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Anomalie giapponesi

- Fukushima ha insegnato ai giapponesi che è meglio farla finita con il nucleare civile. Ma il governo non sembra d’accordo

Tratto da: Adista Contesti n° 33 del 22/09/2012

Tratto dal blog del settimanale francese Le monde diplomatique (9 agosto 2012). Titolo originale: Au Japon, les antinucléaires se radicalisent

Come è possibile che tanti giapponesi comuni, decine di migliaia di persone anziane, di giovani, di madri di famiglia, di artisti, di intellettuali scendano in strada ogni settimana per manifestare il loro disaccordo con il governo a proposito della sua politica nucleare? Il Japan Times, quotidiano anglofono fondato nel 1897 e legato a Asahi Shimbun (altro quotidiano giapponese, ndt), ha titolato in prima pagina, il 30 luglio scorso: «I manifestanti contro il nucleare accerchiano il Parlamento».

Alle prime righe si precisava: «Centinaia, forse migliaia di persone, tra le quali comuni cittadini e militanti antinuclearisti, si sono dati appuntamento (…) intorno al Parlamento per aumentare la pressione sul gabinetto del primo ministro». Prudente riserva sul numero di manifestanti. Autocensura? Pressioni della polizia o del governo? Qualche giorno dopo, il 6 agosto, l’editoriale titolava "Una nuova dinamica per il movimento antinucleare"; vi si leggeva che, tutti i venerdì sera, «decine di migliaia di persone» si riuniscono vicino il Parlamento e la residenza del primo ministro e che, il 29 luglio, costoro raggiungevano la cifra di più di 10mila persone secondo la polizia, circa 200mila secondo gli organizzatori.

Fino ad allora, i pochi giapponesi che protestavano non occupavano che metà della strada, in piccole file di quattro, cinque persone che si fermavano a ogni semaforo rosso per non intralciare la circolazione; in un corteo con striscioni, certo, ma tagliato in tronconi, e senza mai eccedere. Al più piccolo gesto imprevisto, la polizia interveniva con la forza, bastonando, trattenendo in arresto. L’indomani si leggeva, nella migliore delle ipotesi, qualche trafiletto in terza pagina in alcuni giornali, fatta eccezione ovviamente per i titoli cubitali del giornale del partito comunista giapponese. Neanche una parola sugli eventuali interventi della polizia.

Ciò che sta succedendo è dunque un cambiamento radicale. Uno sconvolgimento. È verosimile che questa nuova mobilitazione, facilitata da internet e dai social network, sia legata all’iscrizione nella memoria collettiva delle esperienze traumatizzanti del nucleare e delle sue conseguenze a Hiroshima e Nagasaki, così come al modo in cui lo Stato gestisce i catastrofici casi di contaminazione, come quello di inquinamento da mercurio di Minamata.

Il nucleare, malgrado Hiroshima

La commemorazione del bombardamento di Hiroshima, ogni 6 agosto, si è svolta, quest’anno, in presenza di uno dei nipoti del presidente statunitense Harry S. Truman che diede l’ordine di lanciare le bombe. Ha incontrato le vittime e pregato per i morti, associandosi al desiderio di veder sparire ogni arma nucleare. È stato invitato da M. Masahiro Sadako, il fratello della piccola Sasaki che, fino alla sua morte, all’età di 12 anni, confezionava instacabilmente origami a forma di gru, divenuta l’emblema della speranza di un "mai più Hiroshima". Nel 1945 il popolo, talmente stanco della guerra condotta dai governanti e di dover morire per l’imperatore, optò per la democrazia «importata» dagli statunitensi.

Molti, anche tra le vittime di Hiroshima, non sapevano con chi prendersela dopo i bombardamenti: con coloro di cui erano ostaggio o con coloro che li avevano liberati in un bagno di sangue e di sofferenza?

I giapponesi hanno preferito guardare al futuro: provare a ottenere aiuti per addolcire la vita quotidiana dei sopravvissuti e lavorare per la scomparsa degli arsenali nucleari. La Costituzione del Giappone vieta di muovere guerra e di accedere ad armi nucleari.

