Casalecchio di Reno, strage di Stato
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 47 del 29/12/2012
Tutto accadde il 6 dicembre 1990 a Casalecchio di Reno (Bologna). Un aereo militare compie un’esercitazione sorvolando il mio paese, tira aria di guerra in Iraq, e bisogna esercitarsi... sui civili. Quel 6 dicembre è tutto tranquillo come sempre, giornata fredda, ma serena, nonostante l'inverno, bella mattinata davvero, e un sole audace rischiara le vite di chi sta lavorando, di chi passeggia, di chi dorme, di chi studia.
Poi quell'aereo militare comincia a perdere quota, il pilota, un giovane tenente, che oggi è colonnello, vilmente si getta fuori, e l'aereo se ne va per conto suo. Cade su una nostra scuola, il “Salvemini”, 12 ragazzi muoiono, una novantina rimangono feriti gravemente, e per alcuni, sfigurati per sempre, non ci sarà più primavera, un paio di anni dopo qualcuno si toglie la vita.
La giustizia dapprima colpì duro, poi se ne lavò le mani: il 26 gennaio '98 i giudici della IV sezione della Cassazione di Roma, rigettarono tutti i ricorsi: «Il fatto non costituisce reato». Nessun responsabile, quindi, se le vite di Laura, Deborah, Sara, Laura, Tiziana, Antonella, Alessandra, Dario, Elisabetta, Elena, Carmen e Alessandra sono state stroncate. Dopo che la strage venne negata in appello, con scarse reazioni istituzionali e con sdegno di breve durata, alcuni ragazzi dell'Associazione studenti ed ex-studenti del Salvemini, scrissero una lettera (alla rivista Alfazeta) parlando di una «tredicesima vittima, la gente e gli stessi opinionisti colpiti dalla scarsità di informazioni che i loro stessi colleghi forniscono. Tredicesima vittima è la dignità calpestata dal peso o in nome di una divisa. La tredicesima vittima è chi cade in questa rete e sta al gioco».
Imputati al processo erano il pilota Viviani, il suo comandante Eugenio Brega e l'ufficiale della torre di controllo Roberto Corsini. La loro difesa, su richiesta del Ministero della Difesa, venne affidata all'Avvocatura dello Stato. «Scelta che provocò rabbia e sconcerto perché se è vero che l'aereo era un mezzo militare è pur vero che colpì una scuola statale», scrissero gli studenti, lamentando che «il ministero della Pubblica Istruzione non trovasse nella morte di 12 studenti, avvenuta mentre facevano lezione, una motivazione per chiedere di essere rappresentato da quell'organo al servizio dello Stato che è l'Avvocatura».
Il processo di primo grado ebbe il coraggio (di fronte all'evidenza dei fatti) di condannare Viviani, Brega e Corsini a pene superiori ai due anni - per disastro aviatorio colposo e lesioni colpevoli - e il Ministero della Difesa a risarcire i danni, per responsabilità civile. Nella sentenza d'assoluzione si legge, invece, che il caso fu gonfiato, che «il dibattimento diventò un rito esorcistico», che i giudici di primo grado aggiustarono i fatti. E per mandare assolti i militari si usò pure un linguaggio arrogante, assurdo, irridente e offensivo. Nella stessa logica del piccolo e squallido ricatto di non affidare al Genio i lavori (gratuiti) di ricostruzione della scuola se l'amministrazione di Casalecchio non avesse prima firmato una liberatoria, in pratica una specie d'assoluzione morale anticipata; trenta denari che non furono accettati.
Poi il silenzio cala su Casalecchio. Ma le esercitazioni su zone abitate continuano. Anche le guerre continuano. Come l'ipocrisia delle istituzioni e della politica. E tutto conferma la linea di comportamento di “certi uomini”, come prima, più di prima, o forse come sempre. Alti ufficiali dell'esercito, dei carabinieri, dell'aviazione, della marina. Presidenti della Repubblica, ministri, sottosegretari. Giornalisti, politici, preti e cardinali. Tutti uomini del potere pronti ad indignarsi e a moralizzare ad ogni piè sospinto, pronti a scatenare la canea reazionaria e razzista contro gli immigrati, le prostitute, gli scioperanti, gli occupanti, i disoccupati, i centri sociali o i precari. Uomini della cosiddetta "tolleranza zero" estremamente tolleranti e comprensivi, invece, quando sul banco degli imputati devono sedere loro o i loro compari e complici.
In quei giorni, di lì a poco, la diedi su. Ne avevo già viste troppe di cose bastarde e immerse nel sangue, e poi quella pelle bruciata dei ragazzi mi spingeva lontano, quasi a volermi dire che il senso della vita non si eredita, ti salta addosso dal davanti, quando vuole, o quando vuoi, se vuoi svuotarti.
Ora non passa sera senza un saluto a Deborah, Laura, Sara, Laura, Tiziana, Antonella, Alessandra, Dario, Elisabetta, Elena, Carmen, Alessandra. E agli altri amici, compagni, persi nel sangue. E mi sento ancora là, con loro, eppure mi spingono qui, nel mercato della speranza, che è sempre vestita di stracci, e dove il Dio in cui spero mi dice che il male non revoca il bene.
Sì, era una mattina bellissima, quel 6 dicembre, fredda, ma piena di un sole che non aveva paura dell’inverno. Come questa di oggi, sembrava quasi invocare una festa, forse sono in credito di una festa dal Cielo, prima o poi lo riscuoterò, spero in un mattino come questo.
* Dal 1980 al 1991 è stato assessore alla sanità e ai servizi sociali del Comune di Casalecchio di Reno. Il giorno della strage fu incaricato di accompagnare i genitori delle vittime alla camera mortuaria per il riconoscimento dei corpi carbonizzati dei loro figli. Il 18 gennaio 1991, giorno dell’attacco Usa all’Iraq nella prima guerra del Golfo, si dimette e dopo poco diventa frate.
Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.
Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!