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LA PIÙ GRANDE MINACCIA CONTRO LA VITA

Tratto da: Adista Documenti n° 33 del 22/09/2012

La vita sulla Terra si è trasformata attualmente nel grande e oscuro oggetto dell’attenzione umana. Ci siamo resi conto del fatto che possiamo autodistruggerci. E che ciò può avvenire non a causa di un meteorite, né per un qualche cataclisma naturale di dimensioni colossali, ma per via dell’irresponsabile attività degli esseri umani. Secondo il Premio Nobel per la Chimica del 1995, l’olandese Paul J. Crutzen, abbiamo dato vita ad una nuova era geologica, l’antropocene, nella quale l’essere umano appare come la più grande minaccia contro la vita.

Come ha scritto Carl Sagan (astrofisico e divulgatore scientifico statunitense scomparso nel 1996, ndt), abbiamo inventato il principio di autodistruzione con le armi di distruzione di massa. Ora abbiamo preso atto che la guerra totale che conduciamo contro Gaia può far sì che essa non ci voglia più sulla sua superficie. Verremmo allora espulsi come facciamo con una cellula cancerogena.

A causa dello stress che subiscono tutti i servizi ecosistemici, la Terra sta soffrendo un irrefrenabile aumento di temperatura, che oscillerà dagli 1,8 ai 5 gradi Celsius. Con l’immissione nell’atmosfera del metano, che è 23 volte più aggressivo dell’anidride carbonica, potrà verificarsi nei prossimi decenni un «improvviso cambiamento del clima» (Abrupt Climate Change), dell’ordine di 4-5 gradi Celsius, secondo l’avvertimento lanciato dal Comitato dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti. Gli effetti sarebbero devastanti. Gran parte della biodiversità potrebbe essere cancellata, come pure milioni e milioni di persone che non avrebbero modo di salvarsi.

Grazie a questi segnali di allarme, ci siamo svegliati da un ancestrale torpore. Siamo responsabili della vita o della morte sul nostro pianeta vivente e del “futuro che vogliamo”, per usare la formulazione di Rio+20: il futuro nostro e della nostra Casa Comune.

È il caso di chiederci: potrebbe l’essere umano estinguersi per il fatto di essere diventato una forza geofisica distruttiva e per la sua colpevole mancanza di saggezza?

POSSIBILITÀ REALI DI ESTINZIONE DELLA SPECIE UMANA

Sono esponenti prestigiosi delle scienze a non escludere tale eventualità. L’astrofisico inglese Stephen Hawking, nel suo libro The Universe in a Nutshell (L’universo in un guscio di noce, Mondadori, Milano, 2006), riconosce che in un futuro ancora distante gli esseri umani vivranno accatastati gli uni sugli altri e il consumo di elettricità sarà tale da rendere incandescente la Terra, la quale potrà allora arrivare a distruggere se stessa come portatrice di vita.

Il premio Nobel per la Chimica Christian de Duve, nel suo famoso Vital Dust: Life as a Cosmic Imperative (Polvere Vitale, Longanesi, Milano 1998), sostiene che «l’evoluzione biologica marcia a un ritmo accelerato verso una grande instabilità; si può dire in un certo modo che il nostro tempo ricorda una di quelle importanti rotture dell’evoluzione indicate come estinzioni di massa». In passato erano i meteoriti che minacciavano la Terra; oggi il meteorite si chiama essere umano.

Théodore Monod, forse l’ultimo grande naturalista, ha lasciato come testamento un testo di riflessione dal titolo Et si l’aventure humaine devait échouer? (L’avventura umana, Bollati Boringhieri, Torino, 2004), in cui dichiara: «Siamo capaci di una condotta insensata e demente; si può, a partire da adesso, temere tutto, proprio tutto, compreso l’annichilimento della specie umana». E aggiunge che questo «sarebbe il giusto prezzo delle nostre follie e delle nostre crudeltà».

Se guardiamo alla crisi sociale mondiale e al sempre più grave allarme ecologico - i negazionisti diventano sempre di meno -, questo orribile scenario non appare di certo impensabile.

