NATURA IN VENDITA
Tratto da: Adista Documenti n° 24 del 23/06/2012
Alla vigilia di Rio+20 è imprescindibile denunciare la nuova offensiva del capitalismo neoliberista: la mercificazione della natura. Già esiste il mercato del carbonio, introdotto da quel Protocollo di Kyoto (1997) che vincola i Paesi sviluppati, principali inquinatori, a ridurre le emissioni di gas ad effetto serra del 5,2%. Ridurre il volume di veleno vomitato nell’atmosfera da quei Paesi implica una perdita di profitti. E così si è inventato il credito di carbonio. Una tonnellata di anidride carbonica (CO2) equivale a un credito di carbonio. Il Paese ricco o le sue imprese, oltrepassando il limite dell’inquinamento consentito, acquistano il credito dal Paese povero o dalle sue imprese che ancora non hanno raggiunto i rispettivi limiti di emissione di CO2 e che, così, sono autorizzati ad emettere gas ad effetto serra. Il valore di questa licenza deve essere inferiore alla multa che il Paese ricco pagherebbe nel caso oltrepassasse il suo limite di emissione di CO2.
Sorge ora una nuova proposta: la vendita di servizi ambientali. Leggi: appropriazione e mercificazione delle foreste tropicali, delle foreste piantate dall’essere umano e degli ecosistemi. A causa della crisi finanziaria che colpisce i Paesi sviluppati, il capitale è in cerca di nuove fonti di profitto. Al capitale industriale (produzione) e al capitale finanziario (speculazione), si aggiunge così il capitale naturale (appropriazione della natura), noto anche come economia verde.
La specificità dei servizi ambientali è che questi non vengono svolti da una persona o da un’impresa; sono offerti, gratuitamente, dalla natura: acqua, alimenti, piante medicinali, carbonio (il suo assorbimento e immagazzinamento), minerali, legname, ecc. La proposta è quella di porre termine a tale gratuità. Nella logica capitalista, il valore di scambio di un bene viene prima del suo valore d’uso. Pertanto, tali beni naturali devono avere un prezzo.
I consumatori dei beni della natura passerebbero a pagare non soltanto per la gestione della “manifattura” del prodotto (così come paghiamo per l’acqua che esce dal rubinetto di casa), ma per il bene stesso. Il fatto è che la natura non possiede un conto in banca per ricevere il denaro pagato per i servizi prestati. Di conseguenza, i difensori di questa proposta affermano che qualcuno o una qualche istituzione deve ricevere il pagamento: il proprietario della foresta o dell’ecosistema.
La proposta non prende in considerazione le comunità che vivono nelle foreste. Una donna della comunità di Katobo, nella Repubblica Democratica del Congo, racconta: «Nella foresta, raccogliamo legna, coltiviamo alimenti e mangiamo. La foresta fornisce tutto, dai legumi ai più diversi animali, e questo ci permette di vivere bene. È per questo che siamo molto felici nella nostra foresta: perché essa ci permette di ottenere tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Quando sentiamo che la foresta potrebbe essere in pericolo, ci preoccupiamo, perché non potremmo mai vivere fuori di essa. E se qualcuno ci dicesse di abbandonarla, ci arrabbieremmo molto, perché non possiamo immaginare una vita che non sia vissuta all’interno o nei pressi della foresta. Quando coltiviamo alimenti, abbiamo il cibo assicurato, possiamo contare sull’agricoltura e anche sulla caccia e noi donne peschiamo siri (un crostaceo più piccolo del granchio che si trova nelle acque brasiliane, ndt) e pesce nei fiumi. Abbiamo differenti tipi di legumi e anche piante commestibili della foresta, e frutta, e ogni tipo di cose da mangiare che ci danno forza ed energia, proteine e tutto il resto di cui c’è bisogno».
Il commercio dei servizi ambientali ignora questa visione dei popoli della foresta. Si tratta di un nuovo meccanismo di mercato, in base a cui la natura viene quantificata in unità commercializzabili.
Tale idea, per assurda che possa suonare, è sorta nei Paesi industrializzati dell’emisfero Nord negli anni ’70, quando iniziò la crisi ambientale e l’Europa e gli Stati Uniti presero coscienza del fatto che le risorse naturali sono limitate. La Terra non può essere ingrandita. Ed è inferma, inquinata e devastata.
Di fronte a tale situazione, gli ideologi del capitalismo proposero di dare un valore alle risorse naturali per salvarle. Calcolarono il valore dei servizi ambientali tra i 16mila e i 54mila miliardi di dollari (il Pil mondiale, cioè la somma di beni e servizi, è attualmente pari a 62mila miliardi di dollari). «È il momento di riconoscere che la natura è la più grande impresa del mondo, che lavora per beneficiare il 100% dell’umanità, e fa questo gratis», ha dichiarato Jean-Cristophe Vié, direttore del Programma Specie della Iucn (Unione Mondiale per la Conservazione della Natura, ndt), principale rete globale per la difesa dell’ambiente, finanziata da governi, agenzie multilaterali e imprese multinazionali.
Nel 1969, Garret Hardin ha pubblicato l’articolo “La tragedia dei beni comuni” per giustificare la necessità di recintare la natura, di privatizzarla, per garantirne la preservazione. Secondo l’autore, l’uso locale e gratuito della natura, come quello che caratterizza una tribù indigena, si traduce nella sua distruzione (il che non corrisponde a verità). L’unica forma di preservarla per il bene comune, a suo giudizio, è farla amministrare a chi possiede la competenza per farlo, ossia le grandi imprese. Da qui la tesi dell’economia verde.
Ora, sappiamo come queste trattano la natura: come mero deposito di commodities (materie prime). È per questo che le imprese straniere acquistano in Brasile sempre più terre, con la conseguente espropriazione mercantile del nostro territorio.
Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.
Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!