La Maria della gerarchia, così diversa dalla nostra
Tratto da: Adista Documenti n° 33 del 28/09/2013
Una delle scoperte più importanti del XX secolo riguarda il ruolo svolto dalla comunicazione in situazioni di emergenza: l’idea che lo stile comunicativo di una persona possa mitigare o esacerbare un conflitto a seconda di come venga utilizzato; che la quantità di informazioni in sé, fornita in situazioni cruciali, abbia ripercussioni sul tono, sull’efficacia e sull’esito dei negoziati. In risposta a tale intuizione, intere aziende hanno modificato i loro processi decisionali e il modo di diffondere informazione. Tenendo conto di questo dato, la gente attendeva informazioni sulla visita vaticana all’Lcwr dall’assemblea di quest’anno, svoltasi a Orlando, in Florida. Poiché non ne arrivava nessuna, la gente ha tratto le proprie conclusioni.
Io, d’altra parte, sono andata in cerca dell’unico documento che l’assemblea è riuscita a produrre al riguardo, il testo dell’omelia che mons. Peter Sartain ha offerto ai partecipanti. Ed era un esempio molto chiaro di comunicazione.
In questa omelia, Maria è «quieta», «docile», pronta a sottomettersi, e non ha «desiderio o bisogno di immaginare cose… o di risolverle per propria soddisfazione personale». In lei, ci viene detto, non c’era “io” o “mio”. La Maria di quest’omelia è un ricettacolo passivo di ciò che si ritiene che sia la Parola di Dio. Beh, è possibile. Ma può essere utile riflettere su tutto questo alla luce delle altre cose che sappiamo su Maria.
Scopo di questo articolo non è analizzare cosa ha detto il vescovo su Maria alla Festa dell’Assunzione. Preferisco soffermarmi su ciò che non ha detto di lei, perché, a mio giudizio, ciò che ha lasciato fuori dall’omelia dice di più riguardo a ciò che ci si aspetta dalle donne nella Chiesa.
Per esempio, Maria risponde all’annuncio dell’angelo mettendolo in discussione. Un angelo! Un essere, si direbbe, superiore persino ai delegati apostolici. Solo dopo, risponde con un «avvenga di me quello che hai detto» ad una situazione alla quale, apparentemente, non si poteva rispondere con un “no”. Altrimenti perché importunarlo con un botta e risposta?
Elemento ancora più importante, forse, è che, nonostante la serietà – e persino il pericolo – della sua situazione, Maria non si sia rivolta ad alcun uomo – né ai sacerdoti del Tempio, né al rabbino locale, né a suo padre o a Giuseppe – per chiedere indicazioni su cosa fare. La saggezza di cui aveva bisogno l’ha cercata da un’altra donna e l’ha seguita. Qui, nessuna visita apostolica.
In un altro caso, alle nozze di Cana, Maria dà una serie di ordini apostolici personali niente di meno che a Gesù e ai servitori, come quando dice loro: «Andate e fate quello che vi dirà».
Maria, poi, mette in discussione l’opportunità di ciò che Gesù possa compiere nel Tempio con gli anziani e più avanti è presente nel gruppo di familiari e amici preoccupati del fatto che Gesù, come direbbero gli irlandesi, possa “essere andato fuori di testa”.
E infine, se si vuole comprendere che figura importante e influente fosse Maria per lo sviluppo della Chiesa delle origini, la stessa idea della sua partecipazione all’incontro degli apostoli a Pentecoste, quando ognuno di loro viene consacrato al discepolato dallo Spirito Santo, dovrebbe essere sufficiente a dissipare la convinzione di avere qui a che fare con una donna priva di un forte senso di sé.
No, la Maria di cui non si parla in questa omelia dell’Assunzione era una donna che non si è lasciata intimorire dall’Incarnazione, che non era vincolata a risposte maschili, che non era timida nel dare ordini su ciò che andava fatto, che non era priva di un senso elevato di responsabilità personale e che era assolutamente libera da dubbi riguardo al suo posto nella gerarchia della Chiesa.
Queste, penso, sono proprio le qualità che vediamo nelle donne del nostro tempo e che vanno nella direzione di ciò che alcuni settori della Chiesa chiamano ora “femminismo radicale”.
Dal mio punto di vista, si tratta di un triste caso di abuso di linguaggio e di un ancora più triste caso di cecità spirituale.
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