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“MORSI” DI DITTATURA: IN EGITTO ANCHE I CRISTIANI IN PIAZZA PER LA DEMOCRAZIA

Tratto da: Adista Notizie n° 44 del 08/12/2012

36953. IL CAIRO-ADISTA. Il recente strappo del presidente egiziano Mohamed Morsi non ha tardato a scatenare reazioni. Piazza Tahrir è tornata a riempirsi e la consistente minoranza cristiana d’Egitto (il 10% della popolazione) si è da subito opposta al colpo di mano tramite le dichiarazioni, in alcuni casi molto dure, di alcuni suoi autorevoli rappresentanti. Morsi, in effetti, stavolta l’ha fatta grossa, facendo mettere nero su bianco, lo scorso 22 novembre, che qualsiasi suo atto di governo compiuto da quando si è insediato a fine giugno (v. Adista Notizie n. 26/12) fino alla convocazione di nuove elezioni, non potrà essere messo in discussione dal potere giudiziario. Un analogo “scudo protettivo” è stato previsto dall’esponente del partito Libertà e Giustizia, braccio politico dei Fratelli Musulmani, per la camera alta del Parlamento e per l’assemblea costituente. Entrambi gli organismi risultano, ad oggi, composti esclusivamente di islamisti, tanto provenienti dalle file della fratellanza, quanto riconducibili ai più radicali partiti di matrice salafita.

Prove tecniche di teocrazia

Sebbene Morsi abbia giustificato la sua decisione con la necessità di difendere le conquiste della rivoluzione da un potere giudiziario tuttora in mano a esponenti del vecchio regime di Hosni Mubarak, il reale obiettivo del primo cittadino egiziano non è certo sfuggito ai giovani della rivoluzione e alla componente più laica e progressista della società. Dotandosi di un potere di fatto autocratico e mettendo «in sicurezza» l’assemblea costituente dominata dai salafiti e dagli esponenti del suo partito, il nuovo raìs sta di fatto cercando di ipotecare l’avvenire politico del nuovo Egitto. La possibilità di «orientare» il processo costituzionale, strettamente collegata alla questione della laicità del futuro stato egiziano, è stata, fin dalle prime ore successive alla caduta di Mubarak, un elemento decisivo nelle dinamiche politiche del post-rivoluzione. Non è certo un caso se, nella giornata di giovedì 29 novembre, gli 85 membri dell'assemblea costituente (fra i quali nessun cristiano e solo quattro donne) sono stati chiamati a votare in fretta e furia una nuova bozza di Costituzione. Il testo, approvato poi nella notte e composto di 230 articoli, ribadisce il principio per cui la sharia è la fonte fondamentale della legislazione e include molte formulazioni ambigue su temi come i diritti umani, i diritti delle donne e delle minoranze e la libertà di espressione. Inoltre, a riprova del fatto che l'esercito e i Fratelli Musulmani hanno con ogni probabilità stretto un patto nei mesi scorsi (con la benedizione degli Stati Uniti e di Israele), la nuova Costituzione tutela tutte le prerogative e i privilegi che le forze armate hanno mantenuto per decenni, non ultima quella di poter processare i civili in tribunali militari. Ora il testo approvato dalla costituente dovrà essere sottoposto a referendum entro 30 giorni.

Le risposte della piazza e dei cristiani

Il colpo di mano dei Fratelli Musulmani, tuttavia, ha determinato da subito una decisa reazione da parte di quei settori della società egiziana che non rinunciano all’idea di costruire un Paese laico, democratico e all’insegna della giustizia sociale. Il grande giorno di protesta indetto per martedì 27 novembre ha visto manifestazioni di centinaia di migliaia di persone, spesso conclusesi con scontri, in tutto il Paese. Nelle stesse ore si sarebbe dovuto tenere anche l’incontro fra il nuovo papa della Chiesa copta ortodossa Tawadros II (v. Adista Contesti n. 43/12) e una delegazione delle Chiese cattoliche egiziane, poi annullato proprio a causa dei disordini che avrebbero potuto renderlo rischioso. L’appuntamento era stato annunciato all’agenzia Fides, nei giorni immediatamente successivi alla promulgazione dei decreti, dal vescovo di Assiut Kyrillos William, vicario patriarcale dei copti cattolici. «Ci consulteremo e coordineremo le nostre iniziative davanti all’emergenza che sta attraversando il nostro Paese», aveva dichiarato in quell’occasione Kyrillos, spiegando poi le ragioni della propria apprensione: «I seguaci di Morsi sostengono che questi provvedimenti sono necessari proprio per salvaguardare il cammino della rivoluzione. Ma tutti gli altri parlano di deriva verso la dittatura e dicono che il presidente Morsi vuole diventare un nuovo faraone».

Preoccupazioni analoghe circa l’operato e le reali intenzioni del presidente sono state espresse negli stessi giorni, in forma particolarmente diretta e incisiva, anche da p. Rafic Greiche, portavoce della Chiesa cattolica egiziana. «L’Egitto è in grave pericolo», aveva detto lo scorso 23 novembre ad AsiaNews il prelato, «i Fratelli musulmani ormai hanno sotto di sé tutti i poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario». Gli ikhwan (islamici contro la modernizzazione) stanno mettendo in esecuzione un piano preciso per trasformare l’Egitto in uno Stato islamico basato sulla sharia, profetizzava. «Morsi ha atteso che liberali e cristiani abbandonassero i loro seggi [nell’assemblea costituente, ndr]. In questo modo solo gli islamisti scriveranno la Costituzione e nessuno potrà fermarli», concludeva Greiche riferendosi alla scelta che ha portato, il 17 novembre scorso, i membri laici e cristiani ad abbandonare i lavori dell’organismo incaricato di redigere la nuova Carta fondamentale. Un evento citato anche dal vescovo anglicano d’Egitto Mouneer Hanna Anis, che in una lettera aperta scritta in seguito allo strappo di Morsi ne additava le cause alla volontà degli islamisti di «imporre le proprie idee all’interno della costituzione».

Infine, a conferma ulteriore che le ultime mosse del presidente preoccupano non poco la comunità cristiana d’Egitto, va anche segnalato che Samir Marcus, intellettuale cristiano che Morsi aveva chiamato a far parte del suo ufficio di presidenza una volta insediatosi (v. Adista Notizie n. 31/12), si è dimesso in polemica con le ultime scelte del capo di Stato. Le ragioni del gesto sono state spiegate all’agenzia Fides dal vescovo Kyrillos. «Marcus», ha dichiarato il religioso, «era assistente del presidente per la democratizzazione del Paese». «Gli ultimi decreti del presidente, adottati senza alcuna consultazione, hanno sabotato proprio quel processo di sviluppo della democrazia che lui avrebbe dovuto monitorare, riducendo il suo incarico a una funzione puramente decorativa». (marco zerbino)

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