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Costruendo l’Europa che non c’è. Un cambio di rotta contro le politiche di austerità

Tratto da: Adista Documenti n° 7 del 22/02/2014

DOC-2595. ROMA-ADISTA. Una terribile minaccia incombe sull’Europa, più devastante ancora delle politiche di austerità che hanno già messo in ginocchio il Continente: è il Ttip, il Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti, oggetto di trattative segrete tra Stati Uniti e Commissione Europea. Ribattezzato non a caso la “Nato del commercio”, l’accordo, che dovrebbe chiudersi entro il 2014, mira alla creazione della zona di libero commercio più grande del pianeta, ridisegnando gli scambi tra le due principali potenze commerciali a beneficio esclusivo delle grandi imprese. Un accordo nel segno della deregolamentazione, finalizzato, come emerge dal Rapporto 2014 di Euromemorandum (il rapporto annuale dall’EuroMemo Group, un network di economisti europei per una politica economica alternativa, consultabile su Sbilanciamoci.info), a «smantellare e/o armonizzare» le differenti normative Usa e Ue «in settori quali l'agricoltura, la sicurezza alimentare, gli standard tecnici dei prodotti, i servizi finanziari, la protezione dei diritti di proprietà intellettuale e gli appalti pubblici», senza alcun riguardo per la salute pubblica, i diritti del lavoro e la tutela dei consumatori. Oltre che a segnare la definitiva capitolazione della politica, potendo le imprese, grazie alla clausola di protezione degli investimenti, rivolgersi a un tribunale arbitrale (probabilmente presso la Banca Mondiale) al fine di ottenere un risarcimento per ogni cambiamento legislativo di uno Stato destinato a comportare una diminuzione dei loro profitti.

Obbligato il richiamo all’Ami (o Mai), l’Accordo Multilaterale sugli Investimenti che, negli anni ’90, si proponeva, per la prima volta nella storia, di regolamentare l'intera economia mondiale: bloccato, nel 1998, a causa delle contraddizioni interne all'Ocse (dove, nel 1995, nel più assoluto segreto, avevano preso avvio le consultazioni) e delle pressioni esterne di associazioni, campagne, organizzazioni non governative, l’Ami era stato espressamente ideato per aiutare gli investitori a muovere più liberamente i loro capitali, garantendo alle imprese un accesso illimitato a tutti i mezzi di produzione e a tutta la forza lavoro di un qualsiasi territorio del pianeta, con pari opportunità di investimenti per aziende estere e nazionali. Un accordo a cui i centri del potere economico non sono mai stati disposti a rinunciare, puntando a rilanciarlo in sede Wto (Organizzazione Mondiale del Commercio) o, per l’appunto, in un trattato bilaterale Usa-Ue. Da qui la necessità, proprio come avvenne contro l’Ami, di attivare al più presto una forte mobilitazione politica e sociale, che, per quanto riguarda l’Italia, ha mosso i primi passi con l’Assemblea Costitutiva della campagna contro il Trattato di liberalizzazione degli scambi e degli investimenti tra Europa e Stati Uniti (a cui partecipano realtà come Comune-Info, Fairwatch, Scup, Sbilanciamoci.info, Attac Italia, Altramente, Associazione Botteghe del Mondo, Fondazione Banca Etica).

Quella contro il Ttip non è, peraltro, l’unica lotta che la popolazione europea è chiamata a combattere: se vent'anni di integrazione nel segno delle politiche neoliberiste e del potere della finanza hanno condotto il Continente in un vicolo cieco, l’obiettivo non può che essere quello di un radicale cambio di rotta rispetto a quelle politiche di austerità, che, come scrive il giurista Luigi Ferraioli nell’inserto della campagna Sbilanciamoci! pubblicato su il manifesto del 31 gennaio con il titolo “Vicolo cieco a Bruxelles” (http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/alter/Vicolo-cieco-a-Bruxelles-22069), «non soltanto si sono rivelate fallimentari sul piano economico e disastrose sul piano sociale», ma «stanno distruggendo, in tutti i Paesi che ne sono stati colpiti, il senso comune di appartenenza all'Unione, avvertita sempre più apertamente da masse crescenti come una potenza estranea ed ostile». Sono questi, prosegue Ferraioli, «il danno e il prezzo più gravi che stiamo pagando per queste politiche irresponsabili: lo sviluppo di un anti-europeismo di massa, rabbioso e rancoroso, che è stato immediatamente intercettato, non solo in Italia ma in gran parte dei Paesi europei, dai tanti demagoghi in circolazione». 