Nel suo allarmante libro The future of life (Il futuro della vita, Codice Edizioni, Torino 2004), Edward Wilson scrive: «L’essere umano ha svolto fino ad oggi il ruolo di assassino planetario… l’etica della conservazione, in forma di tabù, totem o scienza, è arrivata quasi sempre troppo tardi, ma forse c’è ancora tempo per agire». E, nel suo ultimo libro, The Creation: An Appeal to Save Life on Earth (La creazione: un appello per salvare la vita sulla Terra, Adelphi, Milano, 2008), propone una sacra alleanza tra religione e scienza come modo di evitare l’annentamento della vita.

Annotiamo l’opinione di altri due grandi storici. Quella di Arnold Toynbe, contenuta nella sua autobiografia: «Sono vissuto in tempo per veder trasformarsi in una possibilità reale la fine della storia umana, potendo questa tradursi in realtà a causa di un intervento non di Dio ma dell’essere umano». E quella di Eric J. Hobsbawn, a conclusione del suo noto libro The Age of Extremes (L’età degli estremi, Carocci, Roma, 1998): «Non sappiamo dove stiamo andando. Tuttavia, una cosa è certa. Se l’umanità vuole avere un futuro, ciò non potrà avvenire attraverso il prolungamento del passato o del presente. Se tenteremo di costruire il terzo millennio su questa base, falliremo. E il prezzo del fallimento, ossia l’alternativa alla trasformazione sociale, è l’oscurità».

Non serve neppure citare le già note previsioni allarmanti di James Lovelock (La rivolta di Gaia, Rizzoli, Milano, 2006; titolo originale: The revenge of Gaia) o dell’astrofisico Martin Rees (Il secolo finale. Perché l'umanità rischia di autodistruggersi nei prossimi cento anni, Mondadori, Milano, 2004; titolo originale: Our Final Hour), convinti che la specie umana si estinguerà o quasi prima della conclusione di questo secolo. Lovelock era stato contundente: «Entro la fine del secolo, l’80% della popolazione umana scomparirà. Il 20% restante andrà a vivere nell’Artico e in alcune poche oasi in altri continenti, con temperature più basse e un po’ di pioggia… Quasi tutto il territorio del Brasile sarà troppo caldo e secco per essere abitabile». Ultimamente, ha dichiarato che tutto ciò non avverrà così rapidamente come aveva previsto, ma senza per questo ritrattare la sua tesi.

È chiaro, bisogna aver pazienza con l’essere umano. Non è ancora pronto. Deve ancora imparare molto. In relazione al tempo cosmico, possiede meno di un minuto di esistenza. Ma, con l’essere umano, l’evoluzione ha compiuto un salto, passando dall’incoscienza alla coscienza. E con ciò egli può decidere che destino vuole per se stesso. In questo quadro, la situazione attuale rappresenta più una sfida che un possibile disastro, più un cammino in direzione di un modello di vita più elevato che un fatale inabissarsi nell’autodistruzione. Ci troveremmo pertanto in uno scenario di crisi piuttosto che di tragedia.

Ma ci sarà tempo per tale apprendistato? Tutto sembra indicare che l’orologio corre contro di noi. Non sono pochi coloro che affermano che stiamo arrivando troppo tardi, perché già avremmo passato il punto di non ritorno. Sappiamo che l’evoluzione non è lineare e conosce spesso rotture e salti in avanti in funzione di una complessità maggiore; sappiamo anche del carattere indeterminato e fluttuante di tutte le energie e di tutta la materia dell’universo, come indica la fisica quantistica di Werner Heisenberg e di Niels Bohr. Una realtà che ci induce a credere alla possibilità che emerga un altro modello di coscienza e di vita umana in grado di salvaguardare la biosfera e la vita della nostra specie.

CONSEGUENZE DELLA SCOMPARSA DELLA SPECIE UMANA

Nell’ipotesi di un’eventuale scomparsa della nostra specie, che conseguenze ne deriverebbero per il processo evolutivo?

