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ME NE PREGO! PADOVA: LA PASTORALE DEL MANGANELLO DEL PARROCO NOSTALGICO

Tratto da: Adista Notizie n° 1 del 11/01/2014

37451. PADOVA-ADISTA. Da neanche un mese p. Federico Lauretta, monaco benedettino di 39 anni, guida l’importante e centralissima basilica di Santa Giustina, a Padova, e già si è guadagnato le prime pagine dei giornali. Non per la sua omelia di Natale, non per una iniziativa caritatevole in favore dei più bisognosi in questi giorni di festa, ma per aver sostenuto che la città è diventata un far west e che di conseguenza non ci si debba stupire se poi «la gente usa le pistole» (Il Mattino di Padova, 29/12).

Per p. Lauretta la situazione, a Padova, si è fatta «intollerabile»: «Furti e prepotenze d’ogni genere sono ormai all’ordine del giorno» e la colpa è «di tutti quei politici che continuano a riempirsi la bocca di belle parole, tipo accoglienza ed integrazione». «Io non sono razzista e non mi interessa la nazionalità di chi delinque», dice il monaco, «ma credo che prima dell’accoglienza e dell’integrazione, vengano il rispetto delle regole ed il vivere in maniera civile. Fortunatamente – prosegue p. Lauretta – poliziotti, carabinieri e finanzieri, nonostante più di qualcuno si diverta a denigrare il loro lavoro, fanno il massimo per garantire l’ordine nel nostro territorio. Poi, però, chi si macchia di reati, anche gravi, sta qualche mese in galera e dopo viene subito scarcerato: così facendo, non si fa altro che alimentare la sensazione, purtroppo concreta, di impunità» (Corriere Veneto, 30/12).

Non è dunque un caso che per la sua prima uscita pubblica p. Lauretta abbia deciso di partecipare al sit in di protesta contro il decreto svuota-carceri organizzato dai Fratelli d’Italia il 28 dicembre scorso davanti al palazzo della Prefettura di Padova. Presente, oltre a una decina di militanti, l’assessore provinciale alla Sicurezza, Enrico Pavanetto. Una compagnia che p. Lauretta, tra l’altro cappellano della Polizia provinciale e della Guardia di Finanza, non disdegna affatto. «Condivido in pieno la posizione del mio amico Pavanetto sul problema della sicurezza in città», dice. «Io sono un monaco e ho delle regole di vita molto rigide. Perché se io le rispetto, gli altri non le devono rispettare? Ormai vengono a rubarti in casa», «se la prendono con i deboli, con gli anziani»: «Io sono un uomo di Chiesa ma non posso giustificare un ladro. Mai» (Il Mattino di Padova, 28/12). «Pavanetto – dice ancora p. Lauretta – è un amico, siamo stati compagni di leva e siamo della stessa fede politica». E se qualcuno avesse ancora qualche dubbio, specifica: «Ho militato nel Fronte della Gioventù, sono di destra, mica è cosa antievangelica» (Il Mattino di Padova, 29/12).

D’altronde fino a pochi giorni fa sul suo profilo Facebook, alla voce orientamento politico, si dichiarava nostalgicamente aderente al (da un bel pezzo disciolto) Partito nazionale fascista. E tuttora vi campeggia una foto che lo ritrae insieme a Ignazio La Russa del quale dice di condividere politicamente le stesse idee: «Difendiamo i valori tradizionali della famiglia, della fede e della patria».

A rispondergli, dalla pagine del Mattino di Padova (30/12), ci pensa don Marco Pozza, cappellano presso il carcere di massima sicurezza “Due Palazzi” di Padova. «Parole come quelle del parroco di Santa Giustina, sono il preludio di narrazioni devastanti», scrive: «Parole pericolose che stonano tremendamente. Nessuno è ingenuo: l’esasperazione della città è sotto gli occhi di tutti, la fatica della convivenza è sfida ardua, l’accordo di misericordia e giustizia è un’avventura disumana. È lo sproloquio e il pressapochismo, però, a destare il sospetto di un pensiero inquieto e affrettato: l’evocazione della galera, le urla e il megafono, gli strali e gli slogan non hanno mai risolto il problema di una convivenza. Piacerebbe aprire le porta della parrocchia del carcere a questo confratello», prosegue: «Probabilmente quello sprezzante “prendiamo e sbattiamo in galera” non uscirebbe più tanto facile dalle labbra. La galera non risolve il problema di una città: a Padova ci sono due carceri zeppe, eppure la città è ancor più insicura. È un’equazione che non quadra. Ecco perché l’evocazione delle pistole e delle armi suona come una sorprendente stonatura nella bocca di un uomo di Dio. Lasciamoli ad altri certi linguaggi da “uomini dell’osteria”, certe assonanze che stridono con lo splendido paradosso liturgico: “L’amore vince l’odio e la vendetta è disarmata dal perdono”. Non è buonismo e nemmeno qualunquismo: è l’imbarazzante stile di chi, credente e credibile, nel mezzo dell’oscurità non smette di tenere accesa la luce, senza perdere il senno e la saggezza». «Nel mentre della vostra manifestazione – scrive ancora don Pozza – altri uomini e donne stavano nei dormitori pubblici, nelle strade della prostituzione, nel ventre delle galere e nelle frontiere dell’accoglienza a proporre altre soluzioni, a vivere meno populisticamente il loro sogno di un’umanità civile: per loro aspersorio e manganello non sono la traduzione moderna del “lupo che dimora con l’agnello”». «A Babele – conclude don Pozza – regnava il caos, qualche giorno dopo capirono il perché: c’era gente che si pensava Dio e aveva iniziato i lavori senza un progetto. Cioè era gente confusa, che confondeva. Rimase un pugno di polvere e di urla». (ingrid colanicchia)

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