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IN VENEZUELA FALLISCE LA STRATEGIA DELL’OPPOSIZIONE. E DEI VESCOVI

Tratto da: Adista Notizie n° 2 del 19/01/2013

37005. CARACAS-ADISTA. Neppure questa volta ha avuto successo l’offensiva dell’opposizione venezuelana contro Hugo Chávez, in cui, al solito, ha giocato un ruolo non di poco conto anche la Conferenza episcopale. Si è risolto infatti a favore del governo il braccio di ferro sulla corretta interpretazione del dettato costituzionale riguardo alla questione della mancata presenza del presidente – ancora alle prese con un’insufficienza respiratoria causata da una grave infezione polmonare successiva al delicato intervento chirurgico dell’11 dicembre scorso (v. Adista n. 47/13) – alla cerimonia di insediamento del 10 gennaio, la data prevista per l’inizio del nuovo mandato presidenziale (2013-2019). Se l’opposizione insisteva, per scongiurare un vuoto di potere, sulla necessità che Diosdado Cabello, appena riconfermato a capo dell’Assemblea Nazionale, assumesse la presidenza ad interim per poi convocare entro 30 giorni nuove elezioni (cercando con ciò anche di diffondere voci su una presunta contrapposizione - in realtà smentita dai fatti - tra Cabello e il vicepresidente Nicolás Maduro, designato da Chávez come suo successore), il governo definiva invece la cerimonia di insediamento una mera formalità rispetto alla priorità rappresentata dall’obbedienza alla volontà popolare espressa nelle elezioni del 7 ottobre scorso (v. Adista Notizie nn. 31 e 37/12). In ciò richiamandosi all’articolo 231 della Costituzione (il quale stabilisce che, «se per qualunque imprevisto, il/la presidente della Repubblica non può prestare giuramento dinanzi all’Assemblea Nazionale, lo farà presso il Tribunale», senza indicare limiti temporali) e ponendo l’accento sull’assenza di un vuoto di potere, essendo Chávez allo stesso tempo il presidente uscente e il nuovo presidente eletto. Ebbene, nella sua sentenza del 9 gennaio, la Sala Costituzionale del Tribunale Supremo di Giustizia (Tsj) ha chiarito, dando ragione al governo, che l’insediamento potrà avvenire successivamente al 10 gennaio, presso il Tsj, come previsto dall’articolo 231, e ciò per il fatto che, in virtù della rielezione di Chávez, «non esiste interruzione nell’esercizio della carica». E che tale atto sarà fissato dallo stesso Tribunale nel momento in cui verrà meno il «motivo sopraggiunto» che ha determinato la sua assenza (assenza, peraltro, autorizzata dall’Assemblea nazionale, che, all’unanimità, dunque anche con i voti dell’opposizione, ha concesso al presidente il permesso di recarsi a Cuba per il necessario trattamento medico). 