Prima di qualunque altra considerazione, si tratterebbe di una catastrofe biologica di incommensurabile grandezza. Andrebbe perduto un lavoro di almeno 3,8 miliardi di anni, data probabile della nascita della vita, e in particolare degli ultimi 5-7 milioni di anni, data della comparsa della specie homo, e degli ultimi 100mila anni, data dell’irruzione dell’homo sapiens: lavoro, questo, condotto dall’intero universo con le sue energie, le sue informazioni e le sue diverse forme di materia.

L’essere umano, nella misura in cui possiamo studiare la sua evoluzione e osservare l’universo, è l’essere della natura più complesso che si conosca. Complesso nel corpo, composto da 30 miliardi di cellule, continuamente rinnovate dal sistema genetico; complesso nel cervello, con i suoi 100 miliardi di neuroni in continua interconnessione (sinapsi); complesso nella psiche e nella coscienza, cariche delle informazioni raccolte a partire dall’irruzione del cosmo con il big bang e arricchite dalle emozioni, dai sogni, dagli archetipi, dai simboli originari delle interazioni della coscienza con se stessa e con l’ambiente circostante; complesso nello spirito, capace di cogliere il Tutto e di sentirsene parte e di identificare quel Vincolo che unisce e ri-unisce, lega e ri-lega tutte le cose in maniera che ne derivi non il caos, ma l’ordine. Questo Vincolo conferisce senso e significato all’esistenza in questo mondo e suscita sentimenti di venerazione e rispetto profondi di fronte alla grandezza del cosmo.

Ad oggi non sono state identificate scientificamente e in modo irrefutabile altre intelligenze nell’universo. Per il momento, siamo, come specie homo, una singolarità senza paragoni nel cosmo. Siamo abitanti di una galassia media, la Via Lattea, una tra 200 miliardi di galassie; dipendiamo da una stella, il Sole, di quinta grandezza, una tra 300 miliardi di stelle, situata a 27mila anni luce dal centro della nostra galassia, nel braccio interno della spirale di Orione; abitiamo nel terzo pianeta del sistema solare, la Terra, e ora stiamo qui di fronte al computer, riflettendo sulle conseguenze della nostra probabile estinzione.

Con la nostra scomparsa, l’universo, la storia della vita e la storia della vita umana perderebbero qualcosa di inestimabile.

Tutta la creatività prodotta da questo essere, creato creatore, che ha prodotto ciò che l’evoluzione di per sé non farebbe mai - come dipingere una tela di Portinari o farci ascoltare una canzone di Chico Buarque o realizzare un canale televisivo, costruzioni culturali, materiali, simboliche o spirituali - scomparirebbe per sempre.

Per sempre verrebbero cancellate le grandi produzioni poetiche, letterarie, scientifiche, sociali, politiche, etiche e religiose dell’umanità.

Per sempre verrebbero meno i riferimenti di figure paradigmatiche di esseri umani dediti all’amore, alla cura, alla compassione e alla protezione della vita in tutte le sue forme, come Buddha, Chuang-tzu, Mosè, Gesù, Maria di Nazareth, Maometto, Francesco di Assisi, Gandhi, Chico Mendes, tra tante e tanti altri.

Per sempre sparirebbero anche le anti-figure che hanno macchiato l’umano e violato la dignità della vita in innumerevoli guerre e sterminii, i cui nomi non è il caso di menzionare.

Per sempre si spegnerebbe la capacità di decifrare la Fonte Originaria di tutto l’Essere che permea l’intera realtà e che irrompe nella nostra coscienza permettendoci di sentirci in una profonda comunione con essa, come un progetto infinito che riposa soltanto al momento di immergersi in questa fonte di tenerezza e di amore.

CHI CI SOSTITUIREBBE NELL’EVOLUZIONE DELLA VITA?

Anche nell’ipotesi in cui l’essere umano scompaia come specie, il principio di intelligenza e di amore rimarrebbe preservato. Tale principio si incontra dapprima nell’universo e poi in noi, negli esseri umani. Tale principio è ancestrale quanto l’universo. Nei primissimi momenti successivi alla grande esplosione, dopo la formazione del campo di Higgs e delle prime particelle elementari, come i quark e i protoni, tali particelle cominciarono ad interagire tra loro, facendo sorgere reti di relazioni, unità di informazione e ordini complessi. Già qui si manifestava quello che poi si sarebbe chiamato spirito, quella capacità di creare unità e realtà di ordine e di senso globale. Abbandonando la specie umana, lo spirito emergerebbe un giorno, magari fra milioni di anni di evoluzione, in qualche essere più complesso e ordinato.

