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LA VITA, UN IMPERATIVO COSMICO

- Intervista a Leonardo Boff

Tratto da: Adista Documenti n° 42 del 24/11/2012

Come hai scritto recentemente, un’eventuale scomparsa della specie umana significherebbe «una catastrofe biologica di incommensurabile grandezza». Secondo te è ancora possibile evitarla? E non dovrebbe essere questo il compito assolutamente prioritario delle religioni?

Dovrebbe essere proprio questa la preoccupazione principale delle religioni e delle Chiese, perché è la prima volta che l’umanità si confronta con il principio di autodistruzione. Tuttavia, non mi pare che esse stiano affrontando seriamente questo tema. Le religioni e le Chiese vivono in uno stato di innocenza originaria, alienate dalla reale situazione del pianeta Terra. D’altro lato, Edward Wilson, il più grande biologo vivente, creatore del termine “biodiversità”, nel suo ultimo libro, dal titolo La creazione. Un appello per salvare la vita, propone una sacra alleanza tra quelle che considera le forze più potenti: le religioni e la tecnoscienza. Le religioni aiutano le scienze ad operare con coscienza e le scienze aiutano le religioni a superare il loro fondamentalismo e il loro riduzionismo. Sacri non sono solo i libri, l’ostia consacrata e i luoghi di devozione, ma tutti gli esseri. Per questo devono essere trattati con rispetto e con sollecitudine. Se non stringiamo tale alleanza, difficilmente sfuggiremo all’estinzione della specie, conclude Wilson, il quale, pur considerandosi ateo, dichiara di pregare perché tale alleanza sacra risulti vincente.

Come è cambiata l’immagine di Dio in seguito alle nuove acquisizioni scientifiche? Tali acquisizioni sembrano necessariamente richiedere una riformulazione dei grandi temi del cristianesimo in prospettiva ecologica: cristologia cosmica, pneumatologia ecologica, escatologia. A che punto si incontra la ricerca teologica su tali temi?

La teologia dominante è stata elaborata e ancora continua ad esserlo all’interno del paradigma classico che ci viene dai greci, a cui si aggiunge quello della modernità del XVI secolo, quando si è imposta, insieme al metodo scientifico, una nuova visione del mondo. Tale paradigma ha prodotto grandi progressi di civiltà. Ma si è rivelato profondamente ambiguo: ha inventato l’antibiotico e con ciò ha prolungato la nostra esistenza, ci ha regalato tutte le comodità moderne, ci ha condotto sulla luna e ci ha riportato indietro. Ma, allo stesso tempo, ha creato una macchina di morte con armi nucleari, chimiche e biologiche in grado di distruggere la vita intera in 25 modi diversi. E questa macchina è pronta. Non esiste sicurezza totale contro questo rischio. Abbiamo sfruttato la Terra in forma così intensiva che essa ha bisogno di un anno e mezzo per recuperare quello che le abbiamo sottratto durante un anno. Abbiamo raggiunto i limiti della Terra. Non possiamo continuare su questa strada perché può portarci all’abisso. Dobbiamo cambiare. E questo cambiamento esige un nuovo paradigma, che incorpora le scienze della vita e della Terra, mostrandoci come l’umanità sia coinvolta in un processo che ha preso avvio più di 13 miliardi di anni fa. Noi siamo il frutto di questo processo. Lo stesso Cristo, così come lo ha visto la scuola francescana medievale e, nell’età moderna, Pierre Teilhard de Chardin, è un momento di questo processo che si va espandendo e autocreando, fino a raggiungere un livello altissimo di complessità. È il momento in cui sorge la vita come imperativo cosmico. Noi esseri umani rappresentiamo un sottocapitolo del capitolo della vita. In questo processo tutto ha a che vedere con tutto in tutti i momenti e in ogni circostanza. L’universo non è costituito dalla somma dei suoi esseri, ma è l’articolazione di tutte le reti di energia, l’insieme delle reti di relazioni che tutti gli esseri intrattengono tra di loro. Questa visione, che qui è appena tratteggiata, ci obbliga a ripensare i contenuti della fede.

