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Il mondo cattolico italiano nel ventennio berlusconiano

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 34 del 05/10/2013

Sembra stia inesorabilmente calando il sipario su Silvio Berlusconi, dopo un ventennio disseminato da un’impressionante sequela di trappole giuridiche, da lui volute e costruite con apposite e vergognose leggi ad personam: legittimi impedimenti, prescrizioni brevi, processi lunghi, ecc. Una lunga serie di abusi che nessun cittadino, imputato per qualsiasi reato, avrebbe mai potuto permettersi. Nonostante le innumerevoli forzature ad esclusivo beneficio del potente personaggio, la Cassazione ha sanzionato in via definitiva la gigantesca frode fiscale di un imprenditore miliardario e di un importante leader politico che si è servito del potere per interesse privato. Nonostante tutto, il condannato eccellente non intende assolutamente darsi per vinto e, usando i potenti mezzi mediatici a sua disposizione, e la corte dei fedelissimi che lo attorniano, sfrutta qualsiasi strada per uscire indenne e impunito da una strettoia legale che non ha alternative. E l’Italia, che sta vivendo una gravissima crisi sociale ed economica, viene ancora una volta ricattata dal pregiudicato Berlusconi il quale, seguendo la logica nefasta del “tanto peggio tanto meglio”, opera una cinica e sistematica delegittimazione delle istituzioni democratiche e della convivenza civile.

Dopo anni, ci si trova sempre più stremati nel gridare per l’ennesima volta l’indignazione nei confronti di una cappa di piombo etica e culturale che ancora incombe sulla società italiana. Una parte non piccola di questa società sembra risucchiata dentro un vortice alimentato dalla cultura deresponsabilizzante dei servi che hanno bisogno di un padrone cui affidare fideisticamente il futuro e perfino l’anima di un popolo. È mai possibile che, in una democrazia avanzata come la nostra, ci siano masse di popolo osannante, che cantano, isteriche e ridicole, un’idiota filastrocca dal titolo “Meno male che Silvio c’è”? Di fronte ad un contesto del genere, talmente deprimente e apparentemente senza uscita, l’alternativa è tra rassegnazione o disperazione!

Non possiamo, come cattolici, eludere alcune domande fondamentali. Di fronte agli ultimi decenni di degrado, la gerarchia e il mondo cattolico italiano non hanno niente da rimproverarsi? Quali le loro responsabilità? Ci sono state forme di contiguità o di complicità oppure latitanze colpevoli che hanno rimosso dalla coscienza collettiva nazionale il senso della responsabilità etica?

Due anni fa ha fatto scalpore un articolo (“Lo strano silenzio della Chiesa”, 21/9/11) della giornalista laica Barbara Spinelli sul quotidiano laico la Repubblica. Erano settimane in cui si parlava dello squallido “bunga bunga” di Arcore, e la giornalista lanciava alla Chiesa italiana un accorato e sferzante appello: «Che altro deve fare il capo del governo perché i custodi del cattolicesimo dicano la nuda parola: ora basta»? Questa nuda parola naturalmente non è mai arrivata! Nemmeno quando il premier Berlusconi, che si presentava come l’unico difensore dei valori cattolici, tra un impegno istituzionale e l’altro, si faceva accompagnare da una corte, variegata e servile, composta da mafiosi e “cortigiane”. Una parola mai arrivata quando, nelle famose notti di Arcore, si verificavano frequenti scambi di denaro e di sesso, di ricatti con trafficanti d’eroina e di appalti. Una parola mai arrivata quando le feste private di Arcore erano turpemente allietate da orge a base, addirittura, di finte suore e di crocifissi (così confermano le intercettazioni)! Mi chiedo come mai non abbiamo ascoltato dai massimi rappresentanti dell’istituzione ecclesiale, almeno una volta, l’invettiva profetica del «non licet», già gridata con forza dal Battista in faccia ad Erode, uno squallido e potente personaggio, corrotto e corruttore, vissuto ai tempi di Gesù nell’antica Palestina.

Nelle frequenti prolusioni del presidente Cei non è mai mancato il richiamo ai valori cattolici “non negoziabili”. Richiami che apparivano cantilene vuote e per niente incisive. Allo stesso tempo si sono registrati troppi e imbarazzanti silenzi anche da parte della stampa cattolica in merito ad altri valori – altrettanto “non negoziabili” secondo la Dottrina sociale della Chiesa – quali il bene comune e la legalità, la giustizia e il senso dello Stato, le leggi giuste e la dignità delle donne. Solo Famiglia Cristiana ha in qualche maniera supplito ai silenzi del mondo ecclesiastico ufficiale, attirandosi peraltro gli strali velenosi dei giornali e dei politici berlusconiani.

Durante gli anni del Concilio e del postconcilio l’associazionismo tradizionale cattolico (Acli, Fuci, Ac, …), facendo leva sull’autonomia e la responsabilità derivanti dal battesimo, ha espresso molteplici itinerari che miravano a dare concretezza storica alla fede professata. Dopo quella feconda stagione ecclesiale la gerarchia ecclesiastica, forse impaurita dalla modernità avanzante, ha risposto alla sfida della secolarizzazione arroccandosi gelosamente nella difesa ad oltranza del “fortino cattolico assediato” e incoraggiando la proliferazione di movimenti ecclesiali sotto tutela ecclesiastica (qualcuno li chiama “sette cattoliche”) come Comunione e Liberazione e Opus Dei. È stata questa la grande novità del cattolicesimo nazionale che, con la guida assoluta e solitaria del card. Ruini, ha aperto una nuova fase nella Chiesa italiana.

