenerla. Ma, purtroppo, è impossibile. Gli arabi non ci accetteranno mai. Così la guerra continuerà per sempre». Ecco un pessimismo assai conveniente che ci assolve da ogni culpa e ci permette di continuare a non far niente.

La “soluzione dei due Stati”, l’unica soluzione reale che esista, sta passando in secondo piano. Il regime di apartheid già stabilito nei territori occupati si sta estendendo all’interno dello stesso Israele. Entro pochi anni avremo un regime di apartheid in perfetta regola in tutto il Paese, con una minoranza ebrea impegnata a comandare su una maggioranza araba palestinese. Nel caso improbabile che Israele si veda obbligato a concedere diritti civili ai palestinesi dello Stato ebraico in tutto il territorio storico, si trasformerebbe rapidamente in uno Stato arabo. Gli Stati Uniti, l’unico alleato che rimane ad Israele, sono entrati in un declino lento e irreversibile. La potenza emergente, la Cina, non ha memoria dell’Olocausto.

La disuguaglianza sociale è esacerbata in Israele, più che in qualunque Paese sviluppato. È tutto qui il frutto degli ideali del primo Israele. I fondamenti democratici dell’“unica democrazia del Medioriente” sono traballanti. Il Tribunale Supremo di Giustizia soffre l’assedio permanente di una banda di semi-fascisti insediati nel nostro governo, la Knesset sta diventando la triste caricatura di un Parlamento, la libertà in televisione e nei mezzi di comunicazione sta sperimentando un graduale processo di Gleichschaltung (termine tedesco usato per descrivere il processo compiuto dal nazismo per esercitare un controllo totale sull’individuo attraverso la coordinazione di tutti gli aspetti della società, della politica e del commercio, ndt).

Tale situazione può ancora peggiorare? Nel corso della mia lunga vita ho imparato che non c’è situazione così cattiva da non  poterlo diventare ancor di più. Né leader così detestabile da scongiutare il fatto che il suo successore possa essere peggio. Ciò detto, possono esistere forze potenti in azione, invisibili e inudibili, che cambino le cose in meglio. È come una diga su un fiume. Dietro il muro della diga l’acqua sale lentamente, in silenzio, impercettibilmente. Finché un giorno il muro cede di colpo e l’acqua sommerge il paesaggio. Ciò non succederà se non faremo la nostra parte. Quello che facciamo – o che evitiamo di fare – fa parte del modello che cambia. Coltivare speranze e credere non basta. L’essenziale è fare e agire. È qui che ci troviamo, noi ottimisti incorreggibili.

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

50 anni e oltre

Adista è... ancora più Adista!

A partire dal 2018 Adista ha implementato la sua informazione online. Da allora, ogni giorno sul nostro sito vengono infatti pubblicate nuove notizie e adista.it è ormai diventato a tutti gli effetti un giornale online con tanti contenuti in più oltre alle notizie, ai documenti, agli approfondimenti presenti nelle edizioni cartacee.

Tutto questo... gratis e totalmente disponibile sia per i lettori della rivista che per i visitatori del sito.