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AL CROCEVIA DEL 24 MARZO

Tratto da: Adista Documenti n° 14 del 13/04/2013

MEMORIA NEL SEGNO DELLA SPERANZA DI UNA CHIESA POVERA E MILITANTE
La storia ha dei cardini, dei momenti che aprono nuove possibilità e nuovi tempi. Questi cardini storici sono costruiti dai popoli in lunghi processi di vita, di lotta e di morte. (…).
E quando si schiudono nuovi tempi, gli esseri umani si trovano di fronte a un nuovo crocevia, cioè un incrocio di strade, con pericolo di imboscate e momenti di discernimento per prendere la decisione giusta dinanzi al pericolo. E oggi qualunque essere umano aperto al dolore di questo mondo avverte  nei nuovi venti l’imminenza di un uragano che interpella ed esige opzioni e impegni radicali.
L’America Latina, i suoi 30mila anni di popoli originari e i suoi 500 anni di resistenza, sono la chiave di lettura per due geografie e un solo calendario. Un giorno che condensa tutti i crocevia: il 24 marzo. Due regioni le cui storie scandiscono la storia del continente: Argentina ed El Salvador. (…).

ARGENTINA, 24 MARZO 1976
«Si comunica alla popolazione che, a partire dalla data attuale, il Paese si trova sotto il controllo operativo della Giunta dei comandanti generali delle Forze Armate. Si raccomanda a tutti gli abitanti la stretta osservanza…» (Comunicato n. 1 della Giunta Militare).
A metà degli anni Settanta, e dopo più di due decenni di ininterrotta violenza, le forze dell’impero nordamericano (con la sua strategia repressiva per tutta l’America Latina) e i suoi complici locali del potere militare e civile assestarono il colpo di Stato finale. Il sesto del secolo e senza alcun dubbio il più criminale. Lo scontro tra le forze sociali e quelle economiche, tra il potere operaio e il potere del capitale, fu drammaticamente risolto a favore del secondo. Nascondendosi dietro una presunta lotta contro il pericolo “rosso” internazionale si cercò di piegare l’organizzazione operaia, smantellando l’apparato produttivo e disarticolando anche il tanto “peronista” stato del benessere.
Con un esercizio inusitato di violenza per seminare il terrore, si è messo in marcia il processo di disciplinamento più violento di tutta la storia argentina. 30mila casi di desapariciones, tra torture, stupri, fucilamenti e campi di sterminio. Un vero genocidio “pianificato” si è fatto strada nella storia di questo Paese del sud (come nella maggior parte dei Paesi del Cono Sur). Il Terrorismo di Stato si è preso il meglio – la parte più militante e cosciente – di due intere generazioni.
La Chiesa cattolica argentina, a differenza di qualcuna di quelle dei Paesi vicini, benedisse il golpe, facendosi promotrice “del bagno redentore di sangue” e del “necessario ristabilimento con la forza dei valori cristiani e occidentali”. Fu complice strutturale del massacro, almeno nel nucleo più duro e reazionario della gerarchia. Insieme a tutte le forze dell’ordine, la gerarchia ecclesiastica riteneva che tutto quello che avesse a che fare con la lotta contro la povertà e l’ingiustizia dovesse essere perseguitato ed eliminato come sovversivo e comunista.
Non fu possibile tuttavia imporre l’obbedienza dovuta, neppure all’interno della Chiesa. Una parte importante delle basi ecclesiali confermò il suo deciso accompagnamento dei settori più poveri e delle lotte dell’immensa maggioranza. Non abbandonò il Paese né claudicò. Non si piegò al silenzio. Nel momento della croce, quando la morte incombeva e i proiettili sfioravano il petto, rimase con il popolo. Vescovi come Angelelli o De Nevares, intere congregazioni religiose come i Passionisti, i Pallottini, gli Assunzionisti o i Piccoli fratelli di Gesù, le indomite suore francesi o i gesuiti Yorio e Jalics, le catechiste delle periferie povere come Monica Mignone o Fatima Cabrera: furono centinaia (migliaia!) i militanti cristiani che, nel crocevia del 24 marzo non scelsero l’osservanza. Optarono per dare la vita o, almeno, per correre infiniti rischi. Bere il calice della passione. Per amore dei poveri, per amore del Vangelo.
37 anni dopo, camminando lentamente verso il sole della giustizia, ogni pezzo del rompicapo si è andato sistemando. Grazie alla verità dei processi (santa conquista dei fazzoletti bianchi!), ha cominciato a rivelarsi il senso del passato, del molto che si è fatto e dei sogni e delle speranze a cui si pose fine.
E si va anche chiarendo il ruolo di tanti. Perché non tutti furono eroi, o martiri, o traditori, o assassini. In mezzo alla feroce dittatura, molti uomini e donne che sapevano quanto stava accadendo saltarono il crocevia senza, apparentemente, porre così in pericolo le proprie vite. E per quanto non fossero difensori dei diritti umani, neppure furono complici della dittatura o genocidi. Per pressione, per strategia di sopravvivenza, per paura o semplicemente per eccesso di prudenza… fecero “quello che era possibile in ciascun luogo”. Solo chi ha vissuto quei tempi può dar conto di quanto fosse difficile attraversarli. Difficile, doloroso e complesso. Forse il cardinal Bergoglio – all’epoca provinciale gesuita – potrebbe essere uno di loro.

