“RECISA MENTRE SOGNAVI”. BALLATA DI TUROLDO PER CELINA, LA FANCIULLA MARTIRE DELL’UCA
Tratto da: Adista Notizie n° 23 del 16/06/2012
36742. ROMA-ADISTA. «Ti hanno recisa, Celina, mentre sognavi, perché il sogno non avesse a finire», il «sogno che nessuno può uccidere, il sogno di ogni povero, ricco di sogno». È dedicata a Celina Ramos, figlia della cuoca e del giardinere della Uca (l’Università centroamericana di San Salvador), uccisa con la madre Julia Elba e sei gesuiti il 16 novembre del 1989, la ballata - finora inedita - di David Maria Turoldo pubblicata dal Cipax nella collana Strumenti di pace (Recisa mentre sognavi. Ballata per la fanciulla Celina e per i gesuiti uccisi in Salvador, Icone Edizioni, 2012, pp. 45, euro 6; info: tel. 06 57287347, e-mail info@cipax-roma.it).
Scritta da Turoldo nel luglio 1990 e recitata alla Corsia dei Servi di Milano in occasione del primo anniversario del massacro, nel novembre di quello stesso anno, la Ballata è uno straordinario documento poetico ma al tempo stesso un duro atto di accusa contro gli alti gradi dell’esercito che ordinarono il massacro.
Di Celina, trovata abbracciata alla madre, sappiamo poco, come scrive la giornalista della nostra agenzia Claudia Fanti nella prefazione: studente e catechista, aveva solo sedici anni, si sarebbe dovuta sposare di lì a pochi giorni. «A sparare alle due donne, aggrappate l’una all’altra, era stato il sergente Tomás Zarpate Castillo, che le aveva prese in custodia all’inizio dell’operazione», si legge nella prefazione. «Quando il sergente Ramiro Avalos Vargas si era reso conto che respiravano ancora, aveva ordinato a Jorge Alberto Sierra Ascensio di assicurarsi che morissero. E il soldato aveva scaricato il suo M-16 contro di loro. Così, abbracciata a sua madre, il cui corpo copriva in parte il suo, quasi a volerlo proteggere dalle pallottole, moriva Celina, recisa come rosa / nel cuore della notte più nera».
Martire, Celina come sua madre, di quel “popolo crocifisso” che non è noto né venerato: «Espressione di quegli uomini e di quelle donne che “muoiono innocentemente”, perché non hanno fatto niente per meritare la morte: “Stavano semplicemente lì”», scrive Fanti riprendendo le parole del teologo gesuita Jon Sobrino, «“muoiono crudelmente, spesso dopo una vita di grandi sofferenze”; “muoiono senza difesa”; “vivono e muoiono anonimamente”».
Una Ballata, quella di Turoldo, per ricordare che «nei poveri, come Julia Elba e Celina si incontra quella definita da Sobrino la “santità primigenia”, che non è la santità riconosciuta dalle canonizzazioni, non è la santità delle virtù eroiche, ma quella di chi, anche in mezzo alle catastrofi, anche in mezzo agli stenti della quotidianità, anche se “santo peccatore”, “risponde in maniera insigne alla vocazione primordiale della creazione”, obbedendo alla “chiamata di Dio a vivere e a dare la vita ad altri”». (i. c.)
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