L'Europa e il sogno dei padri
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 8 del 01/03/2014
«È perfettamente esatto, e confermato da tutta l’esperienza storica, che il possibile non sarebbe raggiunto se nel mondo non si ritentasse sempre l’impossibile». Forse occorre rifarsi a questa frase di Max Weber, per continuare a credere che sia possibile costruire un’Europa altra da quella che oggi a troppi Paesi e a troppe persone appare come matrigna. Mentre ci prepariamo ad un turno delicato di elezioni del Parlamento europeo, caratterizzate da spinte centrifughe molto forti. In un momento in cui le politiche europee di fronte alla crisi hanno provocato e stanno provocando l'impoverimento di gran parte della popolazione soprattutto dei Paesi mediterranei. È questa, infatti, la stessa frase che ispirò Altiero Spinelli, quando, nel 1941 lanciò insieme con Ernesto Rossi ed altri esuli nell'isola laziale il manifesto di Ventotene.
Siamo in pieno periodo bellico. Spinelli ed altri si trovano confinati a Ventotene perché oppositori del regime fascista. Il manifesto nasce quindi in una realtà difficile, nella quale a tutti sarebbe sembrato impossibile pensare al futuro di una Europa unita, proprio nel momento in cui essa era dilaniata da una guerra spaventosa. Spinelli e i suoi compagni tracciano una linea di demarcazione netta per la politica a venire. Ne nasce un progetto che va ben al di là di quanto era stato concepito dopo la prima guerra mondiale con la società delle Nazioni. Un sogno-progetto di un'Europa federale, in cui gli Stati, in quel momento in guerra tra di loro, si sarebbero uniti e avrebbero dato vita ad una politica capace di superare le barriere nazionali. Così come era avvenuto con la formazione degli Stati nazionali, quando tante piccole realtà politiche indipendenti si erano riunificate per costruire un'unica nazione. Di qui una linea netta di demarcazione tra vecchia e nuova politica, tra partiti progressisti e partiti reazionari: «La linea di divisione fra i partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò, ormai, non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa coloro che concepiscono, come campo centrale della lotta, quello antico, cioè la conquista e le forme del potere politico nazionale, e che faranno, sia pure involontariamente, il gioco delle forze reazionarie, lasciando che la lava incandescente delle passioni popolari torni a solidificarsi nel vecchio stampo e che risorgano le vecchie assurdità, e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido Stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l'unità internazionale».
Forse è proprio il caso di partire da Ventotene per confrontarci con l’Europa di oggi. Un’Europa che sembra aver perduto i suoi valori ispiratori e che si è costruita non attorno ad un progetto di unità solidale fra i diversi Paesi e i diversi popoli, ma attorno alle banche, al puro e semplice scambio di merci, alla moneta unica e alla finanza. Un’Europa che, certo, ha fatto anche passi verso l’unità politica attraverso i diversi trattati, che si è data anche una sorta di Costituzione, ma che, nei fatti, si è impantanata dentro il pareggio di bilancio e gli aggiustamenti strutturali delle economie più deboli. Condannando, con le politiche di austerità, porzioni sempre più grandi di popolazione alla povertà. L’Unione europea, infatti, ha strutture democratiche estremamente insufficienti. Il Parlamento europeo non ha il pieno potere legislativo, solo un poco significativo potere di codecisione. La Commissione, il vero potere esecutivo dell'Unione, fino ad ora è stata nominata dai governi, mentre il Consiglio, fatto dai governi nazionali, di fatto assume il ruolo legislativo proprio dei parlamenti. Un'Europa che, con le politiche di austerità è divenuta per tanti una sorta di tiranno che impone sacrifici a destra e a manca, senza nessuna possibilità da parte delle popolazioni interessate di dire la loro. Un’Europa che pare interloquire con i diversi popoli solo attraverso la troika, la quale, quando interviene, commissaria di fatto anche i governi nazionali. Un’Europa che si divide tra Paesi forti e Paesi deboli. Dove i forti sembrano avere sempre ragione a discapito dei più deboli. Un'Europa che salva le banche e costringe le piccole imprese a chiudere. Un'Europa che domanda riforme impossibili: dal pareggio di bilancio in Costituzione, fino alla riforma delle pensioni, del mercato del lavoro, assottigliando nei fatti i diritti dei lavoratori e dei più deboli. Un’Europa che, abbandonando il pensiero dei padri fondatori, si è andata costruendo attorno a politiche neoliberiste e al pensiero unico. Imponendo queste politiche anche ai Paesi con cui in questi anni ha fatto trattati. Un'Europa che si chiude nei confronti di coloro che bussano alla sua porta in cerca di dignità e di diritti. Un'Europa che ha permesso di fare del Mediterraneo un cimitero a cielo aperto.
Di fronte a questo fallimento, la via facile potrebbe apparire quella di chi propone l'uscita dall’euro e il ritorno ai vecchi Stati nazionali. Ma sarebbe una non soluzione, perché vorrebbe dire mettere indietro di oltre mezzo secolo le lancette del tempo. La via d'uscita sta invece nel ritorno al vecchio sogno europeo di Spinelli e dei padri fondatori. Quel sogno che si è interrotto lungo la strada. Proprio in questi giorni l'arcivescovo di Monaco, card. Marx, uno dei membri del consiglio di papa Francesco, ha lanciato un monito, che può apparire come un programma lungimirante per le prossime elezioni europee, dove per la prima volta verrà eletto il presidente della Commissione. Un messaggio di speranza e di impegno per costruire un'Europa solidale, includente e non escludente. Capace di guardare ai bisogni dei propri cittadini e non solo a rispondere alle leggi inique della finanza predatrice. In grado di essere all’avanguardia nella difesa dei diritti e dei beni comuni a livello mondiale. Un’altra Europa, dunque. Dice il card. Marx: «Invece di svilire o abbandonare il progetto europeo o anche solo diminuire la sua ambiziosa visione socio-economica attraverso il perseguimento di meri interessi nazionali, questo è il momento di recuperare lo spirito di generosità e di coraggio che hanno contraddistinto i suoi padri fondatori».
* Saggista e giornalista, missionario saveriano e pacifista negli anni ‘70 e ‘80, già parlamentare europeo con Democrazia proletaria, è oggi presidente dell’organizzazione “Chiama l’Africa”
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