EL SALVADOR, 24 MARZO 1980
«Voglio assicurarvi, e chiedo le vostre preghiere per essere fedele a questa promessa, che non abbandonerò il mio popolo ma che correrò con esso tutti i rischi che il mio ministero esige» (monsignor Romero, 11.11.1979).
«Il cuore di El Salvador segnava 24 di marzo e di agonia», dice il poeta-profeta dom Pedro Casaldáliga. Un vile proiettile pagato dall’Impero e lanciato dai sicari di sempre uccide l’arcivescovo di San Salvador.
Il Paese bruciava all’inizio di una guerra civile che uccise più di 75mila salvadoregni. Il popolo aveva esaurito tutti i cammini istituzionali negli anni Settanta e i militari al potere da oltre 40 anni realizzavano continuamente frodi e bagni di sangue contro questo popolo che chiedeva soltanto giustizia e che lottava per la sua dignità. La rabbia si organizzò dando origine ai grandi gruppi guerriglieri, i quali, unificati nel 1980 nel FMLN, sfidarono l’esercito. La carne del popolo venne triturata, bruciata, calpestata… i poveri tornarono a sacrificare le loro vite e il più piccolo Paese dell’America pianse fiumi di sangue. È a quel tempo, in questo crocevia, che donò la sua vita monsignor Romero.
Il 24 marzo 1980 Romero moriva assassinato. Ma questa non fu la sua prima morte. L’arcivescovo Romero moriva per la prima volta il 13 marzo 1977. Quel giorno, padre Rutilio Grande veniva massacrato insieme a Manuel Solorzano, 72 anni, e a Nelson Rutilio Lemus, 16. Il sangue del suo popolo aprì gli occhi al pastore: non era possibile essere discepoli del crocifisso senza mettersi dalla parte del popolo crocifisso. Questa fu la sua prima morte, in cui a morire fu la comodità delle case di lusso e delle grandi abbuffate, a favore della difesa dei più poveri, degli ultimi, dei ridotti a nulla. Nel crocevia della violenza degli anni Ottanta, Romero offrì la sua vita risuscitando, per sempre, nel suo popolo.
33 anni dopo, il 24 marzo è il giorno per ricordare la dignità e la verità delle vittime. Verità che è ancora negata nei tribunali del Paese, ma che è la luce che illumina la speranza di questo popolo verso la sua vera libertà.