Rispetto per la Costituzione a fasi alterne
Sulla vicenda è intervenuta con decisione anche la Conferenza episcopale, il cui presidente, mons. Diego Padrón, ha rivolto, tre giorni prima della data prevista per l’insediamento, un appello al rispetto scrupoloso della Costituzione: «È un momento difficile e incerto in cui si rischia di condurre il Paese verso un crocevia pericoloso», ha sottolineato Padrón, precisando che l’assemblea dei vescovi non avrebbe voluto «intervenire sull’interpretazione della Carta fondamentale», ma che era stata costretta a farlo in difesa del «bene comune», essendo moralmente inaccettabile «ogni possibile tentativo di manipolazione della Costituzione a favore degli interessi di una parte politica e a danno della democrazia e dell’unità del Paese». E su quale fosse il destinatario dell’appello mons. Padrón non ha voluto proprio lasciare dubbi: è chiaro – ha detto, rivelando una totale coincidenza con l’opposizione – che il posticipo dell’insediamento creerebbe un vuoto di potere, in quanto, in base «alla lettera e allo spirito» della Carta costituzionale, il 10 gennaio si concluderebbe l’attuale mandato e ne comincerebbe uno nuovo. Come se non bastasse, il presidente della Conferenza episcopale, evidentemente ignorando i numerosi e per nulla generici bollettini medici diffusi dal governo, ha dichiarato che «la popolazione è confusa e in buona parte irritata», non avendo «fino ad oggi ricevuto ufficialmente» informazioni sulle condizioni di Chávez. «È necessario – scrivono i vescovi venezuelani nel loro comunicato dell’8 gennaio – che le autorità informino con chiarezza e verità sullo stato e sull’evoluzione della salute del presidente, trattandosi di un tema d’interesse pubblico. Le valutazioni di un’équipe medica costituita da professionisti venezuelani potranno chiarire le incertezze». E, già che c’erano, i vescovi hanno denunciato anche «la mancanza di condizioni di equità nel processo della campagna elettorale» (e ciò malgrado l’80% dell’offerta informativa fosse nelle mani dell’opposizione) ed espresso preoccupazione sul «carattere ideologico» di quell’«insieme di leggi, denominate del “Potere Popolare”», che introducono «concetti come “socialismo” e “Stato comunale” non contemplati nella Costituzione», mantenendo il solito, assoluto, silenzio nei confronti delle innegabili conquiste del governo, riconosciute esplicitamente da istituzioni internazionali al di sopra di ogni sospetto di parzialità, dall’Unesco al Cepal (la Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi, una delle cinque commissioni regionali delle Nazioni Unite).
Ironico il commento di Cabello: «La Conferenza episcopale – ha detto – deve aver rivolto il suo invito (a non manipolare la Costituzione, ndr) ai signori dell’opposizione: sì, deve averlo indirizzato a loro e agli esponenti della gerarchia ecclesiastica che presero parte al colpo di Stato del 2002».

Chávez, patrimonio dell’America Latina
Ma la risposta più convincente ai vescovi è giunta dallo stesso popolo venezuelano – evidentemente non così confuso e irritato come vorrebbe mons. Padrón – che, in un’oceanica manifestazione convocata dal governo a sostegno di Chávez proprio per il 10 gennaio, ha pronunciato il suo giuramento solenne: «Giuro sulla Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela di essere assolutamente fedele ai valori della Patria, e assolutamente fedele alla leadership del comandante Hugo Chávez. Giuro di difendere questa Costituzione, la nostra democrazia popolare, la nostra indipendenza e il diritto a costruire il socialismo nel nostro Paese». Un giuramento espresso alla presenza di tutti i ministri del governo, di governatori e dirigenti politici, di rappresentanti e autorità di ben 22 Paesi dell’America Latina e dei Caraibi, tra cui il presidente della Bolivia Evo Morales, quello dell’Uruguay José Mujica, quello del Nicaragua Daniel Ortega. La salute del presidente, ha dichiarato Morales, «non è una preoccupazione esclusiva del popolo venezuelano», ma di tutti i popoli in lotta contro l’imperialismo: «La migliore forma di solidarietà nei suoi confronti – ha precisato – è l’unità tra i nostri Paesi». Sulla stessa lunghezza d’onda anche l’ex presidente del Paraguay Fernando Lugo, rovesciato da un colpo di Stato parlamentare lo scorso giugno: il presidente venezuelano, ha detto, non è patrimonio soltanto del Venezuela. Chávez appartiene all’Argentina, all’Ecuador, al Paraguay, ai Caraibi e all’America Latina tutta. È il nostro Chávez».
E non poteva mancare la dichiarazione del vicepresidente Nicolás Maduro, il quale, ricordando come a favore della sentenza del Tribunale Supremo di Giustizia si sia espresso, secondo i dati di un sondaggio, il 68% della popolazione, ha affermato che i candidati della destra «non riusciranno a capire il popolo neppure fra 500 anni, in quanto nelle loro vene scorre il sangue dell’oligarchia», e ha accusato l’opposizione, di fronte alle sue minacce di realizzare uno sciopero generale a oltranza (diretto in particolare a bloccare le forniture di alimenti), di voler destabilizzare il Paese approfittando dei problemi di salute del presidente Chávez. (claudia fanti)

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