È quello che sto facendo dal 1980 in quasi tutti i miei libri, il più importante dei quali si intitola Il Tao della Liberazione, indagine sull'ecologia della trasformazione (2009), scritto in collaborazione con il cosmologo canadese Mark Hathaway (il quale ha studiato in California con uno dei più grandi cosmologi viventi, Brian Swimme, autore, insieme a Thomas Berry, il padre dell’ecologia nordamericana, del libro classico della nuova cosmologia, The universe story, un tentativo di ripercorrere la storia dell’universo dal Big Bang all’era ecozoica). Il libro Il Tao della Liberazione (che, nel 2011, ha vinto negli Stati Uniti il premio Nautilus Gold Medal in Scienza e Cosmologia, e la cui prefazione è stata scritta da Fritjof Capra) è, in buona parte, un tentativo di pensare la TdL a partire dalla frontiera più avanzata della scienza, dalla nanotecnologia alla fisica quantistica fino all’astrofisica, incorporando anche i valori della tradizione dell’Oriente. In esso, per esempio, viene mostrato come l’idea che tutto sia relazione ci aiuti a comprendere meglio la natura del Dio cristiano che è Trinità di Persone, persone che sono relazioni eterne (la famosa pericoresi). La presenza permanente di Dio nella sua creazione è rappresentata in modo migliore dal panentesimo, che non va confuso con il panteismo. Panenteismo vuol dire: tutto è in Dio e Dio è in tutto, conservando le differenze tra creatura e Creatore, che tuttavia possiedono una mutua presenza in maniera tale che tutto sia trasparente per la divina realtà. E lo stesso vale per gli altri temi della teologia. Purtroppo, i colleghi teologi non hanno ancora compiuto questo passo. Mi sento un po’ solo in questo percorso, pur avendo come interlocutore un teologo del calibro di Jürgen Moltmann.

L’universo non ha fatto che diventare sempre più grande ai nostri occhi. E continua ad ingrandirsi. Oggi si parla addirittura di multiverso, di universi paralleli, ecc. Che implicazioni ha tutto questo per la teologia?

Vi sono grandi implicazioni per un tipo di teologia che comprende l’universo, la Terra e la realtà umana come sistemi chiusi. Ma oggi sappiamo, grazie alla fisica quantistica e alla nuova cosmologia, che tutte le realtà costituiscono sistemi aperti e in continua relazione in tutte le direzioni. Per questo l’universo, espandendosi, si autocrea e produce ordini sempre più alti e complessi, fino a generare la coscienza dell’esistenza di Dio e della sua ineffabile presenza in tutte le cose. Il cristianesimo non può essere un fossile o un lago dalle acque morte. È sorto in un determinato momento dell’evoluzione e continua a svilupparsi nella misura in cui anche l’universo evolve. È una fonte viva con molteplici canali di acqua cristallina. È un organismo vivo che si adatta, incorpora elementi nuovi a partire da una identità fondamentale. La concezione dominante di certa teologia curiale che insiste sull’Assoluto contro tutti i relativismi moderni è anch’essa qualcosa di relativo. Come diceva, rispondendo a Benedetto XVI, il vescovo della foresta amazzonica Pedro Casaldáliga, «tutto è relativo, eccetto Dio e la fame». Secondo la moderna teoria delle stringhe, vi sarebbero molteplici universi che costituirebbero sistemi paralleli al nostro. Alcuni cosmologi azzardano l’idea che i buchi neri siano il passaggio da un universo all’altro. Teologicamente ciò non rappresenta alcun problema, in quanto non possiamo porre limiti alla fantasia creatrice di Dio. È anzi piuttosto probabile che vi siano altri universi con pianeti intelligenti che si trovano in una situazione migliore della nostra. In un certo senso, non onora Dio il fatto che questo pianeta non sia buono né per noi né tantomeno per Lui. Solo nel convergere finale del mondo potremo dire “tutto è bene”. Nel frattempo, il mondo non è un posto buono perché presenta troppe atrocità e catastrofi umane e naturali. Per questo, diceva giustamente Ernst Bloch: «La vera genesi è alla fine, non all’inizio».

Cosa ci dicono le riflessioni provenienti dalla cosmologia moderna, dalla fisica quantistica, dalla neurobiologia sulla nostra dimensione spirituale? Possono le neuroscienze mettere in crisi il nostro concetto di libero arbitrio? Se, come sostengono alcuni scienziati, il cervello potrebbe contenere un numero di connessioni elettriche immensamente superiore a quello degli stessi atomi nell’universo, questa straordinaria complessità può essere ridotta appena a “una questione di neuroni”?

