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La Collina: accoglienza, cultura e laicità

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 21 del 02/06/2012

Karl Rahner disse una volta che non tutti coloro che vivono nello stesso periodo di tempo sono contemporanei, perché chi si porta dietro visioni del mondo irrimediabilmente passate non vive realmente nel proprio tempo. Rahner pensava ai tanti cristiani che, incapaci di «dar ragione della propria speranza» nel linguaggio degli uomini e delle donne del nostro tempo, si riducono a testimoniare un Dio non più comprensibile e quindi non più credibile.

Il fondatore

Don Ettore Cannavera, fondatore e guida della comunità di accoglienza La Collina di Serdiana (Cagliari), è certamente un uomo del nostro tempo perché si fa capire anche dai tanti che oggi riescono a pensare Dio solo nei termini di un agnosticismo che sa di non sapere (Rahner): il suo riferimento è infatti il Gesù di Mt 25,35-40.

Ordinato nel 1968, laureato in pedagogia e psicologia alle Università di Roma e di Padova, dal 1993 è cappellano dell’Istituto penale minorile di Quartucciu (Ca) e, com’è raccontato nel libro di Giuseppe Putzolu, La Collina. Storie di una comunità (La Collina, Serdiana, 2010, pp. 216, 12€), fu proprio l’esperienza concreta delle condizioni di vita dei ragazzi reclusi e delle loro sofferenze a fargli prendere la decisione di iniziare a costruire quella che diventerà la comunità di accoglienza La Collina. Don Ettore, volendo condividere la situazione delle tante persone che “campano” solo di una modesta pensione, ha scelto di vivere esclusivamente della pensione da docente di filosofia e psicologia nelle scuole superiori di Cagliari (peraltro ridotta per aver abbandonato anticipatamente l’insegnamento quando decise di  dedicarsi totalmente ai ragazzi reclusi e a quelli in comunità), rinunciando a tutto ciò che può essere monetizzato nel servizio sacerdotale: la pensione destinata ai ministri di culto e ogni retribuzione che le curie danno ai sacerdoti; inoltre non percepisce alcun compenso come cappellano del carcere, perché non condivide l’alleanza tra poteri Stato/Chiesa codificata nel Concordato. Per lui, infatti, la Chiesa, di cui si sente comunque pienamente parte, per poter testimoniare credibilmente il Vangelo, deve essere libera dal potere e dal denaro e le sue strutture devono manifestare un’effettiva pratica della povertà evangelica. È in base a questo principio che, dopo un’esperienza di amministratore parrocchiale a S. Margherita di Pula verso la fine degli anni ‘70, ha iniziato ad accogliere in parrocchia (anzi, nei primi tempi a casa propria) giovani disadattati, emarginati e tossicodipendenti.

Così è nata la comunità La Collina che è certo, primariamente, un luogo per l’accoglienza di giovani detenuti, ma ancor più è una testimonianza di che cosa si potrebbe fare, con poco denaro e molta buona volontà, per accogliere coloro che si sentono prigionieri in un mondo lontano dall’annuncio evangelico. Esprime quindi, con la perentorietà dell’esempio concreto, la bellezza, la meraviglia, la sorprendente generosità del mistero di Dio.

Quest’attività ha reso don Ettore una persona molto nota e apprezzata in tutta la Sardegna e, di conseguenza, ha attirato su di lui l’attenzione prima dei vescovi, poi della Congregazione vaticana per il Clero, perché, come uomo del nostro tempo, ha sempre ritenuto di prendere posizione pubblica su temi controversi sul piano dottrinale ma rilevanti per la sua azione pastorale. Il primo scontro avvenne sulla legge che, nel ’70, introdusse il divorzio in Italia: don Ettore sostenne pubblicamente l’opinione che si trattava di una libertà civile che riguardava tutti i cittadini e che non minava in alcun modo i diritti e l’insegnamento della Chiesa. Bastò questo per qualificarlo come inadatto a insegnare nei seminari e a marginalizzarlo nella sua diocesi. Successivamente una sua presa di posizione, in un’intervista su un giornale locale, sulla liceità morale dell’uso del preservativo e addirittura sull’obbligo morale del suo impiego in caso di rischio di contagiare un’altra persona con una malattia mortale come l’Aids lo portò ad essere sospeso a divinis (sospensione poi annullata, dopo un colloquio chiarificatore col vescovo). Anche in occasione del referendum sulla procreazione assistita nel 2005, si espresse pubblicamente per la partecipazione al voto, nonostante la Cei avesse invitato ufficialmente all’astensione.

