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LE CHIESE DEL CONTINENTE 50 ANNI DOPO

Tratto da: Adista Documenti n° 42 del 24/11/2012

(…) Nel caso dell’America Latina e dei Caraibi, la ricezione del Vaticano II non è stata una mera assimilazione vitale, e men che meno una semplice applicazione del Vaticano II all’America Latina, ma molto di più: è stata una ricreazione originale, una fedeltà creativa, una rilettura del Concilio da parte di un continente insieme cristiano e segnato dalla povertà e dall’ingiustizia. Questa ricezione ha fatto avanzare la dottrina conciliare, ha sviluppato le sue intuizioni implicite, ha dato all’aggiornamento conciliare una traduzione geografica e storica molto concreta. Per tutto ciò, questa ricezione, nonostante si sia realizzata in piena comunione con la Chiesa universale, è stata molte volte conflittuale per settori della società civile e anche della Chiesa, incapaci di comprendere il dinamismo e la novità dello Spirito. È stata una ricezione martiriale nel senso forte della parola: ricevuta fedelmente da testimoni del Vangelo che in molti casi hanno vissuto la propria fedeltà al Signore fino a versare il proprio sangue. Per questo, la ricezione del Vaticano II da parte del continente merita rispetto: dobbiamo procedere scalzi, siamo su un terreno sacro… (…).

Possiamo già affermare che la novità di questa ricezione consiste nell’aver riletto il Vaticano II dal basso, dai poveri, dal rovescio della storia. (…).

Non solo il Concilio è stato storicizzato, ma l’ecclesiologico del Concilio si è cristologizzato, poiché nella sofferenza del popolo povero e crocifisso dell’America Latina si è scoperta l’immagine del Servo di Jahvè, l’immagine del Crocifisso, e questa è stata una vera esperienza spirituale. È da questa esperienza che è sorta la riflessione teologica latinoamericana liberatrice, la Teologia della Liberazione, che non può essere compresa né correttamente interpretata se non a partire da questa esperienza spirituale di Cristo nel povero. Questa è forse la radice più profonda delle incomprensioni e delle critiche che la TdL ha patito durante questi anni. Non è un problema prioritariamente teologico, ma una questione di esperienza spirituale.

I DUE MOMENTI DELLA RICEZIONE

Mentre la Lumen Gentium, nel capitolo sul popolo di Dio, non cita l’Esodo, Medellín (1968) inizia proprio con il paradigma dell’Esodo: «Così come allora Israele, il primo Popolo, sperimentò la presenza salvifica di Dio quando lo liberò dall’oppressione dell’Egitto (…) così anche noi, nuovo Popolo di Dio, non possiamo non sentire il suo passaggio che salva, quando si realizza il vero sviluppo, che è il passaggio, per ognuno e per tutti, da condizioni di vita meno umane a condizioni più umane» (Medellín, Introduzione, 6).

Da questo paradigma dell’Esodo e della liberazione nascono, come già abbiamo visto, l’opzione per i poveri, le Comunità ecclesiali di base, la lettura popolare della Bibbia, i vescovi difensori dei poveri, gli operatori pastorali impegnati con il popolo, la vita religiosa radicata in ambiente popolare… e il martirio. La Teologia della Liberazione appare in tale quadro accompagnando tutto questo processo e illuminandolo con i valori evangelici e della vera Tradizione ecclesiale. (…).

In un secondo momento, negli anni ’90, in America Latina e nei Caraibi, il paradigma dell’Esodo lascia il posto al paradigma dell’Esilio e del Post-esilio, il tempo nel quale il popolo di Israele era in esilio in Assiria e Babilonia, tra culture e religioni estranee, senza re, né sacerdoti, né tempio, ma dove visse un tempo di grazia e di conversione, di recupero della sua identità e anche di apertura ad altre culture e religioni. (…).

