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UNA SPADA AFFILATA

Tratto da: Adista Documenti n° 14 del 13/04/2013

«Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla Terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada». Queste parole cadono come un macigno su coloro che da una vita si dedicano a costruire la pace. È uno tra i detti più difficili di Gesù, soprattutto per chi ha cercato di spendersi a ricucire piuttosto che a strappare. A rammendare invece che a buttare, a mettere insieme anziché a disperdere. A tessere invece che a separare. È una parola difficile perché evoca uno spettro che non riusciamo ad allontanare, quello di un cristianesimo che quella spada l’ha presa, l’ha alzata, l’ha usata per colpire il nemico di turno. Di un cristianesimo che ha usato tutte le armi a disposizione per imporre una sua presunta superiorità. Di Chiese che brandiscono una morale intransigente per uccidere donne e uomini.
«Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla Terra, ma una spada». Che cosa fare di questo testo? Guardarlo prima nel suo contesto e poi nel nostro contesto di questa sera. Allora il contesto era l’invio in missione dei suoi discepoli chiamati a scacciare gli spiriti immondi e a guarire qualunque malattia. Tutto il capitolo 10 di Matteo è dedicato a questo tema: l’invio, il contenuto, le modalità, le conseguenze della missione. Andate e predicate e dite che il Regno dei cieli è vicino.
Stasera invece il nostro contesto è la celebrazione ecumenica di mons. Romero e di altri e altre come lui che, inviati come pecore in mezzo ai lupi, hanno pagato con la propria vita. La spada quindi non può che essere la conseguenza di una missione fedelmente compiuta. La reazione di coloro che quel messaggio non vogliono sentire. Che quei cambiamenti non vogliono effettuare. Che quella giustizia non vogliono perseguire. D’altronde, come dice ancora il nostro brano, un discepolo non è superiore al suo maestro. Se hanno odiato lui, se hanno fatto di tutto per metterlo a tacere, per farlo fuori, non lo faranno anche con i suoi seguaci? Più ci avviciniamo alle memorie pericolose di un uomo che si era rivelato pericoloso, Gesù, e più siamo a rischio. Più siamo fedeli al mandato datoci da Cristo, contestando i poteri di questo mondo, più saremo nel loro mirino.
Ma che cos’è la spada che è venuto a portare Gesù? È solo l’immagine del destino che accomuna Oscar Romero e Martin Luther King? Marianella García Villas e Enrique Angelelli? O è anche qualcos’altro? Per rispondere a queste domande ci rivolgiamo al libro che più di tutti ama le separazioni nette e le divisioni definitive: l’Apocalisse. Al primo capitolo il Cristo risorto viene raffigurato con una spada che esce dalla sua bocca. «Dalla bocca gli usciva una spada affilata a doppio taglio e il suo volto somigliava al sole quando splende in tutta la sua forza».
È una visione grottesca: quando mai si è portata una spada in bocca? Con la bocca si proclama, si protesta, si prega, tanto che altrove scopriamo che ad essere più efficace, «più affilata di qualunque spada a doppio taglio, e penetrante fino a dividere l’anima dallo spirito», è la Parola di Dio.
Ecco la spada che Gesù è venuto a portare. Anzi, ecco la spada che Gesù è diventato, parola vivente, parola divina che non può che dividere, perché pone uomini e donne davanti ad una decisione. Costringendoli - costringendoci - a schierarsi. È in base a questa parola incarnata da Gesù, alla quale i discepoli di tutti i tempi danno corpo, che il figlio si divide dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera. La parola di Cristo porta in sé la separazione, la divisione, secondo Giovanni persino il giudizio. «Chi crede in lui non è giudicato, chi non crede è già giudicato».
A noi non compete né dividere, né giudicare, ma prestare i nostri corpi a quella Parola, diventare annuncio vivente di quella parola, essere memoria pericolosa di quell’uomo pericoloso che fu Gesù.
L’annuncio del Regno vicino mette in crisi, dà nome ai demoni dei nostri tempi e l’adoperarci per scacciarli mette in crisi i poteri costituiti, mette in crisi ciò che Dorothee Sölle chiamava il cinismo oggettivo delle società occidentali. E, se me lo concedete, stasera vorrei riportare alla memoria anche questa teologa luterana, questa donna minuta morta d’infarto dieci anni fa. Una donna che con il suo impegno sociale, i suoi scritti teologici, il suo vespro politico ha voluto mettere in crisi un Occidente cristiano soddisfatto di sé, diffondendo una teologia e una spiritualità d’impegno per la giustizia e la pace.
In uno dei suoi libri, Sölle riflette su un versetto biblico che ci invita a scegliere: «Prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra: io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza». Il testo del Deuteronomio non contempla che noi scegliamo la morte, le cui conseguenze sono più che evidenti, ma ci incita a scegliere la vita, a schierarci dalla parte della vita, a diventare cioè capaci di non sopportare più la distruzione della vita intorno a noi, il cinismo che è il pane quotidiano della nostra società.
Ed è proprio ciò che fa la seconda parte del nostro testo: ci invita a scegliere la vita, ovvero a ricevere un profeta come un profeta, un giusto come un giusto, e a dare anche solo un bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli. Ci invita a ricevere e ad agire, a credere e a darci da fare. È forse proprio in quest’ottica che possiamo recuperare quelle politiche dei piccoli gesti, quel paziente rammendare, ricucire e tessere insieme di cui molte delle nostre vite sono fatte.
«Non sono venuto a portare pace sulla Terra, ma una spada». Ecco la memoria pericolosa annunciata sia dal Vangelo che dalla vita di coloro la cui presenza è invocata questa sera in mezzo a noi.
Nonostante ciò che la storia racconta, la spada non ha nulla a che vedere con l’imposizione violenta del cristianesimo, ma tutto a che vedere con la ferita alla testimonianza nonviolenta di Gesù. La spada che esce dalla sua bocca, la Parola divina, la sua stessa presenza e persona divide perché ci mette di per sé davanti ad una scelta, ci costringe a schierarci: chi da una parte, chi dall’altra. Alla fine di questo brano Gesù ci invita a ricevere tale parola e quindi a ricevere il profeta come profeta, il giusto come il giusto e a dare anche solo un bicchiere d’acqua fresca ai piccoli di cui il mondo dei grandi è pieno.
In sottofondo rimane sempre il non detto, la possibilità che ciò non accada e che il Regno, il profeta, il giusto vengano respinti e i piccoli lasciati a morire di sete. Esattamente come è successo a Gesù e a coloro che stasera ricordiamo. Scopriamo sbigottiti che la parola portata da Gesù, più affilata di qualsiasi spada a doppio taglio, incombe 33 anni dopo ancora su di noi. Pronti a dividerci, a metterci in conflitto persino con noi stessi. Che cosa facciamo ora? Cosa facciamo noi, migranti, esuli, indigeni, cittadini, apolidi, da quale parte stiamo? Come decidiamo? Con chi ci schieriamo? «Chi riceve voi, riceve me e chi riceve me riceve colui che mi ha mandato». Scegliamo dunque la vita affinché viviamo noi e la nostra discendenza, noi e tutta la comunità umana, noi e tutta la comunità del creato, affinché il suo Regno venga. Amen.

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