Tale visione deriva da una concezione materialista dell’universo. Una visione che non è condivisa da grandi scienziati come Francis S. Collins, il coordinatore del gruppo che ha decifrato il genoma umano. Nel suo bel libro Il linguaggio di Dio, Collins racconta di come sia partito dall’ateismo e sia diventato un uomo di fede, considerando più adeguata alla complessità della vita l’ammissione di una suprema intelligenza rispetto all’affermazione atea del caso e della necessità. L’ateismo, secondo Collins, non risponderebbe ai principali problemi posti dall’esistenza umana e dall’universo. Oggi il punto critico della ricerca è dato dalle neuroscienze. Esse rimangono all’interno del vecchio paradigma atomizzato e riduzionista della modernità, non assumendo la prospettiva evolutiva che mostra come il cervello sia stato preparato lungo tutta l’evoluzione, la quale ha creato la base biologica per quello che è specificamente umano: la libertà come capacità di autodeterminazione. Siamo determinati da mille fattori, ma prendiamo posizione di fronte a tali determinazioni (è il momento dell’“auto”): possiamo respingerle, assumerle, trasformarle e farle diventare parte di un progetto di vita. L’universo apre, in termini quantistici, le possibilità per queste singolarità. Per questo solo noi possiamo vivere la tragedia o la beatitudine. Solo noi possiamo ribellarci e persino assassinare il Figlio di Dio quando ci ha fatto visita nella nostra carne. Questa è la nostra tragedia e la nostra grandezza. Il cervello crea appena la base biologica e materiale per l’irruzione di qualcosa di realmente nuovo nell’universo: la nostra capacità di creare significato, di distruggere e di costruire. Possiamo essere il satana della Terra così come l’angelo buono che la protegge. Lo stesso spirito è un fenomeno quantistico, nella misura in cui la sua natura è fatta di relazioni e di interazioni con tutte le realtà e mostra la capacità di sentirsi parte di un Tutto più grande, come pure di costituire sintesi significative. Può dialogare con quella Fonte originaria di tutto l’essere (chiamata dai cosmologi Vuoto quantistico, che di vuoto non ha nulla in quanto è la pienezza delle possibilità), sentirsi inserito nella sua realtà, venerare e contemplare la grandezza del cosmo.

Si dice - pensiamo alle ricorrenti denunce di Comblin - che la nuova generazione di teologi sia poco presente in mezzo ai poveri. Che la TdL sia diventata molto più accademica. E anche meno critica delle istituzioni, dal momento che vive al loro interno. Eppure, per essere profetica, la teologia non dovrebbe essere il più possibile libera da vincoli istituzionali? In un momento in cui si assiste ad una sorta di passaggio di consegne tra voi padri fondatori della TdL e la nuova generazione, non si rischia di continuare a parlare di opzione per i poveri ma di metterla sempre meno in pratica?

La Teologia della Liberazione è stata vittima di due attacchi frontali. Un attacco è stato sferrato dalle autorità dottrinali del Vaticano, le quali hanno preferito dare ascolto ai calunniatori dei poveri e dei loro alleati. Ciò ha fatto sì che - sempre usando come alibi ecclesiastico conservatore e repressore quello di “proteggere la fede dei semplici e dei fedeli” - tutto ciò che si presentava sotto il nome di liberazione e di opzione per i poveri fosse sospetto. Il card. Aloysio Lorscheider mi confessò, con infinita tristezza, che nella Curia romana non si potevano utilizzare le parole “liberazione” e “poveri” perché irritavano le autorità curiali. Devo dire che un’autorità ecclesiastica che cancella le parole “povero” e “liberazione” sicuramente è estranea all’eredità di Gesù. Questo attacco venuto da settori della Chiesa ufficiale ha delegittimato la Teologia della Liberazione e ha fatto sì che i vescovi, generalmente più autorità ecclesiastiche che pastori, proibissero ai teologi di insegnare e di assistere le comunità e i movimenti laici.