Dagli anni ‘90, per quanto le problematiche della povertà e dell’ingiustizia non siano sparite dall’America Latina, ma semmai addirittura aumentate, l’orizzonte sociopolitico è cambiato: alle dittature sono succedute democrazie formali, il socialismo di Stato è caduto, l’ideologia del mercato e il consumo si sono globalizzati. C’è una certa delusione: si aspettava la liberazione ed è arrivato il neoliberismo. Questo ha portato a una certa purificazione, come ai tempi dell’Esilio da Israele, ma, come nel Post-esilio, sono sorti anche nell’orizzonte dell’America Latina e dei Caraibi nuovi scenari e nuovi attori: i giovani, le donne, gli indigeni e gli afroamericani, le culture, le religioni, la Terra. Al grido dei poveri si aggiunge ora il grido della Terra e dell’alterità esclusa. Tuttavia, giovani, donne, indigeni e afroamericani non sono solo settori oppressi, forse i più oppressi, il Lumpenproletariat, ma anche nuovi soggetti emergenti, diversi, altri, differenti, con la loro ricchezza e la loro saggezza millenaria. (…).

Anche la teologia latinoamericana si è aperta a queste nuove tematiche e ai nuovi soggetti emergenti: sono nate così la teologia india e afroamericana, quella ecologica, quella femminista, quella del dialogo interculturale e interreligioso, ecc. Alla mediazione socio-analitica si aggiungono ora la mediazione antropologica, sessuale e di genere, culturale, religiosa ed ecologica. Qualcosa sta evolvendo nella ricezione stessa del Vaticano II.

La Teologia della Liberazione, da parte sua, più libera dagli attacchi e dalle critiche, ha iniziato un tempo di riflessione e di autocritica: non sarà stata troppo moralista ed etica, con un messianismo eccessivamente militante, poco aperta alla gratuità e alla festa, all’affettività, alla sessualità e alla salute, un pochino paternalista e patriarcale, poco sensibile alle questioni di genere, eccessivamente occidentale, forse ingenuamente millenarista?

QUESTIONI IN SOSPESO

Questi cambiamenti segnalati nella ricezione del Concilio in America Latina e nei Caraibi vanno situati nel solco più ampio delle grandi mutazioni della società attuale, 50 anni dopo il Vaticano II: sono caduti tanto il muro di Berlino quanto le Torri Gemelle, sono arrivate la globalizzazione e le nuove tecnologie, si è rafforzata l’ideologia del mercato neoliberista, sempre più crudele e discriminante nei confronti dei poveri, si è aggravata la crisi ambientale, sono aumentati i flussi migratori, si è massificato il mondo urbano, la postmodernità è passata da Prometeo a Narciso, dalla sociologia alla psicologia. Siamo di fronte a un cambiamento culturale e religioso senza precedenti, una mutazione del tempo religioso assiale che è stato in vigore per secoli: la religione neolitica basata sul tempio, sul sacerdote e sul sacrificio è entrata in crisi, la cristianità agonizza, un vero tsunami travolge il pianeta. Le problematiche poste dal Vaticano II sono rimaste indietro e in qualche modo risultano superate: il problema oggi non è tanto la Chiesa quanto Dio, la secolarizzazione, il dialogo interreligioso; e d’altra parte sono aumentate l’esclusione di ampie fasce della popolazione dalla ricchezza della Terra e dalla società della conoscenza, la discriminazione delle donne nella società e nella Chiesa patriarcale di oggi, l’indignazione dei giovani di fronte alla società violenta e disumana che hanno ereditato dalle generazioni passate, la minaccia ecologica e la crisi economica, ecc.

Vi sono temi che il Vaticano II non volle trattare, temi lasciati a metà per mancanza di mediazioni istituzionali e problemi nuovi nati in questi 50 anni. L’elenco delle questioni in sospeso è enorme: l’elezione dei vescovi da parte delle Chiese locali, il problema dello Stato Vaticano e dell’attuale struttura centralizzata del primato petrino, la riforma della Curia, lo statuto ecclesiologico di nunzi e cardinali, l’efficacia reale della collegialità episcopale legata al riconoscimento del carattere deliberativo dei Sinodi e ad una maggiore autonomia delle Conferenze episcopali, il celibato sacerdotale obbligatorio, l’ordinazione dei viri probati, la donna e la sua partecipazione nella Chiesa ministeriale e nella società, la reale promozione del laicato, il maggiore rispetto dei carismi della vita religiosa, soprattutto femminile, la trasmissione della fede alle nuove generazioni, la crescita dei movimenti pentecostali, l’ecumenismo e il pluralismo religioso, l’ecologia e l’ambiente, il dialogo con i progressi scientifici relativi alla biologia e alla sessualità, la necessaria revisione di questioni come il controllo delle nascite, la morale sessuale e matrimoniale, l’omosessualità, ecc.