Théodore Monod, scomparso nel 2000, suggeriva addirittura quali sarebbero stati i nostri successori, già presenti nell’evoluzione attuale: i cefalopodi, come i polpi e i calamari. Alcuni di loro presentano una struttura anatomica notevolmente perfezionata: la loro testa è dotata di una capsula cartilaginosa che funziona come cranio; possiedono occhi come i vertebrati e presentano uno psichismo (insieme delle funzioni psichiche di un individuo, relative cioè alla sfera delle attività conoscitive, affettive, volitive, ndt) altamente sviluppato, persino con una doppia memoria, quando noi ne abbiamo solo una.

Evidentemente, non è che usciranno domani dal mare e approderanno sulla terraferma occupando le nostre istituzioni. Avranno bisogno di milioni di anni di evoluzione. Ma già possiedono la base biologica adatta per operare un salto verso la coscienza e per sostenere lo spirito.

In tutti i modi, è urgente una scelta: o l’essere umano con il suo futuro o i polpi e i calamari che verranno. Vogliamo essere ottimisti: metteremo giudizio, diventeremo saggi e sceglieremo l’essere umano con i suoi progetti.

Ma già ora è importante mostrare amore per la vita nella sua maestosa diversità, provare compassione verso tutti coloro che soffrono, realizzare rapidamente la giustizia sociale necessaria e amare la Grande Madre, la Terra. Un incoraggiamento ci viene dalle Scritture giudaico-cristiane: «Scegli la vita e vivrai». Facciamo presto, perché non abbiamo molto tempo da perdere.

LA TEOLOGIA CRISTIANA DI FRONTE ALL’EVENTUALE ESTINZIONE DELLA SPECIE

Riconduciamo prima questa domanda all’interno della sua tradizione storica, perché non è la prima volta che gli esseri umani si pongono seriamente tale questione.

Ogni qualvolta una cultura entra in crisi, come lo è la nostra, sorgono miti sulla fine del mondo e sulla distruzione della specie. Si ricorre allora ad una nota risorsa letteraria: racconti drammatici di visioni e interventi di angeli o di extraterrestri che entrano in comunicazione con noi per annunciare cambiamenti imminenti e per preparare l’umanità. Nel Nuovo Testamento questo genere ha preso corpo nel libro dell’Apocalisse e in alcuni brani dei Vangeli che pongono sulla bocca di Gesù predizioni sulla fine del mondo.

Oggi prolifera una vasta letteratura esoterica che fa uso di differenti codici, come il passaggio ad un’altra onda di vibrazioni o la comunicazione con extraterrestri. Ma il messaggio è lo stesso: la svolta è imminente e bisogna prepararsi.

È importante comprendere questo linguaggio. È il linguaggio dei tempi di crisi e quindi appartiene a un genere letterario e non a un resoconto anticipato di quello che avverrà.

Ma c’è una differenza tra l’antichità e oggi. Per gli antichi, la fine del mondo apparteneva alla sfera dell’immaginario e non ad un processo realmente esistente. Per noi si tratta di un processo reale, in quanto abbiamo davvero provocato lo squilibrio della Terra e il principio di autodistruzione.

E se scomparissimo, come bisognerebbe interpretarlo? È arrivato il nostro turno nel processo evolutivo, considerando che vi sono sempre specie che si estinguono naturalmente? Cosa potrebbe dire al riguardo la riflessione teologica cristiana?

In breve, direbbe: se l’essere umano ponesse fine alla sua avventura planetaria, ciò costituirebbe, senza dubbio, una tragedia incommensurabile. Ma non sarebbe una tragedia assoluta. Questa l’essere umano l’ha già sperimentata, un giorno. Quando il Figlio di Dio ha assunto la nostra umanità, noi lo abbiamo ucciso, inchiodandolo a una croce. Solo allora ha preso forma il peccato originale, che è un processo storico di negazione della vita e dell’amore. Perversione più grave che uccidere la creatura (la specie umana) è uccidere il Creatore che si è fatto umano.

