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La Cei, le elezioni e l’eclissi della profezia

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 6 del 16/02/2013

Risultata impraticabile, in questa fase, la strada del centro cattolico moderato, o meglio clerico-moderato – sempreverde nella storia ecclesiastica e civile, non solo italiana –, la gerarchia cattolica è sembrata adeguarsi, nel recente Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana (v. Adista Notizie n. 5/13, ndr), all’incontrovertibile dato di fatto del pluralismo delle opzioni politiche ed elettorali dei fedeli. Più evidente, questa volta, per le candidature in diverse liste elettorali dei responsabili stessi di organizzazioni e movimenti di area cattolica (v. Adista Notizie n. 4/13), pur con il fragile paravento dell’impegno “a titolo personale”.
L’orientamento dei vescovi ha preso corpo, oltre che in un fermo appello al «dovere irrevocabile» di partecipare al voto, nel «rilancio – com’è detto nel comunicato finale – della proposta cristiana per una visione antropologica e sociale», esposta nella prolusione del card. Bagnasco. Più che una “proposta”, un insieme articolato di stringenti “linee guida” sulle questioni aperte nell’attuale momento storico, sociale ed elettorale. Con indicazioni perentorie sul coacervo dei problemi riconducibili alla «questione antropologica», definita dal presidente della Cei «il cuore della prova»: dalla vita alla famiglia, dalla libertà di coscienza e di educazione alla scuola, ma anche al lavoro, all’indigenza, alla giustizia e alla pace. Ambiti in cui sono in gioco «valori fondativi e quindi irrinunciabili dell’umano», «principi basilari, dunque non negoziabili», intorno ai quali «reticenze o scorciatoie non sono possibili». Pertanto, «la Chiesa (…) a quanti sono in campo osa oggi richiedere parole chiare circa le proprie personali intenzioni, e alle formazioni politiche l’impegno su programmi espliciti», puntualizzando che «su questi principi i cattolici sanno che non esiste compromesso o mediazione comunque si voglia chiamare».
Nondimeno, nella riproposizione della dottrina cosiddetta dei «valori non negoziabili» è dato notare – insieme alla consueta argomentazione circa il loro carattere non confessionale, ma razionale e naturale – l’inedita loro configurazione anche come «determinazioni storico-pratiche», con l’estensione del loro fondamento «nella nostra stessa Costituzione». Ma l’apertura di uno spiraglio di confronto, pur leggibile nel riferimento alla Costituzione – che è di per sé spazio di condivisione della comune cittadinanza – cade prontamente, più che per la contestuale riaffermazione della non negoziabilità, per l’assunto che si tratta qui di «ciò che essa (la Chiesa, ndr) ha individuato come valori fondamentali, costituivi e non negoziabili dell’esistenza umana». L’affermazione del carattere «non divisivo», ma «unitivo» di tali valori, in quanto antropologicamente costitutivi dell’umano, si risolve così in petizione retorica, a fronte dell’implicita riproposizione – propriamente dogmatica e confessionale – del magistero ecclesiastico quale unico ed autentico interprete dei «valori fondamentali» o «principi basilari» e giudice ultimo della coerenza delle loro «determinazioni storico-pratiche».
Non per nulla, nella prolusione del presidente della Cei non v’è eco di una Chiesa «popolo di Dio», in cammino nella storia, che si fa umanamente partecipe dello smarrimento, delle preoccupazioni e degli interrogativi degli uomini e delle donne del nostro tempo alle prese con le sfide della cosiddetta «biopolitica» e della globalizzazione. Per una ricerca comune all’umanità in ricerca, dentro e fuori della Chiesa. Né vi è cenno alcuno ad un’associazione a questa ricerca, nella Chiesa, dei fedeli. Il laicato cattolico neppure viene menzionato. Una Chiesa gerarchica che si autopercepisce e presenta come “agenzia di pronunciamenti” e che, pur solennemente dichiarando che «è Gesù Cristo che noi vogliamo porgere», finisce col ridurre la «proposta cristiana» – tra il «primato antropologico» assunto a paradigma veritativo e l’oscuramento dell’annuncio evangelico nelle nebulose della «biopolitica», del «biodiritto» e della «bioeconomia» – a puro e semplice “codice etico”, senza più spazio per la profezia. Meno che mai per i carismi e la profezia dei Christi fideles laici (per altro silenti, quand’anche candidati).

* Presidente della Fondazione Ermanno Gorrieri per gli studi sociali

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