Ha preso queste posizioni non in segno di protesta verso la gerarchia, ma per essere più fedele al messaggio evangelico, nell’ottica di una Chiesa semper reformanda. Perché don Cannavera non si sente, e non è, un prete del dissenso, ma non è neanche disponibile a un consenso acritico. Si sente piuttosto uno che, nello spirito del Concilio Vaticano II, cerca di testimoniare il messaggio cristiano. E crede anche che molti preti abbiano la sua stessa sensibilità, ma siano bloccati dai condizionamenti che la struttura gerarchica e di potere della Chiesa pone a chi, sempre nello spirito del Vangelo, voglia esprimersi, anche criticamente.

La comunità

La Collina è il progetto che poteva essere pensato solo dalla “follia” di uno che perfino nel nostro tempo si ostina a voler seguire lo spirito del Vangelo e nient’altro. I frutti di questa “follia” sono stati da subito copiosi. L’idea iniziale di don Ettore Cannavera è del 1993, il primo giorno ufficiale di attività è il 27 novembre 1995, in una casa sulle colline (di qui il nome) intorno a Serdiana (Cagliari), offerta da alcuni amici che hanno subito condiviso la sua idea. La comunità è come una famiglia, ma la casa è piccola e presto serve qualcosa di più. Nel 1997 si avvia il progetto della nuova casa, la cui costruzione, a cinquecento metri dalla prima, nel punto più alto della collina, termina nel 1998. Così nasce la Collina Uno, cui faranno seguito la Due e la Tre (www.comunitalacollina.it).

La comunità ha la forma giuridica di una cooperativa che inserisce i ragazzi (tutti in espiazione penale) nel mondo del lavoro, li  responsabilizza rendendoli partecipi della sua gestione, crea, grazie anche al contributo di familiari e amici, un’azienda agricola che ora si estende per dieci ettari. L’azienda gestisce le strutture comunitarie di accoglienza di giovani, anche extracomunitari, che beneficiano di misure alternative alla detenzione e comprende un uliveto, un vigneto, piante da frutto, un orto e un impianto di erbe officinali, tutto coltivato con metodi biologici. Si instaurano rapporti di collaborazione con i comuni vicini per i quali vengono svolti lavori vari di manutenzione.

Ma La Collina non è solo una comunità di recupero. Nella consapevolezza dell’importanza della cultura nella formazione della persona, e in particolare nell’azione di recupero dei giovani ospiti, è stata creata una biblioteca con 20mila libri, in funzione dal 1995, che è inserita nel Servizio bibliotecario nazionale ed è costantemente aggiornata. Sempre in sintonia con gli obiettivi della comunità, si è iniziata nel 2007 un’attività editoriale, le Edizioni La Collina, e la pubblicazione di una rivista a cadenza trimestrale, La Collina - Fa’ che nessuno si perda.

La Collina è così diventata anche un centro di formazione culturale che dedica particolare attenzione ai problemi degli ultimi (come il progetto “Emilio Lussu” per richiedenti asilo e rifugiati), ma che promuove anche incontri culturali (gli “incontri del mercoledì”) sui temi che, dal Concilio Vaticano II in poi, hanno caratterizzato l’annuncio del messaggio cristiano. Non a caso la cappella del centro è intitolata a S. Oscar Romero, la biblioteca a Ernesto Balducci e la sala delle conferenze ad Arturo Paoli, illustri personaggi che hanno fatto grande la Chiesa nell’ultimo mezzo secolo.

In Collina la sera del giovedì è dedicata alla spiritualità e alla convivialità: nella cappella, luogo di pace aconfessionale, perché gli ospiti sono di varie o di nessuna religione, ci si incontra a meditare in silenzio, a riflettere su letture bibliche, per poi condividere un pasto frugale con la comunità.

Ciò che sta alla base di tutte le attività della Collina è la consapevolezza che solo dialogando e accettando le diversità come valore si può riconoscere la propria umanità. In questa prospettiva la comunità, per favorire il processo di crescita delle nuove generazioni, accoglie nei suoi spazi studenti, da liceali a universitari, facendo loro conoscere le dinamiche psicopedagogiche della comunità, offrendo inoltre i propri spazi a gruppi di meditazione zen o buddista, interessati alla ricerca e alla pratica spirituale in un clima di rispetto e conoscenza reciproci.

* Cresia, associazione di laici cristiani di Cagliari (www.cresia.info)

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