Anche qualora la specie umana si autodistrugga, essa non riuscirebbe a distruggere tutto di se stessa. Distruggerebbe solo ciò che è. Non potrebbe uccidere quello che ancora non è: le potenzialità in essa nascoste che vogliono realizzarsi. E qui entra in gioco la morte nella sua funzione liberatrice. Più che separare il corpo dallo spirito, essa separa il tempo dall’eternità. Al momento di morire, l’essere umano lascia il tempo e penetra nell’eternità. Eliminate le barriere spazio-temporali, le potenzialità incatenate nella sua esistenza possono sbocciare nella loro pienezza. La morte sarebbe un’invenzione della vita perché questa possa liberarsi e fiorire pienamente. Solo allora finiremmo di nascere come esseri umani pieni. Pertanto, anche con il criminale annientamento della specie, il trionfo dell’umanità non verrebbe frustrato. La specie uscirebbe tragicamente dal tempo attraverso la morte, morte che la libererebbe da tutti gli ormeggi concedendole di penetrare, pienamente realizzata, nell’eternità.

Alimentiamo ottimismo. Così come l’essere umano ha addomesticato strumenti distruttivi come, primo tra tutti, il fuoco (che ha originato i miti della fine del mondo), ora addomesticherà, così voglio credere, i mezzi che possono distruggerlo. Ci vorrebbe qui un’analisi delle possibilità create dalla nanotecnologia (che opera con atomi, geni e molecole), la quale potrebbe, eventualmente, offrire mezzi tecnici per ridurre il riscaldamento globale e purificare la biosfera dai gas a effetto serra.

In tutti i modi, dobbiamo affrontare tali questioni non nei termini della fisica classica, ma nel quadro della fisica quantistica e della nuova cosmologia, le quali partono dal fatto che l’evoluzione non è lineare, ma accumula energia e procede per salti. Così ci suggerisce anche la visione elaborata da N. Bohr e da W. Heisenberg: virtualità nascoste, procedenti dal Vuoto Quantistico - quell’Oceano indecifrabile di Energia che soggiace all’universo e lo pervade - possono irrompere e modificare la freccia dell’evoluzione.

Personalmente, mi rifiuto di pensare che il nostro destino, dopo milioni di anni di evoluzione, possa terminare così miseramente nelle prossime generazioni. Ci sarà un salto, chissà, nella direzione di quello che annunciava già nel 1933 Pierre Teilhard de Chardin: l’irruzione della noosfera, cioè di quello stato di coscienza e di relazione con la natura e tra gli esseri umani che inaugurerà una nuova convergenza di menti e di cuori. Si darebbe così un nuovo modello di evoluzione umana e di storia della Terra. Il filosofo Ernst Bloch direbbe: «La vera genesi non è all’inizio ma alla fine».

In questa prospettiva, lo scenario attuale si presenterebbe non come tragedia ma come crisi. La crisi mette alla prova, purifica e porta a maturazione. Essa annuncia un nuovo inizio, un dolore di parto fecondo di promesse e non la pena di un aborto dell’avventura umana.

Quello che è importante sottolineare è che non è il mondo che può finire, ma questo tipo di mondo insensato che ama la guerra e devasta la natura. Inaugureremo un mondo umano che ama la vita, desacralizza la violenza, mostra attenzione e pietà nei confronti di tutti gli esseri, realizza la giustizia autentica; un mondo, insomma, che ci permetta di vivere sul monte delle beatitudini e non in una valle di lacrime. O più semplicemente: avremo tutti imparato a trattare umanamente tutti gli esseri umani e a mostrare attenzione, rispetto e compassione per tutti gli altri esseri. Tutto quello che esiste merita di esistere. Tutto quello che vive merita di vivere. Specialmente noi esseri umani. In tal modo, la nostra fine non sarebbe un’autodistruzione, ma un passo in avanti verso un’autorealizzazione più alta.

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