L’altro attacco è stato sferrato dalle classi ricche, in cui si trovano molti cattolici influenti che vivono ancora sotto l’ossessione del marxismo e della collettivizzazione dei beni e vogliono proteggere la proprietà privata. Il fatto che la Teologia della Liberazione abbia predicato la liberazione e dato centralità ai poveri ha suscitato grande timore tra di loro, inducendoli ad accusarci o di essere marxisti o di rappresentare il cavallo di Troia per l’ingresso del marxismo in America Latina. Tutto ciò è assolutamente falso. Il grande pericolo in America Latina è dato dalla natura selvaggia del capitalismo. Non siamo neppure arrivati a un capitalismo civile. Qui lo sfruttamento è apertamente e terribilmente perverso. Sono i responsabili di questo sfruttamento i nemici dei poveri, non i pochi marxisti esistenti. Ma ciò ha creato un vuoto nella Chiesa. E questo vuoto è stato riempito da movimenti conservatori come Opus Dei, Comunione e Liberazione, Neocatecumenali, Araldi di Cristo e altri gruppi, alcuni dei quali con una chiara connotazione medievale. Sono questi a costituire la base sociale della Chiesa. Malgrado ciò, la Teologia della Liberazione va avanti. Non ha più la visibilità di prima, perché non ha più un carattere polemico. È vero che è più accademica, ma è anche vero che conserva la sua forza in quei gruppi che sono connaturali ad essa: le Comunità ecclesiali di base (solo in Brasile ve ne sono circa 100mila), i circoli biblici (intorno al milione in Brasile), le organizzazioni sociali, i movimenti di donne, di afrodiscendenti, di indigeni, in difesa dei diritti dei poveri. Tali gruppi sono ecumenici e la Teologia della Liberazione è per loro fonte di ispirazione e punto di riferimento. Qui la TdL è viva e sfugge ai severi controlli del Vaticano. Ma le comunità si lamentano dicendo: è un grande peccato che il papa non ci comprenda; che egli costruisca nel cantiere dei nostri oppressori e non nel nostro cantiere, quello dei poveri e degli oppressi. Ma aggiungono, con compassione e comprensione: sicuramente è male informato e mal consigliato. Si nota, per esempio, la presenza e la forza della TdL in occasione dei Forum Sociali Mondiali, preceduti dal Forum Mondiale di Teologia e Liberazione, a cui partecipano sempre 2-3mila persone di tutti i continenti. La TdL ha la forza della semente, per questo è indistruttibile. Ogni volta che ascoltiamo il grido di un oppresso, vale davvero la pena impegnarci per la sua liberazione nel nome di Gesù, il Liberatore, e a partire da ciò condurre una riflessione che si chiamerà allora Teologia della Liberazione. Il fatto che, per la celebrazione dei suoi 40 anni, al Congresso continentale di teologia abbiano partecipato circa 700 persone, sta ad indicare quanto la TdL sia ancora vitale e quanto sia prezioso il suo ruolo nella riflessione cristiana a partire dalle grandi periferie povere e oppresse del mondo, in cui Gesù Cristo continua ad essere crocifisso e ad attendere di essere deposto dalla Croce e resuscitato.

Si sta celebrando ovunque il 50° anniversario dell’inizio del Concilio, sottolineando la necessità di tornare ad esso. Non pensi però che le risposte date dal Vaticano II siano ormai insufficienti, perché nel frattempo sono cambiate le domande?

L’America Latina è stato il luogo privilegiato in cui ha avuto luogo una ricezione creativa del Vaticano II, il quale ha trasformato la Chiesa da una fortezza assediata e colma di paura a una casa aperta in cui scorre una brezza che rinfresca la vita umana. Il Concilio è stato universale ma si è svolto nel cuore dei ricchi e potenti Paesi europei, parlando della Chiesa all’interno del mondo moderno. Noi in America Latina lo abbiamo tradotto parlando della Chiesa all’interno del sub-mondo della povertà e della miseria. Il mondo moderno rivela il suo carattere oppressore nei confronti dei poveri. Per questo, tra di noi, la Chiesa deve fare un’opzione per i poveri contro la povertà e a favore della vita e della libertà. Come far sì che il carattere liberatore presente nel messaggio cristiano si trasformi in un fattore di cambiamento sociale e di restituzione della dignità alle non-persone, agli umiliati ed offesi? Come annunciare che Dio è amore in un mondo di miserabili? Ciò diventa credibile solo se facciamo di questa realtà di male una realtà di bene, e a partire non da Marx ma da Gesù. Marx non è mai stato il padre né il padrino della Teologia della Liberazione. Dire che siamo i rappresentanti della teologia marxista della liberazione è una calunnia, perché non lo siamo mai stati. L’unica Teologia della Liberazione è quella vissuta dalle comunità che pensano la loro prassi alla luce della fede, insieme ai loro profetici pastori, teologi, teologhe.

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