IL NUOVO CROCEVIA, QUELLO DI SEMPRE: 24 MARZO 2013
«Un ritorno ai poveri per amore è un ritorno al Vangelo» (Ignacio Ellacuría, teologo e martire).
Nel 2013, questo giorno così speciale non è per la Chiesa un giorno qualunque. Il 24 marzo coincide con la Domenica delle Palme… memoria, impegno e profezia di un pescatore di Galilea che nei crocevia del suo tempo optò per radicalizzare l’accompagnamento del popolo. E di fronte ai potenti… l’audacia. La coscienza dell’ingiusto stato delle cose, del massiccio impoverimento del popolo, della repressione permanente dell’impero per mantenere l’ordine e la pace e, soprattutto, la coscienza del tradimento permanente dei rappresentanti del Tempio, che avevano fatto di una religione liberatrice come quella ebraica un elemento di oppressione… tutto ciò condusse Gesù alla decisione di recarsi a Gerusalemme, città santa ma anche centro ebraico del potere, per smascherarli pubblicamente.
Gesù sapeva che ciò che fino ad allora era stato un cammino si sarebbe ora trasformato in destino. Sapeva che ciò che lo aspettava era la croce. La decisione prese forma la Domenica delle Palme. Burlandosi del potere imperiale, che entrava su grandi destrieri nelle città invase o conquistate, fece ingresso nella città santa sul dorso di un asino insieme alla gente impoverita che lo accompagnava. Non eluse, pur potendo farlo, il conflitto conseguente alla sua opzione per gli oppressi. E se la realizzazione del progetto esigeva la morte, così avrebbe fatto. Ed,  evidentemente, così fece. Il suo dono di sé mise a nudo il suo radicale amore per gli impoveriti, smascherando allo stesso tempo gli oppressori di sempre e il loro potere maledetto.
Di nuovo 24 marzo. Ed è 24 marzo in un’altra America Latina. Piuttosto diversa dall’America di Romero e da quella dei desaparecidos. Dopo i neoliberisti e privatizzatori anni Novanta, la resistenza è tornata a ricomporre il tessuto sociale, a generare proposte e a costituirsi come nuovo soggetto storico. (…).
È 24 marzo in questo nostro mondo: un mondo profondamente minacciato dalla violenza di un impero disperato per la perdita di egemonia, per una crisi finanziaria che spinge gli Stati del mondo a salvare le banche e non gli esseri umani e per la crisi eco-sistemica che pone in pericolo la vita del pianeta per l’ambizione dei potenti. In questo contesto il crocevia diventa evidente, necessario ed urgente.
E la Chiesa, lievito per il cambiamento e sale di questo mondo, si trova di fronte al suo sempre nuovo crocevia, alla stessa Domenica delle Palme, la stessa di ogni 24 marzo: la complicità con il potere oppressore o l’impegno martiriale con i poveri, per amor del Vangelo, per il sempre sospirato sogno della realizzazione del Regno di Dio su questa terra benedetta.
Più che mai riaffermiamo, insieme ai desaparecidos di tutti i tempi, che la nostra speranza non è riposta nei grandi personaggi ma nei popoli che scrivono la storia. In tutti coloro che lottando ci hanno preceduto. Seguendo i loro passi, affrontiamo il crocevia. Per questo ci permettiamo di correggere Machado (autore del celebre verso “camminante, non c’è cammino, il cammino si fa camminando”, ndt) dicendo: “Camminante/militante, c’è sì il cammino, quello di quanti ci hanno preceduto nella lotta”.
24 marzo che è anche Pasqua, il passaggio glorioso dalla morte alla vita. Come 2mila anni fa lo hanno vissuto comunitariamente donne emarginate e pescatori; come oggi lo vivono le vittime del terrorismo di Stato in Argentina; come oggi lo sentono i cristiani nelle cui vite risuscita Romero… così allo stesso modo attendiamo che questo mondo resusciti e che la Chiesa rifiorisca tornando ai poveri per amore.

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