A partire più o meno dal 1985, in Italia ha preso forma un modello di cattolicesimo, più clericale che laicale, rappresentato da movimenti fortemente identitari, disciplinati e agguerriti come falangi armate, lanciate alla conquista della società secolarizzata da ricristianizzare. Cl, ad esempio, che rimproverava un eccessivo ottimismo conciliare di una parte di Chiesa italiana, riaffermava allo stesso tempo la necessità di massima visibilità e di presenza capillare, mirante all’occupazione e all’egemonia per mettere il timbro della cattolicità sulle istituzioni pubbliche (scuola, sanità, ecc.). Non a caso, è stato proprio tale movimento ecclesiale a dare apertamente un fondamentale sostegno organico e politico al berlusconismo, sul piano elettorale e su quello etico-culturale.

E nel momento in cui un singolo credente – come ad esempio l’allora presidente del Consiglio Romano Prodi (2005), in occasione del referendum per la fecondazione assistita – rivendicava la sua identità di “cristiano adulto” nell’operare determinate scelte, succedeva il finimondo nell’Italia cattolica, apostolica e romana. In occasione della discussione parlamentare sulle coppie di fatto, la stampa cattolica, e quella berlusconiana in particolare, fecero quadrato, accusando l’allora premier di «cercare voti lacerando le famiglie italiane» (L’Osservatore Romano, 13/9/05).

A questo punto mi pongo una domanda, semplice ma amara: chi è stato più dannoso tra i due per la società e per la Chiesa italiana? Il cattolico Prodi, che ha avviato (senza peraltro arrivare ad alcuna legge) un semplice dibattito parlamentare per conoscere e per regolamentare il fenomeno delle coppie di fatto, oppure il pluridivorziato e plurindagato Berlusconi, con il suo modello “cattolico” di famiglia e con i suoi comportamenti trasgressivi e boccacceschi?

Nel vuoto prodotto dall’emarginazione del cattolicesimo democratico, intenzionato a non farsi utilizzare come semplice ruota di scorta o come truppa d’assalto dell’istituzione ecclesiastica, il ventennio berlusconiano ci ha propinato anche la germinazione di un particolare fenomeno politico nazionale, conosciuto come quello dei cosiddetti “atei devoti”, individui che, senza alcuna fede cristiana né esplicita né implicita, intendono difendere le posizioni della Chiesa cattolica in campo politico. Il fenomeno, nonostante la sua evidente strumentalità e ambiguità, è stato accolto con grande favore da una parte della gerarchia cattolica, come una specie di “braccio secolare” della Chiesa. Un fenomeno originato dalla mancanza di un laicato cattolico adulto capace di incidere, in maniera appunto laica e adulta, nella realtà politica del nostro Paese. Comunque, un fenomeno che, oltre ad avere ingenerato grande confusione tra il clero e le comunità parrocchiali italiane, ha svuotato il significato conciliare dell’autentico impegno politico per i cattolici.

Ora, se le cose continuano a permanere in questa triste situazione di logoramento di un cattolicesimo adulto, una volta che si è prosciugato il bacino vitale del laicato cattolico, «agli alti prelati ecclesiastici spetta l’occupazione della scena pubblica, il rapporto con il Palazzo, con la politica assieme agli altri poteri, la permanente esposizione mediatica. Ai movimenti compete crescere nella società, conquistare nuovi adepti, resistere alla secolarizzazione, formare nuovo clero. In mezzo, stritolati dalla totale assenza di vie d’uscita, dall’afasia e dall’immobilismo che hanno colpito la grande istituzione nell’impatto con la modernità, stanno il clero, le parrocchie, il laicato “normale”: un patrimonio umano, culturale e spirituale destinato probabilmente ad un’estinzione forse lenta ma inesorabile». (Marco Marzano, Quel che resta dei cattolici, Feltrinelli).

Probabilmente lo scenario prospettato da Marzano è troppo fosco rispetto ad una realtà italiana tanto differenziata e complessa. Comunque, sempre più si avverte la necessità di ritrovare nuove ragioni di speranza e d’impegno per un cattolicesimo meno clericale e più laicale. Un cattolicesimo che sappia diventare finalmente adulto, in grado di progettare una società a misura d’essere umano: non per cattolicizzarla ma per umanizzarla, appunto. Un cattolicesimo laicale che non si contrapponga alla gerarchia ma che concorra, in comunione con la gerarchia stessa, al bene della convivenza civile. Non resta che affidarsi alla forza e alla libertà dello Spirito che «soffia dove e come vuole» e affidarsi alla profezia di papa Francesco il quale, nell’aprire nuove prospettive per il futuro, sembra muoversi con la determinazione necessaria accompagnata dalla misericordia altrettanto necessaria.

* Parroco a Mazzocco (Tv)

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