Una Chiesa senza capi
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 13 del 06/04/2013
Presentiamo tre articoli provenienti dalla Chiesa di base: la Comunità di San Francesco Saverio all’Albergheria di Palermo, la parrocchia di Santo Stefano a Paterno di Bagno a Ripoli (Fi) e la Comunità dell’Isolotto di Firenze. Tranne quello dell’Isolotto, più recente, gli altri due interventi sono stati scritti dopo le dimissioni di Benedetto XVI, prima dell’elezione di papa Francesco. Tuttavia rimangono di grande attualità, perché denunciano punti dolenti ed evidenziano nodi da sciogliere per la rigenerazione della Chiesa: una sorta di “agenda” per il nuovo papa.
Quello che, in coscienza e piena libertà, noi vorremmo è che il papa fosse eletto da un Conclave ispirato e non condizionato dagli interessi di questa o di quella fazione; che fosse tanto coraggioso da riformare la Curia romana e lo Stato del Vaticano, impegnando anche la sua vita; che abrogasse ogni eccessivo, inutile e anacronistico apparato e che riponesse la Chiesa nella direzione della povertà e verso i poveri la orientasse, rendendola essenzialmente spirituale.
Vorremmo che allontanasse se stesso e la Chiesa dai “poteri forti” e rimettesse il Vangelo al centro del suo impegno. Che fosse una guida per il popolo di Dio, come lo fu Pietro, e che condividesse le sue responsabilità con un collegio di vescovi, meglio se scelti elettivamente dal popolo dei cristiani. Capace di mettersi in discussione, con i propri limiti, uguali a quelli di ogni persona umana. Che non avesse bisogno di uno Stato né di un potere temporale. Che non si chiamasse “Santità”, ma vivesse santamente, uomo tra gli uomini, come un semplice prete, consapevole dei bisogni umani come un novello Gesù che ritornasse a parlare del nuovo comandamento: «Amatevi come io ho amato voi». Che parlando di amore, lo facesse con la tenerezza, la dolcezza, la mitezza, la ragionevolezza, ma anche la fermezza e la tenacia di una madre e non solo di un padre. Che parlando di amore, si rivolgesse al creato intero, senza pregiudizi, capace di parlare ai bambini e ai giovani, ai diseredati e ai poveri, ai divorziati e agli omosessuali, alle donne violentate ed uccise e agli uomini che muoiono in guerre crudeli ed inutili. Vorremmo che fosse solamente un padre semplice, accogliente, umile e generoso.
Vorremmo che non coprisse e non permettesse che nella Chiesa fossero nascosti crimini commessi a danno di persone deboli e indifese. Vorremmo che non fosse un monarca assoluto, ma il testimone di una comunità, il saggio che coglie il pensiero collegiale e che ne indirizzi la realizzazione. Che aiutasse la Chiesa a cambiare dal basso, facendo contare ogni anima così come ogni voto conta in democrazia. Che fosse consapevole che non devono più esistere “padri” titolati ad insegnare e “figli” che debbano obbedire, ma persone che cercano di esprimere la bellezza del proprio essere, in questa “passeggiata terrena”.
Vorremmo che fosse un cristiano, al servizio della Chiesa e del popolo di Dio, che svolgesse un ruolo di garanzia del messaggio evangelico e che facesse «comprendere sempre di più il ministero di Pietro come il servizio di colui che, incaricato di pascere il gregge di Dio, lo guida con una carità senza limiti e lo custodisce nell’unità lungo i sentieri del tempo e della storia».
Quello che, in coscienza e piena libertà, noi non vorremmo è continuare a vedere nella Chiesa un rapporto di supremazia-subordinazione, superiorità-inferiorità, di maturità-immaturità che nell’unico testo da cui attingere per vivere l’esperienza cristiana non si rinviene. Nel Vangelo, il Figlio di Dio non assume alcun ruolo verticistico-apicale rispetto agli altri esseri umani. Egli è uomo tra le donne e gli uomini. Dio nella figura di Gesù Cristo, assume la natura mortale per rendersi Uomo e condividere con le donne e gli uomini l’esperienza della vita, della morte.
Se questo è il principio della nostra Chiesa nessuna spiegazione trova il ruolo del papa, come è stato disegnato nella storia, così come nessuna spiegazione trovano i privilegi di cui egli gode attualmente.
Allora forse ci si dovrebbe interrogare non solo sul tema del papa che non vorremmo, ma anche del papato che non vorremmo. Pertanto, se si assume a fondamento dell’esperienza cristiana il Vangelo e l’esperienza dei dodici apostoli e della loro condivisione, non parrebbe tanto strana l’idea di una Chiesa in cui il papa fosse il “coordinatore” e il garante di una Chiesa sinodale, senza vertice, in cui trovino espressione i diversi Sinodi delle diverse provenienze geografiche. Si creerebbe una circolarità e quindi una ricchezza che, attualmente, alla Chiesa istituzione dei nostri giorni manca.
Sarebbe una nuova rivoluzione copernicana. Il ritorno della Chiesa ai fedeli e alle comunità. Una Chiesa senza papa-monarca assoluto, una Diocesi senza un vescovo imposto ma eletto, una parrocchia senza parroco nominato ma scelto, una Chiesa dei cristiani adulti, in cui i preti siano essi stessi cristiani adulti alla stregua dei laici, senza riconoscimento di nessuna posizione di privilegio o di vertice.
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