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RICONCILIAZIONE IN SUD SUDAN: «DA UN PASSATO DIVISO A UN FUTURO CONDIVISO»

Tratto da: Adista Notizie n° 24 del 29/06/2013

37224. JUBA-ADISTA. A due anni dalla nascita, il Sud Sudan ancora fatica a trovare la quadra, lacerato ai confini da un gravoso conflitto con Khartoum e logorato all’interno da antichi e diffusi focolai di ostilità etnica e religiosa (oltre 60 tribù, tre religioni maggioritarie, conflitti per la terra e per le risorse). Ad aprire oggi uno spiraglio di speranza per il più giovane Stato africano è l’avvio, all’inizio di luglio, di un processo di riconciliazione nazionale, connotato fortemente in senso ecumenico e interreligioso, che coinvolgerà tutte e 10 le Regioni del Paese e che dovrà trovare soluzioni per ricucire le ferite e ricostruire l’unità nazionale. A tirare le fila del progetto il presidente Salva Kiir ha posto un “Comitato per la guarigione nazionale, la pace e la riconciliazione per il Sud Sudan”, affidando all’arcivescovo anglicano Daniel Deng Bul e al vescovo emerito cattolico di Torit Paride Taban le cariche, rispettivamente, di presidente e vicepresidente.

I lavori del Comitato sono stati anticipati da un documento di lavoro della presidenza. «È possibile per il popolo sudsudanese rimanere ancora una volta unito per raggiungere» l’obiettivo nazionale della riconciliazione, come ha dimostrato durante le lotte per l’indipendenza fino alla secessione?, si chiede Bul. In gioco, esorta, c’è il futuro stesso della nazione: «Senza riconciliazione, non esisterà alcun Sud Sudan oppure, nella migliore delle ipotesi, questo degenererà in uno Stato fallito, con decenni davanti a sé di conflitti e miseria».

L’appello è diretto al popolo sudsudanese, «profondamente religioso» – seppur diviso tra cristianesimo, islam e animismo – affinché sostenga il lavoro del Comitato, anch’esso costituito da persone di appartenenze religiose diverse, e guidato dai principi ispiratori come «pluralismo, inclusività, peacemaking, giustizia sociale, perdono, guarigione, espiazione e sovranità». L’invito è a superare le molte situazioni di conflittualità che sono esplose e si sono radicalizzate subito dopo l’indipendenza del 9 luglio 2011, fomentate peraltro da quelli che l’arcivescovo anglicano chiama «i nemici del Sud Sudan». Questi, afferma, avrebbero «sfruttato la tattica del divide et impera, aizzando tribù contro tribù, fratello contro fratello, sorella contro sorella». Hanno provocato «divisioni artificiose» che sembravano sopite durante gli anni della lotta per l’indipendenza e parevano ormai definitivamente surclassate dallo spirito unitario nazionale.Ancora, un appello alla responsabilità individuale e collettiva – nelle sedi e nei modi che la Commissione metterà in campo –, all’ammissione della colpa, alla condivisione della “verità” (come insegna il Sudafrica post apartheid di Mandela e Tutu), condicio sine qua non di un processo di riconciliazione in perfetto stile africano: «Riconosciamo di aver rubato, violentato e rapito bambini»; «facciamo vedere che siamo in grado di governare noi stessi e risolvere le nostre differenze in via amichevole senza ricorrere alla violenza».

Nessuna illusione, ribadisce il documento, perché il cammino della riconciliazione sarà lungo e difficile: le ferite del popolo sudsudanese sono ancora profonde e fresche; il trauma psicologico e l’impunità diffusa hanno generato sfiducia nella popolazione; non tutti i soggetti in campo hanno una medesima visione della via per raggiungere la pace; resta poi la difficoltà di coinvolgere e coordinare i molti leader, che hanno grande peso sulle popolazioni locali. Eppure esistono alcuni segnali positivi che il Comitato intende valorizzare: la domanda di pace, che accomuna le etnie del Paese, gli interessi nazionali e internazionali; la crescente e impegnata presenza della società civile sudsudanese; i notevoli progressi a livello istituzionale, soprattutto nell’amministrazione della giustizia e nella tutela dei diritti.

Infine, dopo una lunga sezione più “programmatica” in cui si definiscono ambiti e ruoli, il documento conclude allertando la popolazione sui possibili fallimenti che inevitabilmente accompagneranno il processo di riconciliazione e il lavoro del Comitato. «Il “successo” sarà giudicato tra cinque, dieci o vent'anni, non a breve termine. Quindi cerchiamo di essere pazienti lungo il nostro cammino. Uniamo tutti le mani per rimuovere ogni ostacolo sulla strada del popolo sudsudanese». (giampaolo petrucci)

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