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CATTOLICO-DEMOCRATICHE, AUTONOME E RIFORMISTE. LE ACLI MILANESI SI SMARCANO DA OLIVERO

Tratto da: Adista Notizie n° 4 del 02/02/2013

37020. MILANO-ADISTA. È un po’ quello che succede nelle maggiori organizzazioni sindacali confederali. Dopo aver compiuto i due mandati “canonici”, per il segretario generale uscente si trova quasi sempre uno scranno parlamentare che consenta, spesso con una certa disinvoltura, il passaggio dall’attività sindacale a quella politica. Qualcosa di analogo avviene, ormai da tempo immemorabile, anche nelle Acli. Dapprima si trattò di scelte di rottura, come quella di Livio Labor che nel 1969 lasciò la presidenza delle Acli, sul punto di fare la “scelta socialista”, per fondare l’Acpol (Associazione di Cultura Politica) che si sciolse alla vigilia delle elezioni del 1972, per partecipare alle quali Labor fondò il Movimento Politico dei Lavoratori (Mpl, poi in gran parte confluito nel Psi). Poi l’ingresso in politica degli ex presidenti delle Acli divenne quasi una regola. Negli anni successivi, infatti, con la sola eccezione di Emilio Gabaglio, presidente dal 1969 al 1972, tutti i presidenti aclisti hanno assunto cariche politiche. Marino Carboni, presidente dal 1972 al 1976, e Domenico Rosati (1976-1987), ottennero un seggio come senatori della sinistra democristiana; Giovanni Bianchi fu eletto deputato nelle liste del Ppi alle politiche del 1994, dopo essere stato presidente per più di sette anni; Franco Passuello, che ai vertici delle Acli ci restò per un solo quadriennio, rispose alla fine del 1998 alla chiamata di Veltroni, che lo voleva responsabile dell'organizzazione di un partito che intendeva “traghettare”, da semplice forza politica post comunista, a quel «partito plurale» battezzato nel 2000 al congresso del Lingotto (quello della cosiddetta “Cosa2”). Nel 2001 Passuello ebbe anche una candidatura alla Camera, ma si trattava di un collegio difficile (Aprilia, vicino Roma) per la quota maggioritaria e in Parlamento non ci arrivò mai. Decisamente meglio andò al piemontese Luigi Bobba, presidente dal 1998 al 2006, che non fece in tempo a completare il suo mandato che già era stato nominato (perché nel frattempo la legge elettorale era cambiata e si votava col “Porcellum”) al Senato con i Ds, area “teodem”, stretta vicinanza al card. Ruini. Per poi passare, nelle politiche del 2008, alla Camera dei Deputati. Cinque anni dopo, le porte delle aule parlamentari si aprono anche per il delfino-successore di Bobba, Andrea Olivero. Piemontese anche lui, presidente nazionale delle Acli dal 2006 al 2012, Olivero si è anticipatamente dimesso per aderire alla “Lista civica con Monti per l’Italia”. Sarà capolista al Senato nella sua Regione.

L’associazione non ci sta
Ad ogni tornata elettorale, la candidatura di esponenti di spicco delle Acli suscita sempre qualche malumore nella base e nelle strutture territoriali. Quella di Olivero ne ha suscitato però qualcuno in più, poiché l’ormai ex presidente delle Acli aveva sottoscritto il manifesto “Verso la Terza Repubblica” di Montezemolo ed aveva parlato dal palco della convention organizzata nel novembre scorso dal presidente della Ferrari quando era ancora nel pieno delle sue funzioni. Una circostanza che fece storcere la bocca a molte organizzazioni territoriali acliste, che si sentirono tirate, loro malgrado, dentro il progetto montiano senza essere state nemmeno consultate. Nelle ultime settimane, diverse realtà provinciali (come quelle di Trieste e di Arezzo) hanno sentito quindi l’esigenza di ribadire la loro piena autonomia rispetto alle scelte del presidente uscente. Ultime a mettere nero su bianco il proprio distinguo rispetto alla candidatura di Olivero (che si è formalmente dimesso solo a dicembre) sono le Acli di Milano, in un documento approvato dal Consiglio provinciale il 14 gennaio scorso. Il giudizio sul governo Monti è assai tiepido. Lo si definisce «un momento forse inevitabile di decantazione e di realizzazione di scelte legislative e di governo che si collocavano nella direzione di ridare al nostro Paese quella credibilità ed affidabilità internazionale che il precedente governo aveva dissipato». Si rileva però, subito dopo, che nel Paese è evidente una «crescita delle disuguaglianze sociali a tutti i livelli e a tutte le latitudini, che si riflette sulla società in termini di mancata crescita economica, di contrazione e impoverimento del mercato occupazionale e di riduzione delle garanzie dello Stato sociale». Nel declinare le proprie proposte per un rilancio del Paese, poi, le Acli milanesi evidenziano ancora di più la loro distanza dall’agenda Monti, cui contrappongono «una agenda sociale in grado di assicurare lavoro, equità, solidarietà verso i più deboli, lotta alla povertà e un forte impegno per la pace e il disarmo». Il documento individua infatti priorità come il reddito di cittadinanza, gli investimenti nella scuola, nella ricerca e nell’università, la difesa dei principi di solidarietà e di sussidiarietà (in merito al modo con cui il governo regionale ha declinato questo principio le Acli aggiungono però con tono critico che «il danaro pubblico è servito ad incentivare, spesso a remunerare integralmente funzioni svolte soprattutto da soggetti “amici”, seppure appartenenti al privato o al privato sociale»), promozione della cultura della legalità, «anche attraverso una politica capace di porre in atto adeguate misure di contrasto nei confronti della corruzione e dell’evasione fiscale», riduzione delle spese militari.
Nella parte finale del documento, le Acli «riaffermano con orgoglio e determinazione la propria autonomia, che si fonda sulla capacità di avere un ampio e plurale dibattito interno, di fare proposte puntuali e condivise, di attuare concretamente azioni sociali coerenti con la propria idealità – costantemente ispirata dall’insegnamento sociale cristiano – senza aderire a partiti politici e liste elettorali». Evidente il riferimento ad Olivero ed alla sua scelta, implicitamente criticata anche nel successivo passaggio, quando le Acli milanesi, che pure fanno gli auguri ai propri ex dirigenti che hanno scelto di fare politica, auspicando che attraverso il loro nuovo impegno realizzino i «contenuti programmatici e le istanze ideali dell’associazione», chiariscono che autonomia non significa equidistanza e che le Acli si collocano saldamente nel contesto riformista, perché esse «sono state e sono parte fondamentale del cattolicesimo sociale e democratico italiano». (valerio gigante)

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