A tutto ciò si aggiunge la crescente mancanza di credibilità ecclesiale, gli scandali sessuali e i misteriosi intrighi della Curia vaticana, la diminuzione delle vocazioni, la bassa frequenza sacramentale in molti settori, l’abbandono della Chiesa e lo scisma silenzioso da parte di milioni di fedeli, la fede senza appartenenza, l’aumento dell’indifferenza e dell’agnosticismo… che sommato a quanto sopra produce una sensazione di grande perplessità e di inverno ecclesiale: la barca di Pietro è sballottata nel mezzo di un mare agitato e ciò non solo per la furia dei venti contrari, ma anche per le crepe interne alla barca stessa. Alcuni paragonano questa situazione esplosiva a quella che precedette la Riforma nel XVI secolo, o agli anni precedenti al Vaticano II.

Sicuramente, la situazione ecclesiale dell’America Latina e dei Caraibi è diversa da quella occidentale europea. L’America Latina è un continente profondamente religioso, segnato attualmente da un grande pluralismo religioso, da una forte religiosità popolare e da grandi valori cristiani (Aparecida 258-265), ma è un continente di battezzati che non hanno portato a termine il proprio catecumenato (E. Dussel), pur essendo questo parte integrante del battesimo (come affermava il teologo Ratzinger). (…).

Da qui sorge la preoccupazione di fare del continente una terra di missione, una missione inter gentes, in un processo di vera conversione pastorale: una pastorale non clericale né basata sul tempio, ma laicale e centrata sulla casa del popolo; orientata prima di tutto all’evangelizzazione e all’annuncio della Parola più che a una sacramentalizzazione meramente ritualista e senza impatto; una pastorale che stimoli un’iniziazione all’esperienza spirituale in contatto con Gesù di Nazareth, che formi comunità vive, impegnate con la propria storia, in dialogo con le culture moderne e originarie, che assegni la priorità ai poveri e solidarizzi con loro nelle lotte per la giustizia, che non rimpianga i sostegni sociologici e statali propri della Chiesa della cristianità, che si configuri come una Chiesa nazarena, povera, semplice, solidale e pasquale. Ma tutti questi compiti pastorali richiedono una nuova riflessione teologica a partire dall’America Latina e dai Caraibi.

L’URGENZA DI UNA PNEUMATOLOGIA LATINOAMERICANA

Poco dopo il Concilio, Paolo VI disse che alla cristologia e all’ecclesiologia conciliare doveva seguire un nuovo studio sullo Spirito Santo. (…).

A partire dall’America Latina, bisogna certamente rielaborare una cristologia e una ecclesiologia più pneumatologiche, ma soprattutto bisogna ripensare la pneumatologia, una pneumatologia che non sia una mera speculazione teorica dall’alto, né che si riduca all’intimismo dello Spirito come “dolce ospite dell’anima”, o all’orazione epicletica della liturgia, ma che proceda dalla prassi, dal basso, dai poveri, dalla storia. In fondo è ciò che Medellín già evocò, interpretando il gigantesco sforzo per una rapida trasformazione dell’America Latina «come un evidente segno dello Spirito che conduce la storia degli esseri umani e dei popoli verso la loro vocazione» (Medellín, Introduzione, n. 4).

Tradizionalmente, il silenzio pneumatologico dell’America Latina e dei Caraibi è stato compensato e sostituito da una serie di “succedanei” dello Spirito, come la devozione a Maria, i movimenti pentecostali e carismatici, la stessa religiosità popolare. (…).

Sotto la religiosità popolare e la ricerca dei sacramentali più che dei sacramenti ufficiali della Chiesa, si nasconde la fede di un popolo povero che si ferma sul sagrato della Chiesa, ma che confida nella forza dello Spirito poiché non può confidare in nessun altro.

