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Alle Chiese locali l’ultima parola

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 28 del 26/07/2014

Sono state ferme le parole pronunciate da papa Francesco sulla piana di Sibari, lo scorso 21 giugno di fronte a una folla di fedeli radunata per assistere alla celebrazione eucaristica.

Parole efficaci che affrontano nel vivo l’ambiguo e nodale rapporto che lega gli uomini di mafia agli uomini di Chiesa, le organizzazioni criminali e le sacre liturgie.

Parole taglienti che immediatamente provocano altrettanto decise e inequivocabili risposte da parte dei clan colpiti da questo nuovo anatema papale. Così, a distanza di pochi giorni, il fercolo che trasporta la Madonna delle Grazie a Oppido Mamertina si ferma a omaggiare l’anziano boss Peppe Mazzagatti, condannato agli arresti domiciliari, mentre un gruppo di detenuti per reati di ‘ndrangheta, diserta in massa le celebrazioni eucaristiche nel carcere di Larino. Sono prove di forza. Tentativi di rivendicare una supremazia, con messaggi più o meno espliciti, densi di una profonda carica simbolica. Accompagnati da gesti altrettanto eloquenti.

È come un déjà vu. La mente ritorna a quel 9 maggio del 1993, quando presso la Valle dei Templi di Agrigento, un altro papa pronunciava un’altrettanto decisa condanna nei confronti degli uomini di Cosa Nostra, invitandoli alla conversione e ricordando l’inesorabile giudizio di Dio. 

Anche in quel caso le reazioni – ancor più dure e violente – non tardarono a manifestarsi. I devoti mafiosi bombardarono prima le chiese romane di San Giorgio al Velabro e di San Giovanni in Laterano (nella notte tra il 27 e il 28 luglio del 1993) e assassinarono poi, il 15 settembre dello stesso anno, don Pino Puglisi, oggi beato. Nel frattempo – il 19 agosto 1993 – il collaboratore di giustizia Francesco Marino Mannoia, metteva in allerta gli uomini dell’Fbi: «Nel passato la Chiesa era considerata sacra e intoccabile. Ora invece Cosa Nostra sta attaccando anche la Chiesa perché si sta esprimendo contro la mafia. Gli uomini d’onore mandano messaggi chiari ai sacerdoti: non interferite».

Scorrendo le cronache – anche quelle meno recenti – minacce e violenze nei confronti di uomini di Chiesa non mancano. Come non mancano esempi di collusione tra prelati e “uomini d’onore”. Soprattutto non mancano – dentro la Chiesa – posizioni ambigue, gravi “disattenzioni”. Come quando all’indomani dell’arresto di p. Mario Frittitta (che aveva celebrato messa nel covo del latitante Pietro Aglieri), mentre mons. De Giorgi e i cinque “saggi” da lui incaricati di esaminare il caso parlavano di “indebita cappellania”, i confratelli di p. Frittitta dichiaravano alla stampa: «Abbiamo meditato tutti insieme, da fratelli, per capire se il metodo antimafia assunto dalla Magistratura sia cristianamente accettabile. E abbiamo concluso che cristianamente non è accettabile» (Corriere della Sera, 11/11/1997).

Gli esempi potrebbero moltiplicarsi. Distribuendosi equamente tra Sicilia e Calabria, dove a Vibo Valentia la processione dell’Affruntata, in occasione della Pasqua del 2010, venne preceduta da una sventagliata di proiettili sulla porta del priore della confraternita che organizza la festa, ma coinvolgendo anche i più “laici” uomini della camorra come accaduto nel settembre del 2011 nel quartiere di Barra, a Napoli, quando la processione del santo si trasformò in un tributo ai boss locali, scesi in strada per suggellare, davanti al santo, la pax mafiosa.Potremmo chiederci allora cosa c’è di nuovo nelle parole di papa Francesco. 

Anche a proposito della scomunica dei mafiosi, infatti, la Chiesa ha già a lungo dibattuto: nel 1944, nel 1952 e nel 1982 esprimendo per bocca dell’episcopato siculo, una generica estensione ai mafiosi della scomunica che colpisce «tutte le manifestazioni di violenza criminale». Ritornando nel 1994 a ribadire «l’insanabile opposizione al Vangelo di Gesù Cristo» di «tutti coloro che, in qualsiasi modo, deliberatamente, fanno parte della mafia o ad essa aderiscono o pongono atti di connivenza con essa». Ritornando ancora su tale insanabile opposizione in successivi documenti ufficiali del 1996, del 2010 e del 2012. 

Sembrerà un dettaglio da poco – irrisorio per gli esperti di diritto canonico – ma una prima differenza sta nella chiarezza cristallina con la quale papa Francesco ha inequivocabilmente dichiarato che i mafiosi – solo per il fatto di essere tali e non perché si macchino di specifici delitti – sono “scomunicati”. Abbandonando gli scivolosi distinguo del diritto canonico tra scomuniche latae sententiae e ferendae sententiae – che pur sarà utile affrontare dentro la Chiesa – ha delineato dei confini netti tra chi sta dentro e chi rimane fuori dall’istituzione religiosa. Ma è andato anche oltre in questa operazione di chiarezza, superando il documento della Cei del 2010, che su questo tema aveva registrato un inspiegabile silenzio, e denunciando – senza remore – corrotti e corruttori che con le mafie fanno i loro affari e che delle mafie spesso sono parte attiva e insostituibile. 

È andato al cuore del problema, toccando il punto nevralgico del denaro, delle donazioni, spesso ibrido legame tra Chiesa e malaffare: «Scandaloso chi dona alla Chiesa ma ruba allo Stato», ha detto il papa, definendo la vita dei «cristiani e dei preti corrotti» «una putredine verniciata». Puntando il dito contro la «dea tangente» e dicendo no «agli interessi di partito e ai “dottori del dovere” e ai “sepolcri imbiancati”» (Il Fatto Quotidiano, 11/11/2013 e 27/03/2014).

È un passo avanti di non poco conto che prende atto del complesso reticolo criminale che mischia violenza, denaro e potere e che può rendere protagonista la Chiesa di un radicale processo di rinnovamento. Si tratta di capire, però, quanti, sul territorio, tra cardinali, vescovi e sacerdoti, vorranno interpretare la loro missione pastorale, muovendosi coraggiosamente nel solco delle parole pronunciate dal papa. 

Già – dentro e fuori dalla Chiesa – si discute su come applicare, nella realtà quotidiana, nella concretezza dell’incontro tra persone, gli effetti della scomunica papale. La speranza è che – nel pervenire ai dovuti chiarimenti procedurali – la Chiesa non si spacchi ancora come tante volte avvenuto, dilacerata da un confuso sentimento di pietas; depotenziando la valenza di quest’atto dirompente e riaprendo, nell’integra linearità dell’operare, quelle solite crepe nelle quali corrotti, collusi e mafiosi sanno così sapientemente infiltrarsi per non perdere i privilegi connessi alla loro ostentata “devozione”. 

* Scrittrice, sociologa italiana, studiosa dei fenomeni di criminalità organizzata di tipomafioso, professore associato di Sociologia giuridica, della Devianza e del Mutamento sociale presso l'Università degli Studi di Palermo

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