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Caro papa, la vera indifferenza è quella della Chiesa

Tratto da: Adista Notizie n° 27 del 20/07/2013

Santo Padre,

quando alcuni anni fa alle porte della mia canonica bussò un gruppo di immigrati clandestini, non mi ero mai occupato di migranti, ma decisi di ospitarli e farmi carico della loro situazione. In nome del Vangelo non me la sono sentita di dare un'elemosina di circostanza per liberarmene. E come me anche la mia comunità parrocchiale. Ospitavamo gli immigrati nelle aule del catechismo. E, forse, per i bambini del catechismo è stata la più bella esperienza di catechesi concreta, vissuta. Anche quella volta il mio vescovo di allora mi rimproverò e nessuno del presbiterio mi difese.

Nello stesso periodo insieme a pochissimi confratelli e ai famigerati “no global”, affittammo una nave, andammo in Albania e cercammo di portare in Italia il maggior numero di albanesi; nel tragitto anche noi lanciammo una corona di fiori per ricordare i morti di un barcone affondato la notte di Natale. Se non volevamo più piangere i morti - ci dicemmo - conveniva andare noi a prenderli prima che si imbarcassero su pericolose carrette del mare. Anche allora né la Cei, né i partiti e i governi che si spacciano per cristiani, mossero un dito quando ci bloccarono, al ritorno, nel porto di Brindisi. Gli esempi di tragedie di immigrati, dell'omertà della maggior parte dei cattolici e della denuncia inascoltata di pochi, potrebbero essere tanti. 

Per anni ho guardato i telegiornali e letto i quotidiani con grande sofferenza e rabbia, anche se con una non spenta speranza di sentire la voce forte e rappresentativa dei vertici della Chiesa italiana che finalmente facesse diventare scelte concrete le bellissime parole dei documenti ufficiali: quando non accogliamo i migranti, spranghiamo la porta a Gesù Cristo presente, vivo e vero nel povero, per trastullarci con l’adorazione eucaristica e le processioni del Corpus Domini, con un’ostia fin troppo asettica che non ci contamina le mani come le carni del povero. Perciò ho seguito con emozione in tv la tua visita a Lampedusa. Mai avrei immaginato che un papa potesse fare un gesto del genere. Ma anche se sono certo della tua sincerità, non mi fido di chi ti circonda: gli stessi che non hanno mai denunciato ciò che tu stai denunciando, gli stessi che hanno fatto arrivare "Pietro" troppo tardi a Lampedusa. Anch'io mi sono posto con te le domande: «Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo? Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle?». E sono d'accordo con te quando dici: «Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del "patire con": la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere!». Per la verità nella società di cui parli c'è una minoranza, forse una maggioranza silenziosa, che sa ancora piangere per e con chi è colpito dall'ingiustizia; ci sono tanti testardi che non si rassegnano al pensiero unico e cercano di opporsi alla peggiore globalizzazione e all'indifferenza; tra questi, tanti fedeli laici, alcune suore e preti, pochissimi vescovi.

Santo Padre, accettare fino in fondo il Vangelo di Nostro Signore e l’insegnamento della Chiesa dovrebbe portare proprio noi cristiani a denunciare fermamente l’imperante ondata di razzismo, ponendoci di fronte ad un dissidio inconciliabile: all’impossibilità, cioè, di rispettare le leggi dello Stato che si ergono come muro ad arginare la massa dei disperati che preme. Perciò, per non ridurre il tuo grandissimo gesto a qualcosa di stravagante, ti chiedo di far capire anche ai vescovi che una presa di posizione forte della Chiesa Italiana in merito alla questione è inderogabile, una voce levata alta che faccia capire senza equivoci da che parte i cattolici, laici e gerarchia, stanno e devono stare. La storia procede anche senza di noi: le migrazioni sono inarrestabili ed è una forma di grande miopia storica cercare di opporsi a questo fenomeno.

 

* Amministratore parrocchiale a Mercogliano (Av)

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