Riprendiamoci l’Europa

È proprio della necessità di un decisivo cambio di rotta che si è ragionato, il 23 gennaio scorso a Roma, durante il forum “La vecchia Europa. I giovani, la crisi, le politiche per cambiare”, promosso dalla Campagna Sbilanciamoci! e dagli Économistes Atterrés (“economisti sgomenti”) in collaborazione con l’European Progressive Economists Network (Euro-pen), come parte del tour europeo degli Atterrés francesi per la presentazione del loro volume Changer l’Europe (Les Liens qui Libèrent, 2013, www.atterres.org/article/le-sommaire-de-notre-ouvrage-changer-leurope). Ed è su tale cambio di rotta che punta l’appello “L'Europa al bivio. Con Tsipras una lista autonoma della società civile” lanciato su MicroMega (http://temi.repubblica.it/micromega-online) da Andrea Camilleri, Paolo Flores d’Arcais, Luciano Gallino, Marco Revelli, Barbara Spinelli e Guido Viale – e a cui hanno aderito già più di 20mila persone – con l’obiettivo di dare vita in Italia a una lista promossa da movimenti e personalità della società civile, autonoma dagli apparati partitici, che, alle elezioni europee del 25 maggio, sostenga il leader del partito greco Syriza Alexis Tsipras come candidato alla presidenza della Commissione Europea. Perché, dicono i promotori, se i cittadini vogliono riprendersi l’Europa, devono respingere le due false risposte alla crisi indicate dai «cultori dell’immobilità»: quella compiaciuta di chi pensa che «passo dopo passo, con aggiustamenti minimi», l’Unione stia «guarendo grazie alle terapie di austerità» e quella catastrofista di chi crede che, se «una comunità solidale si è rivelata impossibile, urge riprendersi la sovranità monetaria sconsideratamente sacrificata e uscire dall’Euro». A tali risposte l’appello contrappone «un’alternativa di tipo rivoluzionario», nella consapevolezza che l’Euro potrà resistere solo diventando «la moneta di un governo democratico sovranazionale e di politiche non calate dall'alto, ma discusse e approvate dalle donne e dagli uomini europei». E nella convinzione «che l’Europa debba restare l’orizzonte, perché gli Stati da soli non sono in grado di esercitare sovranità, a meno di chiudere le frontiere, far finta che l’economia-mondo non esista, impoverirsi sempre più». Solo attraverso l’Europa, insomma, «gli europei possono ridivenire padroni di sé», dandosi una nuova Costituzione, «scritta non più dai governi ma dal suo Parlamento, dopo un'ampia consultazione di tutte le organizzazioni associative e di base presenti nei Paesi europei» e rimettendo al centro il superamento della disuguaglianza, lo sviluppo del reddito e dell'occupazione, la riappropriazione dei beni comuni, la salvaguardia dell'ambiente, contro «il mito della crescita economica così come l’abbiamo fin qui conosciuta».

Di seguito, l’articolo di Mario Pianta, professore di Politica economica all'Università di Urbino, nell’inserto “Il Trattato intrattabile” apparso su il manifesto del 24 gennaio, il primo dei supplementi di Sbilanciamoci! pubblicati ogni venerdì fino alle elezioni europee di maggio (e consultabile anche sul sito della campagna: www.sbilanciamoci.info/Sezioni/alter/Il-trattato-intrattabile-21923), e stralci dell’introduzione del volume Changer l’Europe degli Economisti sgomenti francesi. (claudia fanti)

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