Ciononostante il Paese è diventato una potenza nucleare civile. È stato necessario a questo scopo ingannare il popolo. Affascinarlo con prospettive di crescita economica e impegnare considerevoli energie comunicative per convincerlo che l’atomo per la pace proposto dagli statunitensi era una cosa buona, perfettamente sicura. Mentre si realizzava il nucleare civile, malgrado le proteste passate sotto silenzio, un certo numero di giapponesi era vittima dell’inquinamento industriale, in particolare a Minamata.

A Minamata, gli "anni del silenzio"

In questa piccola città del sud ovest del Giappone, a partire dal 1932, scarti di mercurio sono stati rilasciati nel mare dall’azienda chimica Chisso e si sono accumulati nella fauna marina, prima di essere trasmessi alla popolazione attraverso il pesce di cui si nutriva. Questo inquinamento e le sue conseguenze si conoscono dal 1956: una parte della popolazione è affetta da disturbi motori e deformazioni fisiche che si aggravano con il tempo. I governi successivi hanno lasciato l’azienda libera di proseguire le sue attività, mettendo in atto puntualmente misure di facciata. Così, nel 1959, fu inaugurato in pompa magna un depuratore che non era però piazzato sul luogo principale degli sversamenti. Allo stesso tempo, il governo invitava l’azienda a versare denaro – col contagocce – "a titolo di simpatia" a persone intossicate e riconosciute tali, evitando così che governo ed azienda venissero messe in discussione. I dieci anni di proteste delle vittime, dal 1959 al 1968, non hanno portato a niente – essendo inciampate sull’ostracismo nei confronti di Minamata e dei suoi superstiti – cosa che è valsa loro il nome di «anni del silenzio».

A partire dal 1969, il governo cambia infine atteggiamento e la giustizia conferma nel 1973 la responsabilità della Chisso. Un primo accordo concesso nel 1977 ha permesso di riconoscere 3mila vittime; un altro del 1995 ha riguardato altre 10mila persone. Essendo stato considerato insufficiente nel 2004 dalla Corte suprema, nel 2009 è stato votato un altro protocollo che, sebbene al di sotto delle raccomandazioni della Corte, ha portato 57mila persone – più del doppio di quanto il governo si aspettasse – a depositare un dossier.

Dopo la catastrofe di Fukushima

I giapponesi ne hanno abbastanza. Le centrali danneggiate di Fukushima sono lungi dall’essere "fredde". A 60 km la radioattività nell’aria supera qui e lì i livelli autorizzati per i lavoratori del nucleare: come crescervi dei bambini senza temere per la loro salute? Inoltre, una parte dei prodotti agricoli venduti nella regione, fino al tè di Shizuoka, registra dosi di elementi radioattivi superiori al normale: il cibo contribuisce così all’accumulo degli effetti della radioattivià nella popolazione. Non tutti dispongono delle risorse economiche e dell’energia necessaria per lasciare la prefettura di Fukushima come le 160mila persone che se ne già sono andate.

Per i giapponesi, al "mai più Hiroshima" bisogna ormai aggiungere "mai più Fukushima". Per questo sarebbe meglio farla finita con il nucleare civile. I discorsi sulla sicurezza si vorrebbero rassicuranti e perentori, come sono stati in passato. Il livello di movimento della terra che ha prodotto lo tsunami era oltre l’immaginabile: nessun test è stato realizzato per una catastrofe di questa portata. Attualmente le autorità concentrano la loro attenzione sugli strumenti da mettere in atto per evitare le conseguenze che si sono verificate a Fukushima. Ma la prossima catastrofe seguirà un altro percorso. Dopo l’incidente, e le sue conseguenze che perdurano, le compensazioni si fanno attendere e le autorità cominciano a dire che non ci sono vittime come nel caso di Minamata. Al "mai più Minamata" bisogna aggiungere "mai più Fukushima".

È con tutto questo in testa che più dei due terzi dei giapponesi vuole farla finita con l’energia nucleare e si sforza di far sentire la sua voce con una perseveranza e una tenacità che dovrebbero costringere le autorità a considerare questo dato di fatto. Bisognerà sicuramente continuare e ampliare questo movimento affinché siano prese decisioni che vadano nel senso sperato dal popolo. Il primo ministro ha promesso di ricevere una delegazione di manifestanti – caso unico nella storia del Giappone – ma ha premesso che ascolterà anche coloro che reclamano il rilancio delle centrali.

Nonostante il Giappone sia una  democrazia, il popolo non è veramente sovrano.

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