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Fedeli italiani, tra autonomia e ignoranza

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 44 del 14/12/2013

Se il 76% degli italiani si dice credente, mentre il 79% si definisce cattolico, l’apparente incongruenza delle risposte è da imputare ad «un’interpretazione culturale dell’appartenenza confessionale, per cui l’adesione alla confessione in Italia maggioritaria non corrisponde necessariamente a una intima convinzione ma è determinata da fattori ambientali, dalla tradizione o semplicemente dal conformismo religioso». Così il docente valdese di Scienza politica, Paolo Naso, ha presentato – in un articolo del 20 novembre sul sito www.chiesavaldese.org – la recente pubblicazione del sondaggio che la Chiesa valdese commissiona ogni anno a Gfk Eurisko su diverse questioni inerenti la fede e la società italiana (quest’anno il sondaggio verte sui temi della conoscenza, della pratica religiosa e delle convinzioni dei cittadini italiani).

Il definirsi “cattolico” sembra dunque individuare più un elemento identitario (che si accompagna semplicemente a quello della cittadinanza) che il reale compimento di un percorso di consapevolezza e di crescita nella fede. E questa chiave di lettura ben spiegherebbe le molte occasioni di conflitto sociale che si sono verificate nel Paese negli anni, intorno a questioni apparentemente religiose ma in realtà legate alla spinosa questione dell’integrazione delle diversità nei contesti locali: si pensi alla polemica sul crocifisso nei tribunali e nelle scuole, oppure alle manifestazioni di ostilità dei cittadini contro l’edificazione di nuove moschee, ecc.

Tornando al sondaggio il dato potrebbe poi essere dimostrato anche dal livello di partecipazione alla vita della comunità d’appartenenza: sebbene il 79% degli italiani si definisce cattolico, infatti, solo nel 44% dei casi è realmente “praticante”. Nello specifico – esclusi quelli che non si dicono cattolici: gli atei e i non credenti sono il 15%, gli agnostici e quelli “in ricerca” il 4-5%, i membri di altre confessioni religiose circa il 5% – è solo l’11% che frequenta un luogo di culto durante tutta la settimana; circa il 24%, invece, lo frequenta a cadenza settimanale (evidentemente, la “classica” messa domenicale); mentre il 18% con poche sporadiche “visite” durante l’anno (Natale, Pasqua e poco altro). Ci sono poi quelli che Naso chiama «i distaccati», che presenziano ai riti solo quando invitati a battesimi, matrimoni e funerali.

Ancor più paradossale il dato sulla conoscenza e la lettura dei testi sacri. Coloro che leggono la Bibbia individualmente sono solo il 29%. «Molto posseduto e poco letto, potremmo dire del libro più stampato al mondo», commenta ancora Naso. In controtendenza invece il dato sulla preghiera individuale: il 74% degli italiani afferma di pregare da solo, ben il 38% dice di farlo quotidianamente e il 12% più volte alla settimana. La metà degli italiani dimostra così di non essere estranea ad una pratica spirituale abituale, anche se preferisce viverla in forma autonoma e intimistica. Il dato sulla frequentazione dei luoghi di culto ribadisce infatti che la domanda di spiritualità non coincide più automaticamente con l’offerta istituzionale. Non stupisce quindi l’incapacità dei più di rispondere a domande su comandamenti, virtù teologali, ecc. «Il quadro complessivo che emerge da questi dati – commenta ancora Paolo Naso – è preoccupante, tanto sul piano religioso che su quello culturale: il deficit di conoscenze sembra farsi sempre più profondo come se si fossero rotte quelle “cinghie di trasmissione” che consentivano di tramandare principi, storie, racconti, dogmi. È come se la memoria religiosa degli italiani tendesse a perdersi, e non solo sul piano spirituale ma anche su quello laico della cultura e della tradizione popolare».

E questo si verifica all’interno di un quadro che appare ricco di contraddizioni: il 72% degli italiani considera importante la religione; l’87% ritiene doveroso educare i propri figli ai valori cristiani, mentre l’ora alternativa all’Insegnamento della Religione Cattolica nelle scuole (Irc) non raccoglie che l’11% delle adesioni; sempre riguardo all’ora di religione, il 55% degli intervistati ritiene opportuno l’insegnamento anche di altre confessioni e il 67% ritiene che gli insegnanti di religione «possano essere anche non cattolici con una preparazione adeguata».

Al di là del campanello d’allarme sull’analfabetismo religioso e sull’atomizzazione dell’esperienza di fede in Italia, il sondaggio sembra evidenziare che la società italiana non è poi così monolitica come si è abituati a pensarla, e anzi presenta ampie zone di apertura e altrettante di indifferenza ai diktat religiosi quando si parla di secolarizzazione, dialogo e pluralismo religioso, etica sessuale, stili di vita, ecc. Ad esempio, nonostante la crociata della Chiesa cattolica, e dei suoi movimenti, in favore della famiglia tradizionale fondata sull’indissolubile matrimonio religioso tra un uomo e una donna, il 63% degli italiani ritiene giusto che lo Stato riconosca i diritti civili delle coppie omosessuali, il 74% si dice favorevole al testamento biologico, il 65% all’inseminazione eterologa. Segno evidente di un cambio di rotta, a livello sociale, che ancora le gerarchie della Chiesa cattolica faticano a riconoscere e ad ascoltare. 

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