Una pneumatologia dal basso può recuperare positivamente i “succedanei della pneumatologia” latinoamericana: la Mariologia dell’America Latina è sicuramente una pneumatologia a partire dai poveri, che vedono in qualche modo Maria come tempio e icona dello Spirito, come afferma la tradizione. Carlos Mesters constata come i più poveri tra i poveri non stiano nelle Comunità ecclesiali di base ma nei gruppi pentecostali, eppure, dietro il pentecostalismo e i movimenti carismatici, c’è una ricerca popolare dello Spirito che si dovrà certamente discernere a partire dalla cristologia di Gesù di Nazareth.

Una pneumatologia dal basso, dai poveri, ci aiuterà a comprendere l’irruzione dei poveri nella Chiesa e nella società dell’America Latina e dei Caraibi, la loro lotta per la giustizia, il loro «conato di agonia» (P. Trigo) per sopravvivere, la loro capacità di festa e la loro intima allegria, il motivo per cui i poveri non si suicidano collettivamente. La pneumatologia latinoamericana è profetica, molte volte conflittuale: aiuta a comprendere le marce degli indigeni in difesa dei loro territori minacciati dalle transnazionali, il coraggio di quanti migrano in cerca di migliori condizioni di vita, la “santità primordiale” del popolo (J. Sobrino), la sua forza di fronte al martirio. (…). Dietro al pluralismo dei nuovi soggetti sociali emergenti – donne, indigeni, giovani – c’è lo Spirito di Pentecoste che è Spirito di diversità e universalità.

Una pneumatologia latinoamericana dal basso ci può aiutare a comprendere il fatto che la ricezione creativa del Vaticano II da parte dell’America Latina e dei Caraibi è un tema pneumatologico: l’ascolto del grido dei poveri da parte dei pastori a Medellín, la nascita delle CEBs, la vita religiosa radicata tra i poveri, l’esperienza spirituale del Signore nei volti dei poveri che costituisce il fondamento della Teologia della Liberazione non sono proposte ideologiche, ma doni e frutti dello Spirito del Signore che superano ogni calcolo logico e sconcertano coloro che guardano da lontano e dall’alto, poiché lo Spirito è sempre inatteso e innovatore, non sappiamo da dove viene né dove va. (…).

RIPENSARE LA PNEUMATOLOGIA A PARTIRE DALLA TRINITÀ

Per elaborare questa pneumatologia a partire dall’America Latina e dai Caraibi, dal basso, sarà necessario approfondire la teologia trinitaria. La tradizionale pneumatologia del Filioque, lo spirito che procede dal Padre e dal Figlio, tipicamente giovannea, latina e agostiniana, contempla lo Spirito come il dono del Padre e del Figlio, vincolo di unione amorosa tra i due e dono pasquale del Risorto. Questa teologia è valida e pienamente ortodossa, ma presenta il rischio di legare eccessivamente lo Spirito alla dimensione istituzionale della Chiesa, di impoverire la missione dello Spirito cadendo in una sorta di cristomonismo pratico.

Per questo, la pneumatologia del Filioque ha bisogno di complementarsi con la pneumatologia, più lucana e orientale, che concepisce lo Spirito come l’amore presente nella filiazione del Figlio, che è generato dal Padre e dallo Spirito (Spirituque) e che nella storia (“economia”) della salvezza si manifesta come la Ruah che aleggia nella creazione, come lo Spirito che parla attraverso i profeti dell’Antico Testamento, che realizza l’incarnazione di Gesù, si posa su di lui nel battesimo, lo guida nella vita terrena, lo risuscita dai morti, fa sorgere la Chiesa e guida la sua storia e feconda la storia dell’umanità fino al Regno e all’escatologia. (…).

Si deve quindi bilanciare l’ordine (o taxis) abituale del “Padre-Figlio-Spirito” con l’ordine anch’esso tradizionale del “Padre-Spirito-Figlio”, mostrando così che lo Spirito oltrepassa i muri ecclesiali, che è il Creator Spiritus che alimenta e vivifica la creazione, le culture, le religioni, i movimenti sociali, civili, politici, che precede l’evangelizzazione e la Chiesa, che viene prima dell’arrivo dei missionari. Questo è lo Spirito che opera dal basso, dal rovescio della storia, attraverso i profeti e il grido del popolo povero.

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